In carcere da più di un mese a 83 anni e malato di Parkinson con l’accusa di «terrorismo maoista». Semplicemente per essersi battuto negli ultimi vent’anni a Ranchi per i diritti degli adivasi – le popolazione tribali dell’India – sulle loro terre. Diritti riconosciuti sulla carta dalla Costituzione indiana, ma sempre più spesso spazzati oggi dall’alleanza tra i nazionalisti indù e le grandi imprese assetate di nuovi territori ricchi di minerali e altre risorse naturali. È l’odissea che sta vivendo in queste settimane padre Stan Swamy – gesuita originario del Tamil Nadu, anima a Ranchi del centro Bagaicha per l’istruzione e l’emancipazione degli adivasi – arrestato l’8 ottobre dalla National Investigation Agency e tuttora detenuto a Mumbai nonostante le proteste della Conferenza episcopale e di numerose realtà attive nel Paese sul tema della difesa dei diritti umani.

Proprio ieri l’agenzia UcaNews ha rilanciato l’allarme sulle condizioni di salutedi padre Stan, dando notizia di nuovi appelli per la sua liberazione. Ma quella che vede al centro padre Swamy non è solo una vicenda personale, ma una questione cruciale per l’India di oggi. È quanto scrive in un articolo in uscita sul prossimo numero della rivista La Civiltà Cattolica padre Stanislaus Alla, anche lui gesuita e teologo alla facoltà di Vidyajyoti a Delhi, che definisce questa vicenda il «momento Stan» per la Chiesa in India, sfidata oggi alla profezia rispetto a quanto sta succedendo nel Paese in questi ultimi anni. […]

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