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Premessa
Il tema dell’«origine dell’uomo» divenne centrale negli sviluppi dell’antropologia da quando il concetto di «evoluzione» fu proposto come «postulato» interpretativo dell’origine degli esseri viventi. Tale postulato emerse nel pensiero biologico il 24 novembre 1859, nella famosa opera di Charles Darwin On the Origin of Species[1], definito da E. Mayr[2] «il libro che scosse il mondo», seguito nel 1872 dall’altra sua opera The Descent of Man. Alla morte dell’Autore, avvenuta il 19 aprile 1882, erano state vendute oltre 27.000 copie, seguite da recensioni di eminenti filosofi, teologi, scienziati e letterati in massima parte negative, delle quali va almeno menzionata quella di Louis Agassiz, famoso zoologo della Harvard University, che definiva la teoria di Darwin come un «errore scientifico, falso nei fatti, ascientifico nei metodi»[3].
Questo nuovo postulato, veramente rivoluzionario a quel tempo, formulato da Darwin, eccellente osservatore della natura, si fece strada nonostante una forte opposizione. Quindici anni dopo la sua pubblicazione, l’idea di Darwin era stata accettata dalla maggior parte dei più qualificati biologi. Oggi non mancano punti controversi, di una certa rilevanza, particolarmente relativi ai processi di formazione delle specie, delle loro modificazioni, della loro frequenza. Tuttavia il già citato e noto zoologo e teorico di biologia E. Mayr poteva affermare: «Probabilmente non c’è biologo oggi che potrebbe mettere in dubbio che tutti gli organismi ora presenti sulla terra discendano da una singola origine di vita»[4]. Affermazione che era stata anticipata come ipotesi dallo stesso Darwin, il quale scriveva: «Io potrei inferire per analogia che probabilmente tutti gli esseri organici che hanno vissuto su questa terra sono discesi da una qualche forma primordiale, nella quale la vita è stata insufflata»[5]. Asserzioni ampiamente confermate da scritti[6], conferenze, simposi e mostre svoltisi nel centenario della pubblicazione dell’opera di Darwin, e che E. Mayr sintetizzava con tutta chiarezza: «I punti essenziali della moderna teoria sono talmente consistenti con i dati della genetica, della sistematica e della paleontologia, che non si può mettere in questione la loro correttezza. La trama fondamentale della teoria è che l’evoluzione è un fenomeno a due stadi: la produzione di variazione e il sorteggio delle varianti per selezione naturale»[7].
L’accordo su questa tesi, tuttavia, non significa che il lavoro degli evoluzionisti sia terminato. E lo sviluppo della ricerca ha mostrato anche limiti e oscurità della teoria formulata da Darwin. Intricato è lo stesso primo più semplice passo, quello della speciazione[8], cioè della formazione di gruppi di popolazioni tra loro fertili, ma riproduttivamente isolati da altri, ad esempio la «specie umana». Quattro sono le domande fondamentali a cui si dovrebbe rispondere: come questa specie è originata; dove è apparsa; quando si è formata; quali ne furono le linee di diffusione. Tra queste, fondamentale nel tema evoluzione è la risposta alla prima domanda: «come si origina una specie?»; ma, nello stesso tempo, è la più difficile da dare. In realtà si tratta di spiegare, notava J. A. Coyne, che per molti anni si era dedicato allo studio di questi aspetti dell’evoluzione, «come un processo continuo di evoluzione possa produrre gruppi morfologicamente discontinui conosciuti come specie». E introduceva l’articolo sottolineando: «[…] detta da Darwin “mistero dei misteri”, la speciazione è ancora un campo dell’evoluzione poco compreso. L’analisi genetica, tuttavia, ha acquisito nuovi aspetti generali sulla speciazione e suggerisce promettenti vie di ricerca»[9]. Vie che sono state aperte in modo particolare da Th. Dobzhansky[10] ed E. Mayr[11], e hanno condotto a importanti conoscenze sulla comparsa dell’Homo Sapiens sapiens.
Alla ricerca delle piste dell’evoluzione umana
Nonostante le difficoltà di conoscere i meccanismi base dell’evoluzione, l’impegno di paleontologi, geologi ed esperti di morfologia comparativa e sistematica rese possibile tracciare una linea della storia evolutiva della vita dall’origine dei procarioti agli organismi più elevati[12]. Tuttavia si richiedevano ulteriori strumenti, più sensibili e più adatti, che furono offerti dalla genetica.
È ben noto oggi che nei 46 cromosomi umani, raccolti nel nucleo di ogni cellula di un dato soggetto, sono presenti complessivamente circa 23.328 geni codificanti, dai quali dipende la produzione di particolari molecole, dette proteine, che costituiscono l’impalcatura di numerosissimi tipi cellulari e la base della loro attività. Geni che possono essere soggetti a «mutazioni», le quali costituiscono uno degli importanti fattori dell’evoluzione. Mutazioni le quali, come affermano L. L. Cavalli-Sforza e collaboratori[13], costituiscono «il processo evolutivo stesso». Il lavoro compiuto finora, negli ultimi 30 anni circa, è stato vastissimo. Numerosi modelli sono stati proposti e metodi ancora più numerosi sono stati sviluppati, per l’accurata analisi e interpretazione dei dati richiesti per la soluzione dei problemi allo studio[14]. Modelli e metodi che avrebbero permesso di stabilire quanto geneticamente diversi tra loro fossero dati gruppi (divergenza genetica) e il tempo in cui avrebbe dovuto essere datato l’evento della divergenza o separazione dei gruppi considerati (distanza evolutiva). Sarebbe stato così possibile costruire gli alberi filogenetici, nei quali è rappresentata figurativamente la convergenza di singoli gruppi tassonomici all’antenato comune ed è fornita una visione plastica della «continuità fisica» tra ascendenti e discendenti. Appena le tecniche di genetica molecolare permisero di analizzare le variazioni genetiche direttamente sul DNA, questo divenne il materiale preferito per la ricostruzione dei processi evolutivi e per dare, possibilmente, una più solida consistenza al «postulato» dell’evoluzione degli esseri viventi e, in particolare, dell’uomo. Iniziava così l’era della «sistematica molecolare»[15], che ha condotto già a vere sorprese. Ci si mise così su questa nuova strada per rintracciare le piste degli antenati dell’«uomo moderno».
Il come dell’origine biologica dell’uomo rimane ancora del tutto nell’ombra e nell’ipotetico. Informazioni più sicure e definitive si potevano ottenere sul dove e sul quando egli sia apparso. A questi due aspetti, a iniziare dall’anno 1925 in cui R. A. Dart aveva descritto il primo ominide, l’Australopithecus, avevano lavorato soprattutto i paleoantropologi, aiutati da valenti geologi e fisici per la datazione dei reperti fossili[16]. Secondo le loro ricostruzioni, le Australopitecine, apparse in Africa circa 3,8-3,4 milioni di anni fa, con una capacità cranica di 350-530 cm3 ed elementi anatomici — soprattutto dei piedi e degli arti inferiori — che suggerivano un andamento bipede, furono considerate un «anello di congiunzione» con il phylum degli Ominidi apparsi in Africa. In particolare: l’Homo habilis da circa 2,2-1,6 milioni di anni fa, la prima specie in grado di produrre grossolani strumenti; poi, l’Ho-mo erectus da circa 1,6 milioni di anni fa, con una capacità cranica di 900 cm3 e molte ossa simili a quelle dell’uomo moderno. Da questo, migrato in Asia, sarebbero poi apparsi l’Homo neanderthalensis, esistito da circa 500.000 a 30.000 anni fa, e l’Homo floresiensis vissuto nell’isola di Flores dell’arcipelago Malese da circa 38.000 a 18.000 anni fa; e infine, circa 30-40.000 anni fa l’Homo sapiens moderno o Homo Sapiens sapiens.
Nonostante il gran numero di incertezze che ancora rimanevano nella datazione dei fossili, E. L. Simons poteva affermare: «Fatti molto importanti sono avvenuti relativi alle origini umane nel Sud-Est africano tra 2,3-1,7 milioni di anni fa: un significativo ingrandimento del cervello e la comparsa delle prime ossa retro craniali simili a quelle dell’Homo sapiens […]. Tuttavia c’è ancora da imparare sul corso dello sviluppo umano in quel periodo»[17]. C. B. Stringer e collaboratori notavano nel 1988: «Sebbene un’origine africana dell’Homo sapiens sia altamente probabile, il tempo esatto, il luogo e il modo dell’origine non possono ancora essere determinati». Ma concludevano: «Nella prossima decade vedremo importanti sviluppi nello studio delle origini dell’uomo moderno»[18]. E fu così. L. Vigilant e collaboratori potevano chiudere una rigorosa e impegnatissima ricerca affermando con coscienza: «Il presente studio sostiene fortemente l’affermazione che tutto il DNA mitocondriale (mtDNA), trovato nelle popolazioni umane contemporanee, deriva da un singolo mtDNA ancestrale, che fu presente in una popolazione africana approssimativamente 200.000 anni fa. Questo dato è perciò in accordo con l’affermazione che l’antenato comune dell’uomo anatomicamente moderno esistette in Africa entro gli ultimi 200.000 anni e che, dalla sua migrazione fuori dell’Africa, discesero tutte le popolazioni umane attuali dell’Eurasia»[19]. Affermazioni confermate da una schematica ma chiara sintesi offerta da Teo Goebel di tre ampie ricerche condotte e pubblicate da tre gruppi distinti nel 2006 e 2007 sull’emergenza dell’Homo sapiens in Africa e il suo passaggio in Europa. «Gli uomini moderni, sintetizzava, si dispersero fuori dell’Africa molto tardi tra i 60.000-50.000 anni fa. Una popolazione si diffuse all’est raggiungendo l’Australia tra 50.000-45.000 anni fa; un’altra si fermò nell’Asia sud-ovest e nell’India; ma dopo circa 5.000-10.000 anni, le popolazioni discendenti si espansero in modo drammatico colonizzando terre molto distanti l’una dall’altra, quali il nord Africa, l’Europa centrale e la pianura russa. Raggiunsero anche il sud della Siberia intorno a 45.000 anni fa e la Siberia artica intorno a 30.000 anni fa»[20]. Merita infine ricordare anche un dato, sottolineato particolarmente da P. Forster[21], relativo al probabile numero approssimativo di donne che sarebbero emigrate in questo primo esito dell’uomo moderno: sarebbe state tra 500 e 2.000. Donne, la cui capostipite dell’Homo Sapiens sapiens era esistita in Africa[22] intorno a 180.000-360.000 anni fa.
Ovviamente non mancano punti discutibili: è una caratteristica della ricerca scientifica che vuole conoscere la verità. Verità che dev’essere preceduta da un’approfondita analisi dei procedimenti e dei risultati ottenuti. Risultato che, nel presente contesto, è espresso nella conclusione di C. Stringer e R. Mckie al termine del loro straordinario lavoro scientifico sul tema dell’Esodo Africano: «Tutto questo lavoro semplicemente conferma la nostra certezza sulla recente diffusione, Out of Africa, degli uomini moderni che portarono le loro nuove meraviglie in un mondo che non le sospettava. Ovviamente l’impatto scientifico della teoria dell’Out of Africa è già stato enorme. Dieci anni fa […] non sarebbe stato possibile organizzare un congresso scientifico per discutere il nostro recente Esodo Africano.[…] Ma questi giorni sono passati. I proponenti ora dominano il campo.[…] Il nostro Esodo Africano, una volta eresia, è oggi ortodossia»[23].
Charles Darwin e l’«Origine delle specie»
In tale contesto non si può non ricordare la figura di Darwin che affrontò il problema della Origine delle specie[24]. Ne tracciò un sintetico profilo Gary Stix[25]. Entrato alla Scuola di Medicina, non terminò gli studi. Nel 1835, a 26 anni, Darwin, nonostante le resistenze del padre, si offrì volentieri come naturalista sul brigantino Beagle, che girò per cinque anni attorno alla terra, permettendogli di conoscere il mondo naturale e consentendogli un ampio tempo di riflessione. In 57 mesi attraversò il Brasile, l’Argentina e le isole Galapagos dell’Ecuador. Le sue osservazioni coprono 368 pagine di note zoologiche, 1.383 pagine di note geologiche, 770 pagine di diario; 1.529 erano le specie raccolte e fissate in alcool in bottiglie; e 3.917 erano i campioni seccati. Era stato, scriveva lui stesso nell’autobiografia[26], «l’avvenimento di gran lunga più importante della sua vita», l’evento che «ha determinato l’intero svolgersi della sua carriera». Il suo essenziale pensiero, tuttavia, sull’origine delle specie iniziato nel 1830 si era sviluppato lentamente: voleva essere certo dei suoi dati e dei suoi argomenti; esso veniva pubblicato nel 1859 con il titolo On the Origin of Species. Il concetto essenziale era stato definito «evoluzione ramificata» (branching evolution), cioè un insieme di specie che divergono pur provenendo da un antenato comune: Darwin stesso aveva tracciato già nel 1837 lo schizzo di un «albero della vita» (tree of life), che fu l’unica illustrazione del volume, le cui prime 1.250 copie furono immediatamente vendute. E concludeva così la sua opera: «A mio parere si accorda meglio su ciò che conosciamo delle leggi impresse nella materia dal Creatore, che la produzione ed estinzione degli abitanti passati e presenti del mondo siano state dovute a cause secondarie, simili a quelle che determinano la nascita e la morte dell’individuo. Quando io vedo tutte le cose non come creazioni speciali, ma come discendenti lineari di alcuni pochi esseri che vissero molto tempo prima che fosse deposto il primo strato del sistema siluriano, essi mi sembrano nobilitati».
L’Homo Sapiens sapiens
È certamente stimolante riconoscere le proprie origini biologiche: un capolavoro di fine complessità e di grande bellezza; ma è soprattutto estasiante ammirare i suoi poteri di intelligenza e di volontà nella piena libertà di conoscere e decidere. Sono queste le caratteristiche essenziali che distinguono l’essere umano da ogni altro animale. Caratteristiche tali che impongono alla scienza stessa interrogativi ancora più problematici di quelli delle sue origini biologiche. In realtà, in questa nuova specie è evidente la presenza di una straordinaria potenza: la «mente», che si impone come una vera novità. Th. Dobzhansky, ricercatore e pensatore che ha dato contributi fondamentali al tema dell’evoluzione, scriveva: «Senza dubbio la mente umana separa in modo netto la nostra specie dagli animali non umani. […] L’autocoscienza umana ovviamente differisce grandemente da ogni rudimento di mente che può essere presente negli animali non umani. La grandezza della differenza ne fa una differenza di tipo, non di grado. A causa di questa primaria differenza l’umanità divenne un prodotto straordinario e unico dell’evoluzione biologica»[27].
È la novità dell’Homo sapiens. Tutta la sua struttura biologica è un evidente capolavoro; ma è intrinsecamente associata a una componente non più di ordine materiale ma strettamente spirituale: lo «spirito» o «anima». Anima che esercita la funzione mente, radice comune delle due facoltà intelletto e volontà. È la vera struttura della persona umana: «corpo e spirito». Anzi strettissima è la relazione mente-corpo, relazione che implica due aspetti: uno di ordine psicologico fra intelligenza, volontà o libero arbitrio e funzioni neurofisiologiche e fisiologiche del corpo; e uno di ordine metafisico nella relazione anima e corpo. Un aspetto merita particolare attenzione: la relazione tra cervello e mente. In un accurato studio sull’architettura del cervello, L. W. Swanson affermava: «La corteccia cerebrale è l’incoronazione gloriosa dell’evoluzione. È la parte del sistema nervoso responsabile del pensare.[…] È l’organo del pensiero»[28]. E più in là, dopo aver sottolineato che «l’attuale organizzazione delle connessioni intracerebrali può ben essere oltre i limiti della comprensione umana» (p. 165), concludeva: «Gli emisferi cerebrali appaiono formare una unità integrata che, dal punto di vista funzionale, è responsabile della elaborazione della conoscenza e della trasmissione di influssi cognitivi ai sistemi motori, sensori e comportamentali» (p. 180).
In realtà, il cervello umano adulto di circa 1.300 grammi — costituito approssimativamente da 100 miliardi di neuroni, 30 dei quali nella corteccia cerebrale, e distribuiti in circa 100.000 tipi differenti[29] ciascuno contribuendo a differenti aspetti della vita mentale — non pensa, ma prepara, come sottolinea N. Chomsky, «la realizzazione fisica della vita mentale»[30]. Essenziale è, in questo processo, l’architettura e l’attività della neocorteccia cerebrale, le cui funzioni nell’uomo sono: l’esecuzione di compiti motori, quali i movimenti muscolo-scheletrici e oculari; l’espressione delle emozioni; l’uso della parola e un ordinato e attivo sviluppo mentale proprio della specie umana, immensamente superiore a quanto avviene nello sviluppo cerebrale dei primati più evoluti. Strumento straordinario costituito da parti costruite, elaborate e ordinate secondo un progetto scritto nel DNA proprio di ogni individuo: piano-programma che si attua gradualmente con lo sviluppo e la crescita del soggetto stesso. Meravigliosa complessa struttura, organo centrale ed essenziale della persona umana; strumento altamente perfezionato che riceve, registra e memorizza; ma, come sottolinea W. R. Stoeger in una serrata analisi filosofica sul problema cervello-mente: «Sappiamo che la materia è necessaria per l’esperienza mentale e spirituale; ma anche sappiamo che quello che capiamo e conosciamo sulla materia neurologicamente organizzata non è sufficiente a spiegare la manifestazione del mentale o dello spirituale»[31].
In realtà, a un’attenta riflessione emerge evidente l’esigenza e la presenza di una energia detta «mente», costituita da due forze: intelligenza, che pensa, e volontà, che sceglie e decide: forze non materiali ma spirituali, delle quali il cervello non è consapevole ma lo è la persona. Giustamente C. M. Streeter, nel prospettare una visione antropologica delle neuroscienze, afferma: «Il cervello non è la mente. Il cervello è l’infrastruttura fisiologica della mente.[…] Forse per la prima volta abbiamo avuto dalle continue scoperte scientifiche delle funzioni del cervello una modesta iniziale spiegazione del come funzioni empiriche appartengano propriamente allo spirito umano»[32].
L’enigma del linguaggio e l’energia della mente
Il misterioso emergere della parola nella specie umana appare, in realtà, un evento straordinario: è il mezzo della comunicazione del pensiero elaborato dalla mente attraverso una intensa e ordinata attività cerebrale. La storia dei linguaggi, tuttavia, ha avuto tempi diversi. Sinteticamente ricordati in una speciale sezione della rivista Science[33], sono: i linguaggi caratterizzati da suoni disarticolati detti «clicks» nel Sud Africa in attuali discendenti degli Hadzabe di 50.000-70.000 anni fa e dei San: linguaggi però non strettamente correlati e diversi tra loro; e i veri linguaggi che il linguista Joseph Greenberg numera a 7.000 nel mondo, raggruppabili in 176 famiglie. Linguaggi ricchi di parole, che esprimono capacità mentali ed elaborazione di un pensiero che comporta un significato.
Ovviamente, la costruzione di un linguaggio è indice della intelligenza che sottende lo sviluppo di un pensiero. Appare allora incomprensibile e fuorviante la posizione assunta e proposta da N. Chomsky[34] quando afferma: «Se noi accettiamo che le nostre menti sono il prodotto dei nostri cervelli, noi dobbiamo accettare che i processi base con cui sono costruite le nostre menti sono gli stessi di quelli che costruiscono i cervelli e i sistemi mentali degli altri organismi». Anzi, insiste: «Con i progressi della biologia molecolare e delle neuroscienze, possiamo ora comprendere, meglio che mai, quanto profondamente condividiamo la nostra eredità — fisica e mentale — con tutte le altre creature con cui noi condividiamo il nostro pianeta». Assurda negazione delle due potenze mente e coscienza, i due fattori caratteristici essenziali che separano nettamente la specie Homo sapiens da tutto il resto del mondo animale. Mente, energia che pensa, riflette e si esprime attraverso un linguaggio comprensibile, immensamente sviluppato e straordinariamente guidato dall’attività di miliardi di neuroni che operano ordinatamente senza soste nel cervello. Coscienza, riflessione che esamina ciò che la mente esprime, per giudicarne il valore: bene o male. In realtà, l’enigma della mente e della coscienza, esclusivo della specie umana, deve essere risolto e ad un livello molto superiore a quello strettamente biologico, che non potrà mai fornire una spiegazione convincente.
Molto chiari sono alcuni fattori essenziali di questa attività cerebrale ricordati da J. LeDoux[35], un noto ricercatore del Centro di Neuroscienze dell’Università di New York. Tra questi fattori, la «memoria» è la chiave che permette di comprendere il proprio «Io» da come lavora il cervello: il «sé» è stabilito e conservato nel cervello se è codificato come memorie, e gli sviluppi delle moderne neuroscienze hanno dimostrato che queste memorie esistono e sono di natura sinaptica, sono cioè connessioni tra neuroni dette «sinapsi», che sono il mezzo con cui il cervello compie i suoi impegni. In realtà, la memoria è la base fondamentale ed essenziale per l’attività della mente umana. Un secondo importante fattore è l’«attività genica», assolutamente indispensabile per l’esistenza e il modo essenziale di operare di questi sistemi di memoria. Geni la cui attività opera sulla nostra mente e sulle reazioni comportamentali preparando la via alla formazione delle sinapsi. Giustamente veniva sottolineato: «Molti opporranno che il sé è di sua natura psicologico, sociale o spirituale piuttosto che neurale. La mia affermazione che le sinapsi sono la base della vostra personalità non significa che la vostra personalità è determinata dalle sinapsi: piuttosto è al contrario. Le sinapsi sono semplicemente la via cerebrale per ricevere, accumulare e restaurare le nostre personalità». Di fronte alla rivelazione delle strutture del cervello umano[36] che si sviluppano gradualmente quale strumento indispensabile per consentire alla persona umana di elaborare ed esprimere i prodotti della sua mente e di scegliere ed eseguire le proprie decisioni, non può mancare la percezione di godere di un privilegio particolare fatto alla specie Homo sapiens.
Non si può tuttavia nascondere la fragilità connaturale di questa stupenda creatura Homo Sapiens. Si può comprendere come questa potenza «mente» in caso di situazioni che implicano l’alterazione di stati biologici cerebrali non possa più compiere la sua regolare funzione: le due forze «intelligenza» e «volontà» vengono a mancare della loro normale attività, a cui seguono disturbi della coscienza[37]. Ne sono espressione numerose e serie patologie dovute ad alterazione di stati di vigilanza e di lucidità, in particolare: «obnubilamento della coscienza», accompagnato da disturbi nella concentrazione e nella memoria, e nel rallentamento del pensare e dell’agire; «stato crepuscolare», con restringimento del campo di coscienza e interruzione dei rapporti con l’ambiente; «stato confusionale», caratterizzato da riduzione della capacità di giudizio critico, riduzione della memoria e deliri fino a quadri psicorganici ad andamento cronico di demenza e disintegrazione della personalità; e «coma», caratterizzato da perdita totale della coscienza.
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In sintesi, le osservazioni più aggiornate sul dove e sul quando degli antenati dell’Homo Sapiens sapiens indicano la sua origine in Africa approssimativamente 200.000-100.000 anni fa, seguita dalla sua diffusione in Eurasia e in tutto il resto del pianeta. La straordinaria novità di questo essere «corpo e spirito» è l’enigma della «mente», particolarissimo dono spirituale, che gli offre la capacità di pensare, di formulare ed esprimere i suoi concetti mediante il linguaggio, espressione di una intensa e ordinatissima attività cerebrale.
Nel ricordo del 150° anniversario dello scritto di Darwin On the Origin of Species è giusto riconoscere l’immenso dono di Dio Creatore, dello «Spirito» o «Anima» fatto alla specie Homo Sapiens sapiens.
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[1] Cfr Ch. Darwin, On the Origin of Species, London, John Murray, 1859; Id., The Descent of Man, ivi, 1872.
[2] Cfr E. Mayr, One Long Argument: Charles Darwin and the genesis of modern evolutionary thought, Boston, Harvard University Press, 1991.
[3] Ivi, 8 s.
[4] Ivi, 24.
[5] Ch. Darwin, On the Origin of Species, cit., 484.
[6] Cfr G. Stix, «Darwin’s Living Legacy», in Scientific American. Special Issue on the Most Powerful Idea in Science, vol. 300, January 2009, n. 1, 24-29.
[7] E. Mayr, Animal Species and Evolution, Cambridge (Mass.), The Belknap Press of Harvard University Press, 1963, 8.
[8] Cfr R. L. Carroll, Patterns and Processes of vertebrate evolution, Cambridge, University Press, 1997.
[9] J. A. Coyne, «Genetics and Speciation», in Nature, vol. 355, 1992, 511 e 515.
[10] Cfr Th. Dobzhansky, Mankind Evolving: The Evolution of the Human Species, New Haven, Yale University Press, 1962; Id. et Al., Evolution, San Francisco, W. H. Freeman Co., 1977.
[11] Cfr E. Mayr, Systematics and the Origin of the Species, New York, Columbia University Press,1942; One Long Argument: Charles Darwin and the genesis of modern evolutionary thought, Boston, Harvard University Press, 1991.
[12] Cfr M. Nei, Molecular Evolutionary Genetics, New York, Columbia University Press, 1987, 10; J. Maynard Smith – E. Szathmary, The Major Transitions in Evolution, Oxford, University Press, 1997; R. Fortey, A Natural History of the First Four Thousand Million Years of Life on Earth, London, Harper Collins Publishers, 1997.
[13] Cfr L. L. Cavalli-Sforza – P. Menozzi – A. Piazza, The History and Geography of Human Genes, Princeton (New Jersey), University Press, 1994, 4.
[14] Cfr M. Kimura, The Neutral Theory of Molecular Evolution, Cambridge (UK), University Press, 1983; A. Bowvock – L. L. Cavalli-Sforza, «The study of variation in the human genome», in Genomics, vol. 11, 1991, 491-498; J. C. Avise, Molecular Markers, Natural History and Evolution, New York, Chapman and Hall, 1994; W. L. L. Li, Molecular Evolution, Sunderland (Ma), Sinaures Associates, 1997; L. L. Cavalli-Sforza, «The DNA revolution in population genetics», in Trends in Genetics, vol. 14, 1998, 60-65; D. M. Lambert – C. D. Millar, «Ancient genomics is born», in Nature, vol. 444, 2006, 275 s.
[15] Cfr L. E. Maley – Ch. R. Marshall, «The coming of age of molecular systematics», in Science, vol. 279, 1998, 505.
[16] Cfr H. C. Hartzell, «The emergence of Homo sapiens», in Science, vol. 228, 1985, 868 s; C. B. Stringer – P. Andrews, «Genetic and fossil evidence for the origin of modern humans», ivi, vol. 239, 1988, 1.263-1.268; B. Wood, «Origin and evolution of the genus Homo», in Nature, vol. 365, 1992, 783-790; Id., «The oldest hominid yet», ivi, vol. 371, 1994, 280 s; P. Brown – T. Sutikna et Al., «A new small-bodied hominin tram the late Pleistocene of Flores, Indonesia», ivi, vol. 431, 2004, 1.055-1.061; P. Mellars, «Neanderthals and the modern human colonization of Europe», ivi, vol. 432, 2004, 461-465; R. E. Green – J. Krause et Al., «Analysis of one million base pairs of Neanderthal DNA», ivi, vol. 444, 2006, 330-336.
[17] Cfr E. C. Simons, «Human origins», in Science, vol. 245, 1989, 1.343-1.350.
[18] Cfr C. B. Stringer – P. Andrews, «Genetic and fossil evidence for the origin of modern humans», ivi, vol. 239, 1988, 1.263-1.268.
[19] L. Vigilant – M. Stoneking et Al., «African populations and the evolution of human mitochondrial DNA», ivi, vol. 253, 1991, 1.506 .
[20] T. Goebel, «The Missing Years for Modern Humans», ivi, vol. 315, 2007, 194.
[21] Cfr P. Forster – S. Matsumura, «Did Early Humans Go North or South?», ivi, vol. 308, 2005, 965 s.
[22] Cfr R. Lewin, «The unmasking of mitochondrial DNA and human evolution», ivi, vol. 238, 1987, 24-26.
[23] C. Stringer – R. McKie, African Exodus: The Origins of Modern Humanity, London, Jonathan Cape, 1996, 250.
[24] Cfr Ch. Darwin, On the Origin of Species, cit., 488.
[25] Cfr G. Stix, «Darwin’s Living Legacy», cit., cfr nota 6.
[26] Cfr G. Barsanti, «DARWIN Charles Robert», in Enciclopedia Filosofica Bompiani, vol. 3, 2.536-2.539.
[27] Th. Dobzhansky, «Evolution of Mankind», in Id. et Al., Evolution, San Francisco, W. H. Freeman & Company, 1977, 453.
[28] L. W. Swanson, Brain Architecture, Oxford, University Press, 2003, 157.
[29] Cfr R. D. Fields, «The other half of the brain», in Scientific American, vol. 290, 2004, n. 4, 27-33.
[30] N. Chomsky, The birth of the mind, Gary Marus, Basic Books, 2004, 71 s.
[31] W. R. Stoeger, «The mind-brain problem, the laws of nature, and constitutive relationships», in R. J. Russel et Al. (eds), The Neuroscience and Person, Berkeley (Ca), Center for Theology and Natural Sciences, 2002, 135.
[32] C. M. Streeter, «Organism, Psiche, Spirit», in Advances in Neuroscience. Proceedings of the ITEST Workshop, September 2002, St. Louis (Missouri), ITEST Faith/Science Press, 65.
[33] Special Section, «Evolution of Language», in Science, vol. 303, 27 february 2004, 1.315-1.335.
[34] N. Chomsky, The birth of the mind, cit., 87.
[35] Cfr J. LeDoux, «The Self: Clues from the Brain», in Id. – J. Debiec – H. Moss, «The Self: From Soul to Brain», in Annals of the New York Academy of Sciences, 2003, 295-304.
[36] Cfr A. Serra, «L’incanto del cervello e l’enigma della mente», in Civ. Catt. 2008 IV 228-238.
[37] Cfr P. F. Pieri, «Coscienza», in Enciclopedia Filosofica Bompiani, vol. III, Milano, Rcs Libri, 2006, 2.318 -2.330.