a cura di V. FANTUZZI
Racconto di Natale (Francia, 2008). Regista: ARNAUD DESPLECHIN. Interpreti principali: C. Deneuve, J.-P. Roussillon, M. Amalric, C. Mastroianni, E. Devos, A. Consigny, E. Berling, M. Poupaud, H. Girardot, L. Capelluto.
In occasione delle festività natalizie una famiglia numerosa e dispersa si riunisce nella casa dei genitori a Roubaix nel Nord della Francia. Arnaud Desplechin, autore del film Racconto di Natale, ci tiene a far conoscere fin dalle prime immagini la «preistoria» della famiglia. C’era una volta una madre, Junon (Catherine Deneuve), un padre, Abel (Jean-Paul Roussillon), e i loro due figlioli: Joseph, ammalato in attesa di un trapianto di midollo osseo, essenziale per la sua sopravvivenza, e sua sorella Élizabeth, il cui midollo non è compatibile con quello del fratello. La coppia concepì un terzo figlio, Henri, con la speranza, presto delusa, di riuscire a salvare il primogenito, che muore all’età di 6 anni. Venne poi un quarto figlio, Ivan, nato per così dire dopo la battaglia.
Quando il film, dopo il prologo, comincia a far scorrere le immagini al tempo presente, è Junon, la madre, malata di leucemia, ad avere bisogno a sua volta di un trapianto. Si tratta di trovare nella famiglia un donatore che sia compatibile con lei. I figli, che nel frattempo hanno raggiunto l’età adulta, sono interpretati da validi attori. Anna Consigny è Élizabeth, Mathieu Amalric è Henri, Melvil Poupaud è Ivan.
Il film inizia in un cimitero dove, durante il funerale del piccolo Joseph, il padre, Abel, dice: «Mio figlio è morto e io non ne provo dispiacere. Questa perdita è la fondazione della mia famiglia». Parole audaci e allo stesso tempo dolorosamente profetiche. A distanza di qualche decennio Élizabeth, divenuta madre di un figlio ormai adolescente, Paul (Émile Berling), che soffre di pesanti turbe psichiche, si confida con uno psicanalista: «Non capisco a quale lutto sto sopravvivendo. Ho l’impressione che qualcuno sia morto, ma non so chi è». Élizabeth è ai ferri corti con Henri che, cinque anni prima, è stato da lei «bandito» dalla famiglia approfittando di una questione di debiti, contratti da lui, che la donna ha accettato di pagare purché lui non si faccia più vedere.
Le condizioni di salute della madre e la ricerca di un donatore compatibile, oltre a motivare il ritorno di Henri in veste di figliol prodido, mette in fibrillazione l’intero gruppo familiare composto da una serie di coppie che si incontrano, si sfiorano, si urtano provocando tal-volta pericolosi sconquassi in un gioco di spinte e controspinte che ha come scopo la ricerca di verità rimaste a lungo nascoste sotto la coltre del non detto. Abel e Junon, a dispetto dell’età avanzata, dei tanti problemi che hanno dovuto affrontare nel passato e delle dolorose lacerazioni che ancora perdurano nella famiglia, sono una coppia affiatata. Si dicono imbarazzati perché la presenza in casa di due nipotini scatenati, Bastien e Baptiste figli di Ivan e Sylvie (Chiara Mastroianni), mette un freno alle loro effusioni affettive.
Élizabeth e Henri, fratelli incompatibili di sangue e di carattere, sono paradossalmente uniti dalla reciproca repulsione. La nevrosi li devasta e nessuno dei due è in grado di afferrare il proprio male alla radice per estirparlo. Élizabeth è sposata con Claude (Hippolyte Girardot), le cui apparizioni saltuarie nel film provocano scontri maneschi con Henri. Più che con il marito fa coppia con il figlio Paul, che è l’immagine visibile del male invisibile che logora le fibre della madre. Paul e Henri sono i soli il cui midollo osseo risulta compatibile con Junon. La scelta cadrà ovviamente su Henri per risparmiare al ragazzo psicologicamente instabile una prova che potrebbe risultare troppo dura per lui. Reduce da un lutto recente non ancora del tutto elaborato (la morte della moglie Madeleine avvenuta subito dopo il matrimonio), Henri fa coppia con Faunia (Emmanuelle Devos), una giovane ebrea, che non perde la calma nel vedere i cattolici che la ospitano accapigliarsi reciprocamente nel bel mezzo di una celebrazione religiosa che esalta la pace e l’amore.
In una intervista concessa alla rivista parigina Positif (giugno 2008, p. 14) il regista dice di aver tratto lo spunto per il film da un libro scritto da uno psicanalista, Jacques Ascher, e da uno specialista in tumori del sangue, Jean-Pierre Jouet (La Greffe, entre biologie et psychanalyse, Paris, Puf, 2004). Il trapianto di midollo osseo (greffe in francese) provoca profondi squilibri psicologici, induce sia il donatore e il ricevente, sia coloro che non possono né donare né ricevere, a porsi dolorose domande circa la propria identità e li induce talvolta a vere e proprie crisi di delirio. Infreddolita e sonnolenta la città di Roubaix osserva imperturbabile la danza di queste coppie che volteggiano sull’orlo di un precipizio sfiorando una catastrofe che viene sempre evitata all’ultimo momento.
La condizione comune che nonostante tutto mantiene unito questo gruppo di adulti è una componente diffusa di immaturità. Il fatto di non aver risolto a suo tempo i problemi del passato, invece di creare ostacoli, sembra spianare la via alla neutralizzazione dei problemi del presente e produce nuove energie in vista di quelli del futuro. Un nipote di Junon, Simon (Laurent Capelluto), che vive nell’ombra giocando a fare l’artista, approfitta della confusione che regna nel gruppo per coronare un sogno a lungo coltivato. Segno evidente che, come dice il proverbio, non tutti i mali vengono per nuocere.