Celebrava messa, da innocente, dietro le sbarre di una cella. Ora prega il rosario e scrive il suo diario, con le esili forze che gli restano, in un letto d’ospedale, dove si trova affetto da covid-19. Padre Stan Swamy, ottantaquattrenne gesuita indiano, accusato di “sedizione” e arrestato per presunta complicità con i ribelli maoisti, è un sacerdote che ha sempre concepito la sua chiamata di presbitero in senso pienamente oblativo. […] Alle politiche di privatizzazione e alle mire delle multinazionali, oggi sempre più pressanti, persone come Swamy si sono sempre opposte, continuando l’opera di formazione e istruzione dei leader indigeni, guidandoli nella tutela e nella salvaguardia della propria vita. Padre Stan «difende gli adivasi, li aiuta a far valere la loro dignità e i loro diritti e a esercitare la responsabilità, schierandosi al loro fianco nel contrastare quei processi di sviluppo che finirebbero per distruggerne la cultura e l’esistenza», ha spiegato su «La Civiltà Cattolica» a firma il gesuita indiano Stanislaus Alla. Padre Stan, in definitiva, sta pagando questo impegno e «l’assurda accusa di essere un terrorista è un evidente frutto di propaganda», ha asserito pubblicamente Rajdeep Sardesai, noto conduttore televisivo indiano, unendosi al coro di quanti ne chiedono il rilascio. […]

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