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Cultura e società

COME INGUAIAMMO IL CINEMA ITALIANO

Virgilio Fantuzzi

18 Dicembre 2004

Quaderno 3708

Come inguaiammo il cinema italiano (Italia, 2004). Registi: DANIELE CIPRÌ e FRANCO MARESCO. Documentario.

Il titolo va letto, come è ovvio, a controsenso. Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, i noti comici palermitani ormai scomparsi, alla cui carriera rende omaggio questo film composto con materiale «di repertorio» e dichiarazioni di collaboratori e conoscenti, non hanno danneggiato in nessun modo il cinema italiano. Con gli incassi ottenuti dai loro film, privi di qualità stilistiche, hanno consentito — e non è merito da poco — di tamponare qualche falla aperta nella non florida situazione finanziaria del cinema italiano (perennemente in crisi) da alcune superproduzioni artisticamente ambiziose ma economicamente fallimentari. Ciprì e Maresco, palermitani anche loro, hanno le carte in regola per occuparsi dei due concittadini. Nati dalla polvere della strada e da quella dei palcoscenici di quartiere, Ciccio e Franco non sono lontani dai Paviglianiti, dai Miranda e dai Tirone, «eroi» umili e paradossali che campeggiano nelle opere dei due registi, dalla «striscia» Cinico TV a Lo zio di Brooklyn (1995) a Totò che visse due volte (1998, cfr Civ. Catt. 2003 II 337).

Maresca non vuole nemmeno sentir dire che Ciccio e Franco erano attori trash. «Sono stati grandi — egli dice —. Avrebbero potuto stare alla pari con Totò e Peppino De Filippo. La loro comicità affonda le radici nella nostra tradizione più antica, dalla quale deriva l’espressività e la mimica, fatta di lazzi, smorfie, movimenti da pupo siciliano, che Franco utilizzava negli spettacoli di strada, le cosiddette «postegge». L’attore disegnava un cerchio per terra e dava il via a una serie di gags trasformandosi di volta in volta in fachiro, in forzuto, in uomo orchestra…». «A differenza di Franco — incalza Ciprì — Ciccio non veniva dal teatro di strada, ma dall’avanspettacolo, un gradino più su, anche se la sua famiglia era povera e lui, per campare, ha dovuto fare il calzolaio. La sua comicità era più contenuta, più studiata, come il suo carattere, opposto alla vitalità sfrenata di Franco».

Negli anni disastrati del dopoguerra, come nei secoli passati, il popolo palermitano cercava conforto nelle «vastasate». «Vastasi» sono detti in siciliano i facchini e, per traslato, la gente che si ritiene educata definisce «vastaso» ogni persona che non lo è. Le farse plebee sono dette di conseguenza «vastasate». Da lì, senza alcuna lettura colta, ma con l’istinto di chi conosce gli umori della platea, traggono spunto le trovate comiche che Ciccio e Franco hanno riversato in decine e decine di film. È la comicità di chi sa che, per quanto concerne la propria storia personale, non c’è proprio niente da ridere.

In tre decenni, a partire dal 1960, i due attori hanno lavorato in 200 film, alcuni dei quali sono spariti senza lasciare traccia. Nelle sale parrocchiali (le più popolari) resistevano per settimane. Un anno riuscirono a girarne 17, sempre improvvisando i loro dialoghi sconclusionati e folli. Per un certo periodo fecero contemporaneamente tre cose: la radio al mattino, i film al pomeriggio, il teatro la sera. Si sono consumati lavorando. Franco è morto a 64 anni, 12 anni fa. Ciccio è morto l’anno scorso. Ciccio, più intellettuale, avrebbe preferito vagliare le offerte, fare meno ma con più impegno. Franco invece accettava tutto avidamente. Arrivarono fino al punto di litigare per questo, ma erano liti tra vecchi amici.

Il cinema colto si è accorto di loro in rare ma significative occasioni. Pasolini li volle accanto a Totò nel cast di Che cosa sono le nuvole?, episodio di Capriccio all’italiana (1968). Fellini volle Ciccio come protagonista dell’episodio dello zio matto in Amarcord (1974). I fratelli Taviani ne fecero gli interpreti principali de La giara, episodio di Kaos (1984), film ricavato da alcune novelle di Pirandello. Il grande Buster Keaton, giunto ai minimi storici del suo inesorabile declino, recitò con loro nel film Due marines e un generale (1965) firmato da Luigi Scattini.

Negli anni Ottanta le vicende della coppia fu segnata da una dolorosa vertenza giudiziaria. Franco Franchi (all’anagrafe Francesco Benenato) risultò in rapporti di frequentazione assidua con alcuni capimafia. Un pentito ne certificò la presenza a diverse feste e cene di boss. Ciccio e Franco parteciparono al film Crema, cioccolata e pa…prika (1981) di Michele Massimo Tarantino (protagonista Barbara Bouchet), prodotto e interpretato da un figlio di Michele Greco, capo della Commissione di Cosa Nostra. La pellicola non ebbe fortuna nelle sale, ma finì nell’incartamento di Giovanni Falcone. Franco si difese male. Non poté negare incontri che, per un uomo che aveva conosciuto in gioventù la miseria più nera, potevano rappresentare un ambito traguardo. Conclusione malinconica per un film come questo, che a tratti fa ridere, ma alla fine lascia la bocca amara.

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COME INGUAIAMMO IL CINEMA ITALIANO

Virgilio Fantuzzi

Già scrittore de "La Civiltà Cattolica" (1937 - 2019).


18 Dicembre 2004

Quaderno 3708

  • pag. 632 - 633
  • Anno 2004
  • Volume IV

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Cinema

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