a cura di V. FANTUZZI
In questo mondo libero (Gran Bretagna, 2007). Regista: KEN LOACH. Interpreti principali: K. Wareing, J. Ellis, L. Zurek, J. Siffleet, D. Rastgou.
Modi sbrigativi, tuta aderente, capelli biondi che svolazzano sotto il casco, Angie (Kierston Wareing), protagonista del film In questo mondo libero di Ken Loach (Osella a Venezia per lo sceneggiatore Paul Laverty), si sposta in motocicletta da un quartiere all’altro della periferia londinese. Dopo anni di lavoro presso un’impresa che si occupa dell’importazione di mano d’opera dai Paesi dell’Est, per aver reagito con disappunto alle avances grossolane del capetto di turno, viene licenziata su due piedi. Approfittando dell’esperienza acquisita, decide di mettersi in proprio. Convince Rose, l’amica del cuore, ad aprire con lei un’agenzia di collocamento, Angie & Rose recruitment.
Il film inizia con un prologo ambientato in Polonia, dove Angie, prima di essere licenziata, si dà da fare per reclutare coloro che desiderano andare a lavorare in Gran Bretagna. I prescelti devono sborsare una bella somma di denaro per garantirsi una sistemazione che si rivelerà inconsistente. Al termine del film c’è una scena che assomiglia alla prima. Si tratta dell’epilogo ambientato in Ucraina, dove Angie esegue lo stesso lavoro non più alle dipendenze di un’impresa che la sfrutta, la maltratta e la licenzia, ma sotto l’egida dell’agenzia da lei fondata e gestita. Nell’arco del film, Angie è passata dal campo delle vittime a quello dei carnefici.
Non è facile, per Angie come per Rose, districarsi nell’ambiente insidioso dell’importazione clandestina della mano d’opera. Gli inizi sono duri. Polacchi, iraniani o cileni che siano, i lavoratori vengono radunati nel cortile di un pub per essere smistati presso cantieri o magazzini che li tengono occupati per qualche settimana e poi se ne liberano tralasciando talvolta di pagare il dovuto. Angie controlla i documenti, ne procura di falsi se lo ritiene opportuno, incassa tangenti, tiene testa a chi reclama… Il tutto si svolge senza ombra di tasse, né di contributi. Rose, una ragazza di colore, a sua volta figlia o nipote di immigrati, cerca di mettere in guardia Angie dagli eccessi della smania di arrivare, che la spinge a comportarsi in maniera irresponsabile. «Non ti preoccupare — è la risposta —. Andiamo avanti così per i primi mesi. Poi ci metteremo in regola».
Pur essendo una donna sola, Angie ha un figlio di 11 anni, parcheggiato presso i nonni, che manifesta sintomi di disagio adottando un comportamento aggressivo nei confronti dei compagni di scuola. Il padre di Angie, che si prende cura del nipotino, è un ex-operaio laburista che non riesce a orientarsi in un mondo dove l’insicurezza e la precarietà tolgono a chi lavora il senso della propria dignità. Secondo gli autori del film, questo è il frutto della «rivoluzione thatcheriana», che ha fatto pendere la bilancia dalla parte del profitto e delle capacità imprenditoriali. Una linea perseguita anche dal liberal Tony Blair e da cui non si discosterà nemmeno Gordon Brown.
«L’Inghilterra è un Paese duro, i vostri occhi sono duri, è dura la vostra voce quando ci date ordini. Io sono un uomo, non sono un servo», dice Karol, il giovane polacco di Katowice, di cui Angie in un’altra vita avrebbe potuto innamorarsi. Karol e il padre di Angie inseriscono nel film punti di vista che sono in contrasto rispetto all’attuale andamento delle cose e aiutano a capire che quello che il titolo definisce con sarcasmo «un mondo libero» non è l’unico mondo possibile. Angie è dura, determinata, volitiva, ma anche vulnerabile e capace di slanci improvvisi. Può cacciare senza pietà un clandestino, salvo poi portarselo a casa con tutta la famiglia quando scopre dove abita. Sorda alle voci interne e a quelle esterne che la vorrebbero diversa, Angie adotta come criterio di vita la filosofia prevalente ai nostri giorni: sgomitare per arrivare. Vuole una sola cosa: quel denaro che le permetterà di inserirsi tra i consumatori felici e assicurare in questo modo un avvenire a suo figlio.
Meglio sfruttare che essere sfruttati. Benché l’attività di Angie e dell’amica Rose sia vietata dalle leggi vigenti, le due donne si accorgono ben presto che la deregulation è ampiamente tollerata nell’ambito di un sistema economico che considera gli stranieri muniti di passaporti falsi più appetibili degli altri operai, compresi quelli locali, in quanto garantiscono un lavoro compiuto a testa bassa e bocca cucita. Documentatissimi sull’argomento che affrontano secondo il loro metodo di lavoro ormai collaudato, Loach e Laverty, dopo aver svolto un’accurata indagine sociologica, hanno eliminato i casi più sensazionali per concentrarsi su quella zona grigia che non richiama l’attenzione e tende a confondersi con la normalità. «Non volevamo casi estremi su cui indignarsi — dicono —, ma casi di ordinaria banalità su cui riflettere».