Questo decimo anniversario del pontificato di Francesco mi ha portato a dedicare particolare attenzione a due testi importanti. Il primo è il discorso pronunciato dal Segretario di Stato, Pietro Parolin, nel giorno del decennale, in occasione della presentazione del volume del direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, L’atlante di Francesco, recante un’indicazione preziosa circa la barra da tenere nell’azione diplomatica del «pontificato della fratellanza».

Il secondo è l’articolo pubblicato quello stesso giorno dall’ex direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, su Domani, che ha analizzato «le luci e le ombre» di un pontificato definito «incompiuto»: proprio qui avrei trovato il segno di una riforma, altresì, compiuta. Mi spiego.

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Parolin ha ricordato che il papa ha chiesto al mondo di pregare perché ci sia una grande fratellanza, già dal primo momento in cui si è affacciato dalla Loggia delle Benedizioni il 13 marzo 2013. Ha proseguito dicendo che «nel tempo in cui i pezzi della “terza guerra mondiale” vanno saldandosi tra di loro, occorre essere maggiormente consapevoli che l’attività diplomatica può essere efficace solamente quando riesce ad essere strumento di servizio alla causa dell’uomo e non semplicemente all’interesse nazionale. Questo comporta uno sforzo impegnativo ed esigente non solamente per conoscere le situazioni, ma anche per interpretarle, comprenderne le radici prossime e remote».

Ma come riuscirci? Parlando da cristiano e da diplomatico, ha detto che occorre risolvere i contrasti unendo «idee divergenti, posizioni politiche contrapposte e visioni religiose distanti». Poi ha scelto il discorso rivolto dal papa al corpo diplomatico nel 2016 per presentare, nel contesto presente, la «diplomazia della misericordia». […]

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