|
Di fronte alla morte la speranza di ogni essere umano è messa alla prova. Non solo, ma quando si tratta della malattia e della morte di un ragazzo, la stessa vita sembra oscillare sul crinale dell’incomprensibilità. Eppure esistono testimonianze che entrano nel buio della ragione come un raggio di sole e riscaldano il cuore di chi ha smesso di sperare. La vita di Carlo Acutis è uno di questi raggi di sole[1].
Carlo si ammala a 15 anni, nei primi giorni dell’ottobre 2006. Tutto fa credere a una influenza, ma, dopo aver fatto gli accertamenti clinici, i medici pronunciano la loro diagnosi: «È una leucemia fulminante». Il 12 ottobre Carlo lascia questo mondo. Il suo corpo è vegliato da un pellegrinaggio continuo di persone che lo hanno conosciuto. La messa delle esequie è gremita. Gli stessi genitori dicono che, insieme a un dolore struggente, che solamente chi dà la vita può capire, avvertono una pace, segno non di «una fine», ma di «un con-fine» da vivere con il loro figlio Carlo.
Ma c’è di più. Dal momento in cui Carlo lascia questa vita, non cessano di arrivare testimonianze, racconti, ricordi ed e-mail da molte parti del mondo che hanno un denominatore comune: per coloro che lo incontrano, Carlo continua a essere vivente oltre il confine della vita. Basterebbe digitare in un motore di ricerca «Carlo Acutis» o i suoi profili in Facebook per constatare i numerosi contatti e i blog in ogni lingua che parlano di lui; anche il sito a lui dedicato ha avuto circa 180.000 visite. Non è solamente la rete che sta diffondendo la figura di Carlo, ma anche il «passaparola» dei gruppi giovanili ecclesiali. L’esempio di Carlo è già considerato in molte diocesi italiane come il simbolo di centri giovanili e centri vocazionali. Addirittura in Brasile, durante la Giornata della Gioventù, sarà una delle figure modello che verrà proposta.
Lo straordinario nell’ordinario
Lo premettiamo subito. Le righe che seguono non sono un elogio di un ragazzo superman. Il suo parroco, mons. Gianfranco Poma, ha detto di lui: «Era un ragazzo assolutamente normale, ma con un’armonia assolutamente speciale». Carlo risveglia la ricerca di armonia nelle persone che incontra e per questo tanti ragazzi possono rispecchiarsi in lui. La vita può essere breve ed è per tutti fragile, ma per Carlo andava vissuta nella sua pienezza, senza sprecarla. Gli piaceva ripetere: «Tutti nascono come degli originali, ma molti muoiono come fotocopie».
Alla domanda: «Che cosa ti colpisce della vita di Carlo?», un giovane su Facebook scrive: «Senza dubbio la sua estrema umiltà. Carlo è vissuto in una famiglia molto abbiente, per cui nulla gli avrebbe impedito di vivere in modo agiato e che gli avrebbe procurato quel senso di superbia, e di sentirsi il primo… Invece ha sempre mantenuto quel tenore di vita e di pensiero “povero”, […] sempre aperto agli ultimi, altruista verso chiunque. Vogliamo parlare poi di quel particolare affetto e legame con Gesù Eucaristia del quale ha fatto il centro della sua vita? E di quell’attaccamento alla Madonna? Cosa che dovremmo fare tutti! Carlo è un modello di amore, umiltà… e preghiera! Sento molto vicino Carlo in molte mie necessità e bisogni sia materiali sia spirituali […], forse perché, essendo giovane come me e come tanti altri, egli è molto vicino alle esigenze e alle problematiche dei suoi coetanei».
Dei molti cammini di vita possibili Carlo sceglie quello dell’uomo biblico che esce dalla propria terra e va dove Dio lo conduce. Non smette di camminare nemmeno quando il suo corpo è segnato dalla malattia. Lo aveva previsto da tempo: «Morirò giovane». Ma non si ferma. Fino all’ultimo non pensa a sé, ma al bene del mondo e della Chiesa e si offre come «relazione di salvezza».
Il suo mondo spirituale sembra appartenere ad altri tempi: devozione al Cuore di Gesù e a Maria; il culto degli angeli e dei santi, soprattutto di san Francesco d’Assisi e di sant’Antonio di Padova. Aveva particolarmente a cuore la fedeltà al Papa e alla Chiesa. La messa, la comunione e l’adorazione eucaristica quotidiane sono il segreto della sua vita interiore, che lo portano a realizzare il suo progetto di essere «pane spezzato e vino versato», che è il dono generoso di sé.
Alcuni tratti della vita di Carlo
Carlo nasce a Londra il 3 maggio 1991 ed è battezzato il 18 maggio nella chiesa di Our Lady of Dolours (Nostra Signora dei Dolori). Cresce in un contesto familiare sereno e agiato. Per ragioni di lavoro, nel settembre 1991 la famiglia si ritrasferisce a Milano, e la loro parrocchia diventa Santa Maria Segreta. Carlo frequenta le scuole elementari dalle suore Marcelline di piazza Tommaseo a Milano. È ricordato come un ragazzo vivace e socievole. Come tutti i bambini, non sempre arriva preparato, si distrae durante le lezioni più noiose, si sbizzarrisce per trovare le giustificazioni più originali. Dai testimoni che lo hanno accompagnato negli anni delle elementari è ricordato per una caratteristica: si fa prossimo ed è generoso.
Nel 2005 Carlo si iscrive al liceo classico del Leone XIII, la scuola dei gesuiti. Vorrebbe frequentare il liceo scientifico, ma i suoi genitori lo convincono a frequentare il liceo classico. Conclude le medie con «distinto», ma è durante il ginnasio che Carlo realizza alcuni grandi progetti. Stupisce per la sua capacità di capire i segreti che l’informatica nasconde e che sono normalmente accessibili soltanto a coloro che hanno compiuto studi universitari specialistici: programma computer, monta film, crea siti web, cura la redazione e l’impaginazione di giornalini. Il suo mito per l’informatica è Steve Jobs, di cui conserva alcuni insegnamenti: «Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro». E ancora: «È solamente dicendo “no” che puoi concentrarti sulle cose veramente importanti».
Durante l’autunno del 2004 matura la scelta del servizio: accetta di diventare vice-catechista nei corsi di preparazione alla cresima, per poi impegnarsi nello sviluppo e nell’aggiornamento del sito internet della sua parrocchia e del Leone XIII, in cui promuove la realizzazione degli spot di molte classi per il progetto volontariato nell’ambito di un concorso nazionale.
Il segretario della Pontificia Accademia Cultorum Martyrum, Pier Luigi Imbrighi, scrive: «Utilizzava i moderni mezzi di comunicazione informatici, di cui era uno straordinario conoscitore, aiutandoci con grande disponibilità e dedizione alla creazione del nostro sito internet su vatican.va». Addirittura un giovane ingegnere informatico con cui Carlo ha collaborato lo ricorda per il modo in cui utilizzava internet (come mezzo per fini di bene) e per come condivideva le sue conoscenze con tutti quelli che gli chiedevano aiuto.
Quando uno dei padri gesuiti propone alla sua classe di partecipare al cammino della Cvx (Comunità di vita cristiana), Carlo alza la mano e dice: «A me interessa questo itinerario evangelico che lei propone». È l’unico della sua classe a rispondere. All’istituto Leone XIII lascia un grande ricordo come un ragazzo capace di scherzare e di sorridere, ma anche deciso nel controllo, evitando di offendere o di essere volgare con le ragazze. Quelli che lo hanno conosciuto ricordano che custodiva una virtù «fuori moda», la purezza, e un rigore limpido nella vita morale. Il suo professore di religione del liceo rammenta che, durante una discussione in classe sul tema dell’aborto, Carlo fu l’unico a opporsi.
La bellezza del corpo e dell’anima
Dice di lui il papà: «La docilità al Signore non si può raggiungere senza allenarsi nella docilità ai propri legittimi superiori. In questo Carlo beneficiava di una specialissima grazia. Infatti fin da bambino, quando per qualche motivo lo riprendevo, si mostrava subito obbediente e sottomesso, senza mai mostrare alcun rancore, e questo nonostante avesse una forte e vivissima personalità. Chi ha conosciuto Carlo ha sempre notato una particolare armonia nel suo modo di porsi con il prossimo. Quante volte abbiamo sentito ripetere la frase: “Carlo è un ragazzo speciale”! È indubbio che Carlo possedesse un particolare dono di simpatia, ma questa attitudine non spiega da sola la traccia che ha lasciato in tanti cuori».
Come nelle arti umane l’eccellenza si ottiene attraverso duri e lunghi sacrifici, allo stesso modo nel campo spirituale non ci si può «elevare» se non attraverso la costanza delle pratiche di fede. «In Carlo — continua il padre — si poteva ammirare un continuo e sempre rinnovato orientamento della volontà al bene. Questo era possibile grazie al suo abbandono al Signore. I suoi segreti erano una ferma e sempre rinnovata volontà di mettere Dio al primo posto e il ricorso costante ai tesori amministrati dalla Chiesa: l’Eucaristia e la confessione».
Carlo è convinto che oltre al proprio corpo ci sia la cura della propria anima. Nei suoi appunti scrive: «Gli uomini si preoccupano tanto della bellezza del proprio corpo e non si preoccupano invece della bellezza della propria anima». La santità che Carlo vuole contagiare non è qualcosa di irraggiungibile: «La conversione — egli dice — non è altro che lo spostare lo sguardo dal basso verso l’alto: basta un semplice movimento degli occhi». Alzare lo sguardo significa investire su ciò che dura: «Che giova all’uomo — ripeteva Carlo — vincere mille battaglie, se poi non si è capaci di vincere se stesso con le proprie corrotte passioni?»; e ancora: «Non l’amor proprio, ma la gloria di Dio».
Il p. Roberto Gazzaniga, animatore spirituale dei licei e incaricato della pastorale scolastica dell’Istituto Leone XIII al tempo di Carlo, lo ricorda come esempio: «Dopo qualche mese dalla sua separazione dalla vita terrena e dai compagni di classe, ascoltandoli e chiedendo loro qualche nota caratteristica di Carlo che li aveva colpiti, diversi di loro hanno messo in risalto questa sua delicatezza nell’accorgersi, fin dai primi giorni di scuola, di coloro che facevano più fatica e della sua disponibilità ad affiancarsi a loro e a facilitarli nell’integrazione di classe, esortandoli a non esasperare la situazione e cercando di sciogliere resistenze e silenzi»[2].
Carlo aiutava extracomunitari, mendicanti, disabili, anziani, bambini. Si preoccupava degli amici i cui genitori si stavano separando e li invitava a casa sua per sostenerli; in classe prendeva le difese di coloro che avevano più difficoltà a integrarsi. In più di una occasione ha difeso i disabili che venivano presi in giro dai ragazzi. Anche lo «storico» portinaio della scuola dei gesuiti ricorda la finezza di Carlo, che andava sempre a salutarlo, se al mattino entrava per una porta secondaria. I compagni che lo ricordano sottolineano che la sua testimonianza di fede è stata contagiosa anche per la loro vita. Addirittura uno di loro afferma: «Dopo la morte di Carlo mi sono riavvicinato alla Chiesa e penso che potrebbe essere merito di una intercessione di Carlo».
A lui piacciono gli animali: ha due gatti, quattro cani e molti pesci rossi; il suo computer è pieno delle loro foto. Il suo amore per la creazione lo esprime nella sua particolare sensibilità ecologica; ogni volta che lo conducono al parco, raccoglie le cartacce. Gli piacciono gli aquiloni e i cartoni animati, i film e i giochi elettronici. Ama i personaggi dei Pokemon; è bravo con la play station; ama i film specialmente di azione e sfida i concorrenti nei programmi di quiz televisivi. La tecnologia che sa utilizzare è messa al servizio della sua vita interiore.
Pochi giorni prima di morire, con orgoglio mostra il suo slogan per partecipare al concorso nazionale «Volontario sarai tu!». Una frase semplice che però ricorda il valore assoluto per il Vangelo che è dare la vita per i propri amici (Gv 15,13). Infatti per Carlo «la tristezza è lo sguardo rivolto verso se stessi, la felicità è lo sguardo rivolto verso Dio». «Non io ma Dio», diceva Carlo che, per rivoluzionare la sua vita, ha aggiunto la lettera «D» davanti al proprio «io».
Il nutrimento dell’Eucaristia
È diventata famosa la sua frase: «L’Eucaristia è la mia autostrada per il Cielo!»[3]. Il segno più eloquente è voler anticipare la sua prima Comunione. Nell’incontro con il Corpo di Cristo riconosce la direzione verso cui incanalare i suoi desideri. Che il desiderio dell’Eucaristia non fosse un capriccio, lo intuisce il vescovo, mons. Pasquale Macchi, già segretario personale di Paolo VI, il quale garantisce di persona la sua maturità e la sua formazione cristiana come condizioni per anticipare la sua prima Comunione. Con una raccomandazione, però. Il prelato consiglia alla famiglia di celebrare il Sacramento in un luogo adatto per privilegiare il raccoglimento interiore rispetto alle distrazioni della festa. Così, il martedì 16 giugno 1998, a 7 anni, Carlo riceve per la prima volta il Corpo di Cristo nel monastero della Bernaga a Perego.
Secondo gli scritti e le riflessioni di Carlo, l’Eucaristia è anzitutto il «sacrificio» di Dio in favore dell’uomo. Una convinzione che lo porta a vedere il mondo con gli occhi di Dio. L’Eucaristia, che significa «ringraziamento», per Carlo ha due significati: quello della comunione e quello dell’adorazione. Attraverso l’adorazione Carlo vive una dimensione affettiva importante: silenzio e parola, ascolto e amicizia, mistero silenzioso e percezione profonda di Dio. Proprio la forza dell’adorazione fa comprendere a Carlo che il Corpo di Cristo, oltre a stare nell’Eucaristia, è nelle persone che si amano: poveri, piccoli, forestieri, ammalati, anziani, disabili, persone sole. I soldi che risparmia li regala ai poveri, agli anziani, alle suore di clausura, ai sacerdoti, agli extracomunitari. Per lui, «si va diritti in Paradiso, se ci si accosta tutti i giorni all’Eucaristia». Nella sua spiritualità si intrecciano elementi di mistica e di ascesi, di comunione e di contemplazione.
Carlo è fedele anche al sacramento della riconciliazione. Ci si confessa per valorizzare il bene che si compie, e riconoscere il male che lo ostacola. La confessione settimanale diventa per Carlo come un esercizio spirituale in cui ogni volta fa un proposito per camminare più libero: emendare un difetto o far crescere una virtù particolare ecc. Diceva: «Il più piccolo difetto ci tiene ancorati a terra allo stesso modo di come succede ai palloncini che vengono tenuti giù attraverso il filo che si tiene in mano». È piena di verità e bellezza una sua immagine: «La mongolfiera, per salire in alto, ha bisogno di scaricare i pesi; così l’anima, per elevarsi al cielo, ha bisogno di togliere anche quei piccoli pesi che sono i peccati veniali».
La mamma racconta che Carlo si domandava spesso come tanti potessero fare file interminabili per assistere a eventi mondani come un concerto rock e, pur essendo cattolici, non trovassero mai il tempo di stare anche pochi secondi in silenzio davanti al tabernacolo. Lo affermava dopo aver scelto di mettere Gesù Eucaristia al centro della sua vita. Secondo Carlo, l’episodio, citato nel quarto Vangelo, in cui durante l’Ultima Cena l’apostolo Giovanni posò il capo sul petto di Gesù è una prefigurazione della chiamata universale di tutti gli uomini a diventare anche loro discepoli prediletti del Signore attraverso un’intensa vita eucaristica.
Il gesto di Giovanni è per Carlo la via privilegiata per diventare intimi amici di Gesù, «anime eucaristiche», «anime adoratrici». «È meraviglioso — diceva Carlo —, perché tutti gli uomini sono chiamati a diventare, come Giovanni, discepoli prediletti: basta diventare anime eucaristiche, permettendo a Dio di operare in noi quelle meraviglie che solo Lui può fare! Ci vuole però la libera adesione della nostra volontà. Dio non ama forzare nessuno. Vuole il nostro libero amore». Il sacrificio della croce di 2.000 anni fa si ripresenta in modo incruento in ogni celebrazione eucaristica, e quindi per Carlo in quell’episodio Giovanni ci ha consegnato un modo per diventare discepoli prediletti, partecipando ogni giorno all’Eucaristia.
Carlo vive sobriamente, ci tiene all’essenziale, non vuole avere due paia di scarpe, litiga con i genitori che vogliono comprarne un secondo. P. Giulio Savoldi, cappuccino, ricorda ancora quando Carlo regalava i suoi risparmi alla mensa dei poveri o per le missioni. Diceva: «I soldi sono soltanto carta straccia: quello che conta nella vita è la nobiltà d’animo, ossia la maniera con cui si ama Dio e si ama il prossimo».
Per Carlo era importante imitare «i testimoni della carità». Andava al convento dei frati cappuccini di viale Piave a Milano, per venerare i corpi di due frati santi: Daniele da Samarate, morto di lebbra in Brasile per avere aiutato i lebbrosi; e fra Cecilio Cortinovis, che avrebbe voluto imitare padre Daniele, ma è stato lasciato dai suoi superiori in portineria e da quel luogo ha offerto da mangiare ai poveri che bussavano al convento. Carlo li ritiene due semi di amore utilizzati dal Signore per far nascere l’Opera San Francesco, che distribuisce ogni giorno 2.500 pasti ai poveri, medicine e vestiti. Carlo davanti a quell’opera non smetteva di stupirsi e si impegnava a sostenerla sensibilizzando famiglia e amici.
Sente vicina Maria. È affascinato delle storie delle apparizioni di Lourdes e di Fatima. Visita questi luoghi con i suoi genitori, e agli amici mostra le videocassette di quei santuari che descrivono la vita di Bernadette o dei tre pastorelli di Fatima. Medita le parole che la Madonna rivolge a Bernadette, e poi quelle a Lucia, Giacinta e Francesco, e si chiede che cosa significhino per lui. Decide di recitare ogni giorno il rosario, con le preghiere suggerite dalla Madonna.
Durante un soggiorno a Santa Margherita, poco prima di morire, chiede alla mamma: «Mi devo fare prete?». Ma la mamma — che lo aveva scoperto a «dire» la messa — gli risponde: «Questo non te lo posso dire io».
Uno sguardo al di là della vita
Oggi, soprattutto tra ragazzi a scuola o nei social networks, si fa fatica a parlare di vita oltre la morte. Invece la vita e la morte di Carlo ci provocano. Se oggi si vuole allontanare la morte con l’estetica e l’eterna giovinezza, la vita di Carlo ci insegna a guardare la morte all’interno dell’eternità di Dio. La separazione ha trasformato anche il rapporto tra Carlo e i genitori, che sono spettatori dei mille segni che le persone raccontano su Carlo.
La mamma stessa, con molta umiltà, riconosce che la vita di fede di Carlo ha cambiato la vita della famiglia facendola riavvicinare alla fede. In verità lo possiamo considerare anche un intercessore. Dopo quattro anni dalla sua morte, i genitori di Carlo hanno avuto due gemelli, Francesca e Michele. La forza che viene data ai genitori di Carlo affonda le radici nella testimonianza della Chiesa, che nella storia testimonia anzitutto come il Signore risorto ci accompagni e ci salvi non dalla morte, ma nella morte. Per questo sanno che «riconsegnare» un figlio a Dio significa collaborare a un progetto divino, che li chiama a offrire la sua vita nella Chiesa per il mondo. Tutto questo non riduce il dolore e non è nemmeno una forma compensativa alla sua assenza terrena, ma semplicemente rivela il bene che la testimonianza di Carlo sta portando.
I podcast de “La Civiltà Cattolica” | LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE
Da parecchio tempo, le cronache italiane sono colme di delitti perpetrati contro le donne. Il fenomeno riguarda tutte le età e condizioni sociali, tanto da sembrare endemico nella nostra società. A questo tema è dedicato un episodio monografico di Ipertesti Focus, il podcast de «La Civiltà Cattolica».
Rimane un’ultima considerazione. Come interpretare le migliaia di e-mail o di contatti che ogni settimana arrivano alla famiglia per testimoniare una presenza di Carlo che va oltre la sua morte? La vita di Carlo sta interrogando il cuore dei suoi coetanei[4]. Mons. Enrico dal Covolo, nel suo ricordo di Carlo pubblicato dall’Osservatore Romano il 17 ottobre 2007, cita un insegnamento di don Bosco vissuto da Carlo: «Sii sempre allegro; fa’ bene i tuoi doveri di studio e di pietà; aiuta i tuoi compagni».
La sua eredità
Quando nell’ottobre 2006 si ammala e si scopre che è colpito da leucemia fulminante (il tipo «M3»), che distrugge i globuli rossi del sangue più velocemente di quanti ne produca il corpo, Carlo dice alla mamma: «Da qui [l’ospedale] non esco più». Chiede di ricevere il sacramento dell’Unzione degli infermi e vuole che gli siano vicini la mamma e la nonna, che trascorsero quegli ultimi giorni all’ospedale San Gerardo di Monza, senza mai lasciarlo.
Sa che la sua vita sta terminando, ma agli infermieri e ai medici che gli chiedono come si sente, risponde: «Bene. C’è gente che sta peggio». Di notte non dorme a causa dei dolori, ma all’infermiera che gli chiede se desidera avere vicina la mamma, per sentirsi meno solo, Carlo dice di non svegliarla: «È tanto stanca anche lei e si preoccuperebbe ancora di più». Il suo cuore cessa di battere alle 6,45 del 12 ottobre 2006. Attualmente riposa nel cimitero di Assisi.
Carlo lascia una duplice eredità. Anzitutto quella della sua vita, il suo amore per l’Eucaristia. L’altra sua grande eredità è la sua mostra dei «miracoli eucaristici». Nel 2002, visitando il Meeting di Rimini, rimane meravigliato degli stand allestiti e viene ispirato ad allestire una mostra sui «miracoli eucaristici» approvati dalla Chiesa. Un lavoro impegnativo, che coinvolge anche i suoi genitori per circa due anni e mezzo. La prima mostra viene organizzata nella basilica di San Carlo al Corso a Roma. Successivamente va in Francia e in Belgio, poi in tutti i continenti[5]. Molti parroci chiedono di raccogliere la mostra in un catalogo. Da allora questa mostra, se ci è lecito dirlo visto i risultati, «sta facendo miracoli». È stata esposta nei cinque continenti. Solamente negli Stati Uniti è stata ospitata in migliaia di parrocchie e in oltre 100 Università. È stata promossa inoltre da alcune Conferenze episcopali, tra cui quelle filippina, argentina, vietnamita ecc.; è entrata perfino in Cina. Il Santuario di Fatima l’ha esposta in occasione del centenario di Francisco Marto.
Una sinfonia di voci e di testimonianze che non si conoscono tra loro sta portando avanti «la fama di santità» che la Chiesa potrebbe riconoscere con il tempo, proprio grazie al vangelo della sua vita.
Nella parole di Paolo VI ai giovani, nel messaggio di chiusura del Concilio (7 dicembre 1965), sembra di ritrovare le tracce della vita di Carlo: «Lottate contro ogni egoismo. Rifiutate di dar libero corso agli istinti della violenza e dell’odio, che generano le guerre e il loro triste corteo di miserie. Siate generosi, puri, rispettosi, sinceri. E costruite nell’entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!».
Copyright © La Civiltà Cattolica 2012
Riproduzione riservata
***
[1] Cfr F. OCCHETTA, Carlo Acutis. La vita oltre il confine, Gorle (Bg), Elledici – Velar; cfr http://www.carloacutis.com
[2] N. Gori, Eucaristia. La mia autostrada per il Cielo. Biografia di Carlo Acutis, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2007, 51. I principali dati vengono ripresi da questa biografia.
[3] La traccia di Carlo continua a far parlare le principali testate nazionali e diocesane. Anche la trasmissione «A sua immagine», che è andata in onda domenica 3 luglio 2011, gli ha dedicato una puntata (che si può rivedere dal sito www.carloacutis.com/) in occasione della preparazione al Congresso Eucaristico Italiano.
[4] Anche don Ennio Apeciti, responsabile del Servizio per le Cause dei Santi della diocesi di Milano, ha scritto di Carlo: «Un ragazzo normale, ma tanto singolare da suscitare un’ondata di ammirazione che fa pensare: forse Dio attraverso di lui vuole dirci qualcosa». Un ragazzo scrive nel suo blog: «Dopo aver conosciuto la sua storia, è impossibile non farsi delle domande su come viviamo la nostra fede nella vita, proprio per il fatto che non abbiamo l’alibi che sia una figura lontana, d’altri tempi». Poi aggiunge: «Ma io dov’ero in quel periodo, che facevo? […] Questo ragazzo è nato dopo di me, è morto prima, e guarda dov’è saputo arrivare!».
[5] La pagina web «www.miracolieucaristici.org/» li descrive perfettamente: 142 pannelli che spiegano in dettaglio i vari «miracoli eucaristici» avvenuti in 17 Paesi tra il XII e il XV secolo, da quello di Lanciano a quello dell’Escorial, da Siena a Onil, da Cascia a Trani, da Daroca a Bolsena ecc.