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All’invidiabile età di 94 anni l’inglese Esther de Waal, nota studiosa di spiritualità, ha ancora molto da dire, forte della sua lunga esperienza di vita, e ci propone un piccolo gioiello di sapienza. Si tratta di un volume che contiene un profondo messaggio esistenziale: l’uomo non deve restare legato al passato, ma aprirsi al nuovo, al domani, al futuro. Dopo il periodo di isolamento causato dalla pandemia di Covid 19, de Waal ha voluto condividere con i lettori i pensieri e i sentimenti sui quali la solitudine forzata l’ha portata a porre un’attenzione speciale; ne è scaturito uno scritto in grado di aiutare chiunque a scavare dentro di sé per cercare il senso più vero del vivere.
La situazione contingente da cui lo scritto ha preso origine è il cambiamento di casa, quando l’A. si è trasferita dalle Marche Gallesi a Oxford. De Waal ha sintetizzato questa sua esperienza con l’espressione «lasciare la presa», con la quale si può identificare una vera e propria arte. «Tutti noi – si legge nella Premessa – periodicamente dobbiamo affrontare il processo del “lasciare la presa” nel corso della nostra vita, e per ognuno la risposta sarà molto diversa. Ho l’impressione che quel che qui ho realizzato rappresenti poco più di qualche accenno e scorcio su un argomento assai vasto e vitale» (pp. 7 s). Ciò che dobbiamo imparare ad abbandonare sono prima di tutto le cose: il mondo – ci ricorda l’A. – non è un nostro possesso, noi lo abbiamo semplicemente in affitto; esso deve essere visto «come uno spazio di doni e non come uno spazio di oggetti da acquisire e consumare» (p. 62).
La seconda modalità del «lasciar andare» riguarda le persone: i figli, che a un certo punto hanno preso la loro strada e si sono allontanati, l’amato consorte, che è morto lasciandola sola. A proposito della solitudine, de Waal scrive: «In passato era stato facile, mentre facevo i ritiri, parlare in modo romantico della solitudine […]. Ma la vita solitaria era malinconica. Era triste cucinare solo per sé. Mi mancava la semplice compagnia a sera, seduti accanto al fuoco, a leggere o a conversare casualmente sugli eventi della giornata» (pp. 73 s).
Questa riflessione ne introduce subito un’altra: amare lasciando la presa è il cuore dell’amore di Dio per il mondo, un Dio che ci lascia liberi di seguirlo o di rifiutarlo. E dove possiamo trovare lo spunto per gioire di ogni cambiamento, anche se doloroso? Nei Salmi, nei quali quello della novità è un tema costante, ed essa è sempre considerata «un motivo per gioire, in un processo di continua trasformazione» (p. 99).
Un altro concetto molto interessante, sottolineato dall’A., è quello della «spiritualità della sottrazione», che permette di non rimanere attaccati al passato, acquistando così maggiore libertà. Infine, ineludibile, c’è la realtà della morte, che non deve essere un tabù, perché non è la fine di tutto, ma l’inizio di una nuova vita. Le molte citazioni e i numerosi rimandi letterari, filosofici e religiosi che si susseguono nel libro testimoniano la vasta cultura e la profonda sensibilità dell’A.