a cura di V. FANTUZZI
Lo scafandro e la farfalla (Francia 2007). Regista: JULIAN SCHNABEL. Interpreti principali: M. Amalric, E. Seigner, M.-J. Croze, P. Chesnais, A. Consigny, N. Arestrup, O. Lopez Garmendia, M. Hands, M. von Sydow.
Il film Lo scafandro e la farfalla, di Julian Schnabel (premio per la migliore regia a Cannes nel 2007) racconta una storia vera. Jean-Dominique Bauby, redattore capo della rivista Elle, è vittima di un ictus che tronca di netto la sua brillante attività professionale e la sua vita affettiva (tre figli ancora piccoli, avuti da una donna che non si è mai deciso a sposare, una relazione con un’altra donna, il legame con il vecchio padre…) lasciandolo come un corpo inerte, ma vivo, nelle mani di medici e infermieri. Dopo tre settimane di coma, Bauby si risveglia. Riesce a sentire quello che gli altri dicono, ma non può parlare. È paralizzato dal capo ai piedi. Il solo organo ancora funzionante, mediante il quale riesce a comunicare, è l’occhio sinistro. Può muoverlo. Può aprire e chiudere le palpebre. Da questi movimenti i medici capiscono che anche il suo cervello funziona. Non resta che sperare nei progressi della scienza.
«Ho appena scoperto che, a parte il mio occhio, ho altre due cose che non sono paralizzate: la mia immaginazione e la mia memoria», così pensa Bauby tra sé e sé. Nel film, dove i suoi pensieri sono enunciati da una voce fuori campo, il ruolo del protagonista è interpretato da Mathieu Amalric, le due donne della sua vita sono Emmanuelle Seigner e Marina Hands, le ortofoniste che lo assistono sono Marie-Josée Croze e Olatz Lopez Garmendia, il vecchio padre è Max von Sydow, già attore feticcio di Ingmar Bergman. Vivendo o, meglio, sopravvivendo in questo stato, Bauby è riuscito a scrivere un libro con l’aiuto di un’assistente alla quale dettava le parole, scandite lettera per lettera, con battiti delle palpebre. Nel libro c’è il senso di ciò che l’incidente ha rappresentato per Bauby e il bilancio di tutta la sua vita. La dettatura del testo si è protratta per un anno intero. L’autore è morto per un improvviso attacco di polmonite dieci giorni dopo che il libro è stato pubblicato. Ha fatto in tempo a conoscere i pareri lusinghieri con i quali l’opera è stata accolta.
Schnabel non è, per così dire, un cineasta di professione. È un pittore di fama internazionale, cresciuto a New York nella scia di Andy Warhol, che di tanto in tanto cambia mestiere o, meglio, si serve del cinema come mezzo di espressione alternativo rispetto a quelli che impiega abitualmente. Il suo film si basa su un partito preso, che consiste nel mettere la cinecamera al posto dell’occhio, unico organo funzionante del povero Bauby. Lo scafandro e la farfalla è un film sperimentale nel senso che non segue le regole normalmente adottate dal cinema, ma inventa di volta in volta soluzioni tecniche ed espressive che consentono prima di tutto al regista e successivamente allo spettatore di mettersi al posto del malato per rivivere le sue esperienze. Per eseguire questo lavoro fuori dal comune Schnabel ha potuto contare sulla collaborazione di un direttore della fotografia, Janusz Kaminski, dotato di grande duttilità.
I luoghi del film sono quelli dove Baudy ha trascorso gli ultimi mesi della sua vita: un ospedale specializzato nei pressi di Berck-sur-Mer, non lontano da Calais. Medici e infermieri sono gli stessi che si sono presi cura di lui. Il mare, la spiaggia, le case tra le dune, il faro, punto di riferimento per chi ha perduto il proprio orientamento. Dall’ambiente marino è desunta la metafora della quale Bauby si serve nel suo libro per indicare la situazione in cui si trova: ha l’impressione di essere chiuso in uno scafandro che lo trascina nelle profondità dell’oceano. All’immobilità del corpo, prigioniero della malattia, si contrappone la libertà dell’immaginazione, che arriva a esprimersi con il battito delle palpebre, leggere come ali di una farfalla.
Bauby, che quando era in buona salute non si è sottratto alle distrazioni che consentono a chi ha successo di sorvolare sulle cose senza impegnarsi a fondo, trova, grazie all’infortunio di cui è rimasto vittima, qualcosa di solido a cui ancorarsi. Il bisogno di essere aiutato lo spinge ad aprirsi alla solidarietà degli altri. Le pagine del libro esprimono la necessità in cui si trova di offrire un aiuto a coloro che un giorno potrebbero trovarsi nelle sue condizioni. Tra i ricordi che gli sono cari affiora quello di un gesto di tenerezza (quasi uno scambio di ruoli) compiuto nei confronti del padre, prigioniero dell’età, quando lo ha aiutato a radersi, gesto che gli viene ricambiato dal figlio, non ancora adolescente, che gli asciuga la saliva all’angolo della bocca.