a cura di V. FANTUZZI
Into the Wild (Usa, 2007). Regista: SEAN PENN. Interpreti principali: E. Hirsch, M. G. Harden, W. Hurt, J. Malone, B. Dierker, C. Keener, K. Stewart, H. Holbrook.
Apprezzato come attore e come regista per prove che ha saputo fornire sull’uno e sull’altro versante dell’attività cinematografica, Sean Penn è anche una personalità mediatica impegnata in battaglie civili contro le guerre che insanguinano il mondo e contro lo sperpero delle risorse del pianeta. Into the Wild, sua ultima opera come regista, si attaglia per diversi aspetti alle esigenze di un autore dalle caratteristiche così ben definite. Ispirato alla storia vera di Chris McCandless, giovane di buona famiglia che, all’indomani della laurea conseguita con pieni voti all’università Emory di Atlanta, si disfa dei soldi rimasti sul suo conto corrente (24.292 dollari), brucia gli spiccioli che gli sono rimasti in tasca, fa perdere le proprie tracce e, dopo aver attraversato gli Stati Uniti in lungo e in largo, va a morire nelle terre selvagge dell’Alaska, il film può essere visto come un manifesto nel quale il «ribelle» Penn espone le ragioni della sua rivolta contro l’american way of life.
Tra il fatto reale, di cui le cronache si sono occupate all’inizio degli anni Novanta, e il film c’è di mezzo un libro scritto da Jon Krakauer (edito in Italia da Corbaccio con il titolo Nelle terre estreme), a cavallo tra inchiesta giornalistica e romanzo di avventure. Dopo aver indagato a lungo sul personaggio, Krakauer conclude: «Chris non era un ragazzo come gli altri. Era molto egocentrico. Era ostinato. Era impetuoso. Ma era anche un puro di cuore. Non accettava compromessi. Aveva grandi ideali, un forte senso di rettitudine morale. Credeva che la sua missione nella vita fosse quella di abbandonare la via più facile».
Il padre di Chris (interpretato da William Hurt) è un ingegnere aerospaziale della Nasa che, dopo aver collaborato al lancio dei primi satelliti artificiali, ha fondato una società gestita in collaborazione con la moglie (Marcia Gay Harden). Chris (Emile Hirsh) e Carine (Jena Malone), sua sorella, sapevano che il legame tra i loro genitori si stava deteriorando. Incombeva sulla famiglia la minaccia di un divorzio più volte annunciato e sempre rinviato. I litigi, dovuti a futili motivi, erano frequenti. Durante un viaggio in California, compiuto da solo a 18 anni, Chris viene a conoscere, sul conto dei genitori, una storia completamente diversa da quella che essi gli hanno raccontato e sulla quale ha fondato le proprie certezze. Papà era sposato con un’altra donna dalla quale ha avuto un figlio dopo la nascita di Chris. È come se un mondo intero cadesse in frantumi sotto i suoi occhi. Da questo trauma ha inizio per Chris il rifiuto della famiglia, fondata secondo lui non sulla sincerità, ma sulla falsità, rifiuto al quale si aggiunge quello di una società retta da regole per adeguarsi alle quali le persone rinunciano ad essere quello che sono.
Seguiamo Chris nel suo viaggio, durato due anni dai campi di grano del South Dakota al New Mexico passando per il Grand Canyon, dove scende in kayak le rapide del Colorado. Chris, che oltre ad aver distrutto i propri documenti ha cambiato nome e si fa chiamare Alexander Supertramp, muovendosi ai margini della società, incontra altri marginali come lui, con i quali intreccia rapporti non infruttuosi, ma sempre di breve durata, come se avesse paura di coinvolgere altre persone, oltre ai familiari più stretti, in una vita come la sua, segnata da un destino tragico. Una coppia di maturi hippies (Brian Dierker e Ca-therine Keener) suoi ideali fratelli maggiori, una sedicenne innamorata di lui (Kristen Stewart), con la quale rifiuta di avere rapporti intimi, un vecchio solitario che potrebbe essere suo nonno (Hal Holbrook) segnano alcune tappe del percorso che, proseguendo dalla California all’Arizona, punta verso Nord.
Nel cuore dell’Alaska, ai piedi del monte Denali, una delle cime più imponenti dell’America, Chris-Alex raggiunge il luogo dove trascorrerà in totale solitudine gli ultimi 103 giorni della sua vita. Trova riparo in un vecchio autobus proveniente dal trasporto pubblico di Fairbanks, rimorchiato nei boschi per ospitare gli operai addetti alla costruzione della ferrovia e successivamente abbandonato. Si nutre di erbe e di selvaggina. Abbatte un alce la cui carcassa in decomposizione diventa preda di lupi affamati. Né Krakauer, né Penn si pronunciano sulle cause della morte del giovane, dovuta probabilmente a una serie di errori piccoli, ma devastanti. Nella sequenza finale lo spettatore vede il protagonista perdere 20 dei suoi 70 chili di peso. Imponendo all’interprete questo sacrificio, Penn riesce a comporre immagini simili a quelle che nell’iconografia religiosa rappresentano la passione di Gesù, alle quali sembra voler affidare la speranza che la riflessione sulla morte di un solo uomo possa giovare al ravvedimento (e pertanto alla salvezza) di tanti altri.