Il 14 novembre 2024 si è chiusa la fase diocesana della Causa di beatificazione di padre Pedro Arrupe Gondra SJ, ventottesimo superiore generale della Compagnia di Gesù. La Sessione di Chiusura dell’inchiesta diocesana sulla vita, le virtù, la fama di santità e dei segni del Servo di Dio – che cade proprio nell’anniversario della sua nascita – si è svolta a San Giovanni in Laterano ed è stata presieduta da Mons. Baldassare Reina, Vicario Generale della Diocesi di Roma. In poco meno di sei anni dall’apertura della causa, avvenuta il 5 febbraio 2019, il tribunale ha raccolto le prove orali e documentali per avvalorare la fama di santità del Generale dei gesuiti. Nonostante l’interruzione del Covid, più di 70 testimoni sono stati interrogati a Roma, Madrid e in Giappone, visitando i principali luoghi in cui aveva vissuto.
La Commissione storica, inoltre, ha raccolto quasi diecimila pagine di scritti inediti di p. Pedro Arrupe, in particolare la sua corrispondenza con i gesuiti e altre persone durante il suo governo a Roma. Tale documentazione è stata consultata per trovare gli aspetti più significativi della sua persona e della sua attività. Inoltre, diversi censori teologici hanno esaminato i numerosi scritti da lui pubblicati, alcuni dei quali solo in giapponese, e hanno riscontrato che in essi non vi era nulla di contrario alla “fede e ai costumi” della Chiesa.
Gli inizi, l’esperienza dell’atomica di Hiroshima e l’attenzione per gli ultimi
P. Arrupe nasce a Bilbao, in Spagna, il 14 novembre 1907. Studia medicina a Madrid dal 1923 al 1927, anno in cui entra nel noviziato di Loyola. Dopo gli studi umanistici e di filosofia si laurea in teologia e viene ordinato sacerdote il 30 luglio 1936, a Valkenburg, in Olanda, dopo che nel 1932 viene espulso dalla Spagna con tutti i suoi compagni gesuiti. Chiede ai suoi superiori di andare missionario in Giappone, a cui è destinato nel 1938. È maestro dei novizi quando, il 6 agosto 1945, è testimone dell’esplosione atomica di Hiroshima. Per aiutare la popolazione trasforma il noviziato in un ospedale da campo e, grazie alla sua formazione medica, è in grado di aiutare molti feriti. Nel 1958 viene nominato provinciale della provincia gesuitica del Giappone.
Nel 1965 viene eletto superiore generale della Compagnia di Gesù, accompagnando l’ordine dei gesuiti attraverso il grande cambiamento che rappresenta il Concilio Vaticano II. La questione che padre Arrupe ha più a cuore è l’attenzione agli ultimi: è sotto la sua guida che la Compagnia reinterpreta la sua missione come servizio della fede e promozione della giustizia. In maniera particolare si spende per i rifugiati ed è grazie a lui che nel 1980 nasce il Jesuit Refugee Service. Nell’estate del 1981 un ictus lo conduce alla paralisi e alla perdita della parola. Muore nel 1991.
Il «Cristo povero e umiliato» che ha segnato la sua esistenza
Numerosi sono i discorsi, le conferenze e le lettere del p. Arrupe che sottolineano il posto decisivo di Dio nella vita umana, così come nella stessa vita del gesuita. A chi gli chiedeva quale posto avesse Cristo nella sua vita, p. Arrupe risponde: «Per me Gesù Cristo è tutto. Così si definisce ciò che rappresenta Gesù Cristo nella mia vita: tutto». «Togliete Gesù Cristo dalla mia vita, e tutto crollerà come un corpo a cui si toglie lo scheletro, il cuore e il capo».
P. Arrupe, inoltre, ha sempre posto l’accento sul «Cristo povero e umiliato» che «si rivela a noi in modo particolare nel volto dei poveri che, nel nostro mondo, sono in qualche modo la sua presenza e il suo quasi sacramento», scrive Simon Decloux S. I. nel numero 3969 del 2015 de La Civiltà Cattolica. In uno dei suoi interventi al Congresso Eucaristico Internazionale di Philadelphia nel 1976, afferma: «Se in qualche parte del mondo esiste fame, la nostra celebrazione eucaristica in tutte le parti del mondo è in qualche modo incompleta». E ancora: «Non possiamo ricevere pienamente il Pane della Vita se non diamo allo stesso tempo pane per la vita a coloro che si trovano nel bisogno, ovunque e chiunque essi siano». Tutti i suoi biografi, infine, osservano che p. Arrupe pregava molto. «Non era però un uomo di Dio soltanto perché pregava molto, ma anche perché ragionava e decideva secondo le categorie divine. Pensava, parlava e agiva secondo tale prospettiva», scrive Elías Royón S.I. nel numero 4049 del 2019 de La Civiltà Cattolica.
Due aspetti della vita di p. Arrupe ricordati anche da Papa Francesco conversando con i gesuiti dell’Indonesia, Timor-Leste e Singapore nel suo recente viaggio apostolico. «Padre Arrupe ha voluto che i gesuiti lavorassero con i rifugiati – una frontiera difficile –, e lo ha fatto chiedendo loro innanzitutto una cosa: la preghiera, più preghiera. Il suo ultimo discorso, che fece a Bangkok, fu il suo testamento rivolto ai gesuiti. Disse che solamente nella preghiera troviamo la forza e l’ispirazione per affrontare l’ingiustizia sociale».