a cura di V. FANTUZZI
Il pianista (Francia – Germania – Gran Bretagna – Polonia, 2002). Regista: ROMAN POLANSKI. Interpreti principali: A. Brody, E. Fox, M. Zebrowski, E. Stoppard, T. Kretschmann, F. Finlay.
A Varsavia, in uno studio radiofonico, un uomo esegue al pianoforte un preludio di Chopin. Si odono esplosioni, prima lontane, poi sem-pre più vicine. Siamo nell’autunno del 1939. I vetri delle finestre cadono in frantumi. La cabina di registrazione è invasa dai calcinacci. I tecnici fuggono. Il pianista continua a suonare finché il cristallo, che isola lo studio dal resto del mondo, cede sotto l’urto di uno spostamento d’aria. A questo punto la realtà spezza l’incanto della musica e l’uomo, aggrappato al pianoforte come un naufrago a una tavola che galleggia tra i flutti, viene sbalzato verso l’esterno. È questa la prima sequenza del film Il pianista che Polanski ha tratto dal libro di memorie del pianista polacco Wladyslaw Szpilman, unico sopravvissuto della sua famiglia al genocidio degli ebrei compiuto dalla Germania nazista.
Il film accompagna, passo dopo passo, la vicenda del pianista durante gli anni della guerra (1939-45), ma dietro di lui c’è tutta una comunità che si muove. Seguendo Szpilman, lo spettatore è messo al corrente delle condizioni nelle quali vivono gli ebrei perseguitati a Varsavia: reclusione nel ghetto, angherie, proibizioni, privazioni, violenze di ogni genere fino alla deportazione e allo sterminio. Nel 1942 il pianista sfugge a una retata grazie alla complicità di un poliziotto ebreo (collaboratore dei nazisti), che lo avverte del pericolo che sta correndo. Incomincia per lui una vita errabonda e clandestina che durerà fino al termine della guerra.
Szpilman trova rifugio in vari nascondigli grazie all’aiuto di amici polacchi non ebrei. Dalla finestra di un abbaino, nella primavera del 1943, assiste alla rivolta degli abitanti del ghetto, repressa con brutalità dai soldati della Wehrmacht. Lo scontro è impari. Gli ebrei vengono massacrati. Il ghetto è distrutto. Passano i mesi. I russi avanzano con esasperante lentezza. A Varsavia, sotto i bombardamenti a tappeto, la vita diventa sempre più difficile soprattutto per chi è costretto a nascondersi. Mancano cibo e acqua da bere. Szpilman si ammala di itterizia. A un certo punto gli giunge un aiuto insperato da parte di un ufficiale tedesco che, avendolo sentito suonare, gli fa pervenire un po’ di cibo nella soffitta dove si nasconde.
In due ore e mezzo di proiezione passano sullo schermo le peripezie di un individuo sullo sfondo della tragedia di un intero popolo. La macchina da presa isola casi di quotidiana ignominia: soldati tedeschi che prendono a schiaffi un vecchio ebreo solo perché non si è tolto il cappello al loro passaggio, frustano a sangue un lavoratore esausto che non ce la fa a reggersi in piedi, uccidono con un colpo di pistola alla nuca individui scelti a caso, oppure gettano dalla finestra un paralitico sulla sedia a rotelle… Il film mostra anche le contraddizioni che si sviluppano all’interno della comunità che vive nel ghetto. Non mancano, mescolati tra le vittime della persecuzione, avidi trafficanti che si arricchiscono a spese dei più disgraziati, giovani che accettano di collaborare con i tedeschi facendo per loro il lavoro sporco anche quando si tratta di avviare i «fratelli» verso i campi di sterminio.
La musica aiuta Szpilman a sopravvivere mentalmente e spiritualmente, oltre che fisicamente. Per evitare che le dita si rattrappiscano suona a vuoto sopra la tastiera di un pianoforte trovato in un appartamento dove vive nascosto senza potersi permettere di fare il benché minimo rumore. Ridotto in condizioni minime di sopravvivenza, Szpilman fa appello a tutte le sue energie per eseguire al meglio un pezzo di Chopin davanti all’ufficiale tedesco dal quale dipende la sua salvezza. È il punto più alto del film. L’arte, con la quale l’uomo supera se stesso, riesce per un momento ad avere il sopravvento sulla brutalità dilagante. Nell’autunno del 1945, a sei anni di distanza da quella prima esecuzione radiofonica interrotta, Szpilman riprende a suonare per la radio di Varsavia. La lotta è stata immane. I sopravvissuti ne portano il peso come se essere salvi fosse per loro una colpa. Alla musica, che apre e chiude il film, Polanski affida un messaggio di speranza.