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Come celebrare un libro di genere ibrido, pubblicato nel lontano 1936, senza svelarne l’enigma, senza tediare il lettore con riferimenti a Raymond Chandler, Dashiell Hammett, senza chiamare in causa Edgar Allan Poe e persino le atmosfere di Francis Scott Fitzgerald, tutte cose che pure sono pertinenti? Forse impiegando la stessa tecnica centellinante di William Milligan Sloane III (1906-74), autore di due soli romanzi, usciti nel 1937 –To Walk the Night, appunto – e nel 1939 – The Edge of Running Water –, il quale poi, deposta la penna, divenne un’eminenza grigia editoriale nei successivi trent’anni.
Sloane costruisce la sua storia con la pazienza di un pittore impressionista: pare persino aver pianificato il tedio iniziale che questo lettore ha provato fino quasi ad abbandonare il libro, per poi venir ripescato da repentine sterzate della trama, da una tensione irresistibile, senza che questo richieda gli sforzi penosi di intrecci complicati, ma proprio l’opposto; è una marcia a passo lento dentro il mistero, una fredda onda di piena verso una risoluzione finale per il lettore.
La vicenda ha inizio una notte del 1936, quando Bark e Jerry, due giovani in visita alla loro ex università, trovano il professor LeNormand, luminare di astronomia, avvolto da un fuoco «mai visto». Ma come mai le fiamme che ne carbonizzano il corpo risparmiano tutto il resto, compresi i vestiti e le carte su cui stava lavorando? E chi è davvero Selena, l’intelligente, enigmatica moglie di LeNormand, destinata a sconvolgere la vita dei due giovani? Infine, quale inquietante rivelazione spinge poi Jerry al suicidio?
Il genere è genere, e Sloane è un maestro di mescolanza di horror, giallo e fantascienza. La prosa è piana, gelida a tratti, mancano quasi del tutto gli effetti a sorpresa. C’è il tranquillizzante senso comune – «Di norma, le cose della vita non si presentano sotto forma di fatti grandiosi e travolgenti, caratterizzati da una violenza teatrale. La vita è una serie di piccole cose che significano tanto o poco a seconda della posizione dell’osservatore» (p. 239) – e la deflagrazione dell’altro da noi, della relatività di ogni dimensione spazio-temporale, fisico-mentale, l’affondamento nelle sabbie mobili del mistero. E nel pericolo, il protagonista dice: «Santo Dio! – esclamai, esasperato –. Non vedi che la sua diversità è di un altro livello! Non capisci che non rientra nella normale varietà che si registra fra una persona e l’altra! Lei non è mai stata come noi» (p. 266).
Le domande, naturalmente, sono: cosa sia successo allo sfortunato astronomo, e perché. Uno dei due giovani, anch’egli scienziato, pensa di poter trovare le risposte; l’altro, il narratore, è sempre più sicuro che sarebbe meglio non farlo. E quella donna, moglie della prima vittima e poi dell’amico, è una donna senza passato o dal passato inconfessabile? E c’entrano la scienza, l’universo sensibile, o la vera partita si gioca nell’arcano, nell’inconoscibile, nella sua versione più oscura e violenta?
Lo sfondo del romanzo di Sloane è tipico americano: le partite di football, i campus universitari, le confraternite, i riferimenti (ironici) ai miti letterari dell’epoca, come Gertrude Stein, la vita sofisticata delle élite nelle grandi case di Long Island e a New York, ma anche in quell’ordinarietà alto-borghese ci sono incrinature sospette. Nello stadio stracolmo di pubblico, Bark rimugina: «Coglievo la presenza di un’energia terrificante e fuori controllo, di un campo di forze che apparteneva a una dimensione diversa dalle tre a cui si è abituati. Forse alla quarta dimensione del tempo, perché non saprei dire quanto sia durata» (p. 50).
Di rado l’abusato paradigma del cherchez la femme ha prodotto un risultato così originale: «Selena mi passò accanto. Raggiunse la scrivania lentamente, ma senza esitare, con un’espressione di perfetta calma, il viso di un angelo che non conosce tristezza né lutto né morte e nulla di ciò che fa battere il cuore agli esseri umani» (p. 253). L’appuntamento con il terrore è imminente.