a cura di V. FANTUZZI
Alexandra (Russia, 2007). Regista: ALEKSANDR SOKUROV. Interpreti principali: G. Vishnevskaya, V. Shevtsov, R. Gichaeva
Una nonna russa, Alexandra Nicolaevna, ottiene il permesso di andare a far visita al nipote Denis, ufficiale dell’esercito, che non vede da sette anni; egli si trova in una postazione avanzata del fronte ceceno. Il viaggio dell’anziana signora, che parte da Stravropol e arriva nelle vicinanze di Grozny, si svolge su tradotte e veicoli militari. Il caldo è afoso e soffocante. L’accampamento è stato montato in una zona semidesertica flagellata da vento e sabbia. Visibilmente spaesata tra i cingolati che varcano in un senso e nell’altro il posto di blocco per andare a sminare il terreno circostante, Alexandra affronta con dignità e determinazione fatiche e disagi di una condizione di vita che, nel contesto in cui si svolge, non può essere definita che spartana.
Le scene del campo sono state girate nel luogo stesso dove si svolge l’azione del film. In un primo momento, Sokurov si era recato in Cecenia con l’intenzione di girare laggiù soltanto alcune scene. Dopo aver visto con i suoi occhi come vivono i soldati, ha deciso di girare l’intero film sul posto per condividere la sorte di coloro che erano costretti a rimanere lì. Lo spettatore entra nel campo assieme alla protagonista e osserva le cose come fa lei, attenta a ogni minimo particolare: calzini di lana, divise logore e sporche, armi automatiche smontate, pulite e rimontate dalle mani dei soldati. La macchina da presa si identifica con l’occhio di Alexandra, e per questa via il film si incammina verso una zona a metà tra finzione e documento, la stessa che Sokurov con i suoi film precedenti ha dimostrato di preferire (cfr Madre e figlio, in Civ. Catt. 1998 IV 105 s; Russian Ark, ivi, 2002 III 453 s; Il sole, ivi, 2006 I 423 s).
Durante la notte, Alexandra non riesce a prendere sonno. Si aggira tra le tende e le torrette di guardia, parla con i soldati, si informa sui loro problemi, offre loro piccoli regali (soprattutto sigarette), è prodiga di consigli e non lesina qualche rimprovero quando lo ritiene opportuno. Più che una nonna in visita al nipote, può sembrare a tratti un generale che passa in rassegna le sue truppe. Senza abbandonare le proprie dimensioni reali, il personaggio, nel linguaggio del film ricco di allusioni e rinvii ad altre opere memorabili del cinema di guerra, assume una dimensione simbolica. Dietro il corpo appesantito dall’età e le membra indebolite dalla fatica si intravede la figura tipica della madre russa o, se si preferisce, una personificazione della Russia di sempre, che si china sui suoi figli ai quali la necessità impone oggi, come imponeva ieri, sacrifici troppo duri da sopportare.
Il giorno successivo, Alexandra esce dal recinto dell’accampamento per recarsi nel vicino mercato. I ceceni, che la riconoscono come russa, le lanciano occhiate ostili: soprattutto i maschi. Diverso è il comportamento delle donne, con le quali riesce a stabilire un rapporto di solidarietà. Diventa amica di una di esse, Malika. Accetta di entrare nella sua casa per bere una tazza di tè. È una casa semidistrutta da un bombardamaento dei russi. Sokurov ha voluto girare anche questa scena in un ambiente reale perché la macchina da presa potesse registrare ciò che passa, al di là delle parole del dialogo, sul volto delle interpreti. Sulla via del ritorno al campo, Alexandra è accompagnata da un giovane, di nome Ilyas, che le chiede, come se le sorti della guerra dipendessero da lei: «Ma perché non ve ne andate e ci lasciate liberi?».
Quando nonna e nipote si incontrano da soli, lui le rimprovera l’eccessiva severità dell’educazione che ha ricevuto in famiglia. Lei vorrebbe che Denis, non più tanto giovane, si sposasse. Lui risponde che lo stipendio che percepisce non gli consente di mantenere dignitosamente una famiglia. Il film tocca il culmine della forza espressiva quando le effusioni tra nonna e nipote diventano irrefrenabili. Un commilitone spia attraverso le assi scommesse della baracca. Il rude guerriero afferra i capelli che la nonna ha sparsi sulle spalle e le fa una bella treccia come faceva quando era bambino.
Sokurov non avrebbe potuto fare questo film senza l’eccezionale apporto dell’interprete Galina Vishnevskaya, già applaudita cantante lirica del Bolscioi, vedova del maestro Rostoprovich. Alla coppia dei due grandi musicisti Sokurov ha dedicato un documentario, Elegia della vita (2006), che esalta la libertà, soprattutto quella conquistata mediante l’espressione artistica. Pur essendo di umili origini, la Vishnevskaya, che da molto tempo conduce una vita agiata, ha dovuto faticare non poco per calarsi (con il metodo Stanislavskij) nel personaggio di una donna del popolo, usa a misurarsi ogni giorno con le difficoltà della vita, anche se dotata di un livello di istruzione che le consente di citare Dostoevskij quando si presenta l’occasione.
Qualcuno ha rimproverato a Sokurov di non aver condannato esplicitamente la guerra in Cecenia. «Parlo di una nonna russa che va a trovare il nipote in guerra — ha risposto il regista —, come una nonna americana potrebbe andare a trovare il suo in Iraq o una nonna inglese potrebbe andare a trovarlo in Afghanistan». Sokurov non si serve del cinema per fare propaganda, ma per fare opera di poesia. In questo modo egli va alla ricerca di quella verità che sta nel cuore delle cose, come hanno fatto prima di lui i grandi maestri del cinema. Questo film parte dalla guerra per parlare della pace e fa sì che sia la guerra a condannare se stessa come negazione delle ragioni del cuore e di quelle della mente.