Il 28 ottobre del 1922 15.000-20.000 camice nere, guidate da Emilio De Bono, Italo Balbo, Cesare De Vecchi e Michele Bianchi, retoricamente chiamati “quadrunviri”, provenienti da diverse regioni d’Italia, convergono a Roma da diverse direzioni, su camion e treni speciali requisiti con la forza. Benito Mussolini, quattro giorni prima, in un grande raduno a Napoli l’aveva preparata e preannunciata, anche se, alla vigilia aveva preferito restare a Milano e giungerà a Roma in vagone letto, dopo il successo non scontato dell’atto di forza, dovuto al cedimento del re Vittorio Emanuele III, che si rifiutò di firmare lo stato d’assedio nella Capitale, pur difesa da truppe del regio esercito, ben più numerose, addestrate ed equipaggiate delle colonne fasciste. […]
Durante questa crisi, ha scritto Artuto Carlo Jemolo, nel suo magistrale libro, Chiesa e Stato in Italia, «la gerarchia ecclesiastica restò assente e col cuore in sospeso». Padre Giovanni Sale nell’ultimo quaderno di La Civiltà cattolica, nel denso saggio, A cento anni dalla Marcia su Roma, ha scritto: “Quale atteggiamento assunse il neoeletto pontefice Pio XI nei confronti del nuovo governo fascista? Possiamo affermare che essa, pur non assolvendo il fascismo per le violenze commesse, cercò di dare fiducia a Mussolini, nella speranza che riuscisse a “cristianizzare” il partito che si credeva dominato dalla massoneria e, partendo dalla sua posizione di forza, riuscisse a dare uno sbocco soddisfacente alla Questione Romana” […].