L’appello dei capi delle chiese cristiane in Terra Santa ha avuto accenti inequivocabili: quest’anno il Natale va celebrato dalle comunità cristiane della regione «rinunciando a qualsiasi attività festiva non necessaria», in segno di lutto e di solidarietà con la popolazione civile di Gaza vittima del conflitto in corso.

Se la guerra sta travolgendo ogni residua speranza di pace e di un futuro diverso per israeliani e palestinesi, anche il ruolo e la presenza delle comunità cristiane sta precipitando in un abisso dal quale sarà difficile risalire. Forse la sparatoria, messa in atto dai militari israeliani contro la parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza, nella quale sono morte due donne, madre e figlia, sabato 15 dicembre, rappresenta in tal senso uno spartiacque. […]

Il gesuita David Neuhaus, professore al Pontificio Istituto Biblico di Gerusalemme, scriveva sulla Civiltà Cattolica nel luglio del 2022, come, in Terra Santa, «I cristiani sono chiamati a impegnarsi nella società civile, apportando contenuti incentrati su valori del Vangelo come giustizia, uguaglianza, pace, perdono e riconciliazione, ma anche chiedendo che venga promossa una realtà civile in cui a definire diritti e doveri sia la cittadinanza piuttosto che l’etnia o la religione».

Cittadinanza è dunque la parola chiave per aprire una breccia di speranza per i cristiani, evitando di cadere da una parte nell’equivoco di essere considerati impropriamente i rappresentanti dell’occidente, quindi un corpo estraneo; dall’altra per non ritrovarsi a servizio del padrone di turno, laico o religioso che sia, il quale, in un determinato momento offre protezione chiedendo in cambio consenso. […]

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