Bright Star (Gran Bretagna – Francia – Australia 2009).
Regista JANE CAMPION. Interpreti principali: A. Cornish, B. Whishaw, P. Schneider, K. Fox, E. Martin, T. Brodie-Sangster, O. Alexander.
Lui è John Keats (Ben Whishaw), uno dei più noti poeti del romanticismo britannico, morto a Roma di tubercolosi nel febbraio del 1821 a 25 anni di età. Lei è Fanny Brawne (Abbie Cornish), la giovane vicina di casa della quale Keats si innamorò, riamato, nel periodo che trascorse come ospite dell’amico Charles Brown (Paul Schneider), anche lui poeta, ma dotato di minore talento, nel villaggio di Hampstead a nord di Londra. Un amore breve e contrastato. Vi si opponevano in primo luogo le convenzioni sociali del tempo, secondo le quali un poeta misconosciuto e squattrinato (la fama di Keats cominciò a diffondersi soltanto dopo la sua morte) non poteva impalmare una ragazza di buona famiglia. Storia non meno infelice di quella di Giulietta e Romeo, vissuta dai due con una intensità che non fu sminuita, ma accresciuta dagli ostacoli che vi si frapponevano.
Il film Bright Star, realizzato dalla regista Jane Campion, neozelandese di origine e anglo-australiana di formazione, girato in nove settimane in Gran Bretagna più una giornata a Roma, prende il titolo da una poesia scritta da Keats nel 1819: «Bright Star, would I were steadfast as thou art… (fulgida stella, fossi fer-mo come tu lo sei…)», nella quale chiede alla stella polare, che contempla a occhi aperti la superficie del suolo, di poter contemplare allo stesso modo la sua amata «e così vivere in eterno, o se no venir meno nella morte». La regista ha scelto di raccontare questa storia assumendo il punto di vista di Fanny, una ragazza non priva a sua volta di estro creativo, ma che dedica tutte le sue energie ai lavori di ricamo e di cucito e soltanto a poco a poco si lascia avvincere dal mondo poetico di Keats.
Il film inizia con alcune immagini che sembrano riprese con il microscopio. Una gugliata di refe passa attraverso la cruna di un ago. La punta dell’ago, che l’ingrandimento esagerato fa apparire come un’arma micidiale, trapassa un tessuto di lino bianco. Sapremo in seguito che Fanny disegna e cuce personalmente i vestiti, ornati di trine e merletti, con i quali primeggia in eleganza tra le giovani del posto. La minuziosità dei ricami è come un filo conduttore (è il caso di dirlo) che unisce tra loro tutta una serie di inquadrature ristrette su particolari della vita domestica, le relazioni familiari che chiudono Fanny in un cerchio protettivo a volte un po’ assillante. I fratelli minori, Samuel (Thomas Brodie-Sangster) e la piccola Toots (Edie Martin) le cui guance assomigliano a boccioli di rosa, hanno dalla mamma (Kerry Fox), rimasta vedova dopo la lunga malattia del marito, l’incarico di non lasciarla mai sola.
Con queste immagini domestiche si intrecciano quelle relative agli incontri furtivi dei «casti amanti». Le mani che si sfiorano, l’anello di fidanzamento che Keats infila nel dito di Fanny. Alle immagini «ri-strette» si oppongono quelle «allargate» che intervengono quando i personaggi, visti da lontano, appaiono immersi nella natura, che può rivelarsi selvaggia sotto la sferza della pioggia nel cupo inverno, oppure sfolgorante nei colori radiosi della primavera quando l’amore trasporta il giovane poeta sulle ali di una effimera felicità. Se Fanny è controllata dai familiari, su Keats veglia l’occhio di Brown, il quale ritiene che un legame stabile potrebbe tarpare le ali alla fantasia dell’amico, avida di libertà per poter volare nei cieli della poesia. L’ostacolo più grave che impedisce a Keats e a Fanny di coronare il loro sogno d’amore è la malattia di lui, che all’epoca era ritenuta incurabile.
La storia, di cui si conosce in anticipo il finale, è triste. Keats, che ha avuto l’infanzia e l’adolescenza funestate dalla perdita di entrambi i genitori, nel momento in cui conosce Fanny è preso dalle cure che deve prodigare al fratello minore, Tom (Olly Alexander), gravemente infermo, che muore tra le sue braccia. Per Tom, Fanny ricama in una notte la federa del cuscino funebre sul quale Keats adagia il capo del fratello. Il ricamo rappresenta un albero sotto la neve. Lo stesso albero che la macchina da presa inquadra di lì a poco con un gioco di rinvii che collega reciprocamente l’immagine dal vero, quella ricamata e il sentimento al quale Fanny, non più dedita soltanto al desiderio di apparire elegante, apre il suo cuore.
La morte del poeta, che aveva invano cercato sollievo alla malattia nel mite clima italiano, è racchiusa in una sola immagine (nero su nero) ripresa dall’alto. In un’alba livida la bara accompagnata da due amici (un pittore e un medico) lascia la casa di piazza di Spagna (oggi trasformata in museo) per avviarsi verso il cimitero degli inglesi.
La Campion utilizza con parsimonia i versi di Keats nei dialoghi del film. Dalle parole la poesia si trasferisce alle immagini della pellicola, che assume così l’aspetto di un’autentica ballata. Il compito di trasferire sullo schermo il soffio della poesia è affidato alla luce. Quando il cuore di Fanny si apre all’amore per Keats, la luce invade la sua stanza e ne accarezza il corpo adagiato sul letto. Quando l’oggetto del suo amore le viene sottratto dalla malattia, dalla lontananza, dalla morte, la luce si attenua come la fiamma di una candela che si consuma nel buio della notte.