«Colla Chiesa voglio sentire,
esplicitamente dove conosco le sue decisioni,
implicitamente dove non le conosco:
sono e voglio essere colla Chiesa fin dove lo so,
fin dove veggo e oltre».
(Alessandro Manzoni.
Lettera a p. Antonio Cesari,
citata da san Paolo VI il 19 maggio 1973)
Il 22 maggio 2023 ricorrono 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni. Alla sera di quel giorno del 1873, uno dei grandissimi della letteratura italiana morì per le conseguenze di una caduta sulle scale della chiesa dei gesuiti di San Fedele, a Milano, a pochi passi dalla sua abitazione. Ai funerali solenni, tenutisi in Duomo alla presenza delle più alte autorità dello Stato italiano, parteciparono migliaia di persone e la morte ebbe vasta eco sulla stampa nazionale ed estera, tale era la fama già in vita del poeta lombardo, anche fuori dei confini della penisola.
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Tuttavia, il fascicolo della nostra rivista immediatamente successivo all’evento non riportò la notizia o quasi. Se ne trova solo un accenno – nove righe, 97 parole in tutto – in una «Cronaca contemporanea», nella parte dedicata alle «Cose italiane», che tratta delle morti illustri tra i «protagonisti della rivoluzione». Nel medesimo articolo, per inciso, vengono concesse oltre 45 righe a Urbano Rattazzi. Il tono di queste poche parole su Manzoni[1] è vagamente sarcastico, e comunque per nulla mesto e luttuoso. Era il tono che caratterizzava la polemica aperta da tempo dai gesuiti della Civiltà Cattolica contro i liberali. Come è possibile? E cosa c’entra Manzoni con la «rivoluzione»? Non è egli sempre stato considerato un «campione» del cattolicesimo e un esempio della moderazione borghese?
È anche sulla spinta di queste domande che abbiamo voluto dedicare il 24° volume delle nostre monografie ad Alessandro Manzoni. Vi abbiamo raccolto alcuni articoli dedicati, fino a oggi e sin quasi dalle origini, al «gran lombardo», definizione coniata proprio su queste pagine. La bibliografia completa è ovviamente molto più copiosa, ma ci sembra di offrirvi in questo modo una testimonianza ragionata e ampiamente rappresentativa del lungo e articolato rapporto dei gesuiti della Civiltà Cattolica con l’autore del romanzo più studiato della letteratura italiana, I Promessi Sposi.
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Salvo i primissimi articoli (1851), fino praticamente agli albori del Novecento, la nostra rivista non fu benevola con Manzoni, che pure è stato il più grande poeta italiano che, dopo Dante Alighieri, abbia consapevolmente manifestato la sua adesione alla fede cattolica e alla Chiesa. Alla luce di una attenta lettura critica, il pregiudizio non sembra riguardare né l’uomo né il cristiano né l’artista, sebbene, come si vedrà, non manchino alcune osservazioni quasi sprezzanti sulla sua opera. Il pregiudizio degli scrittori della Civiltà Cattolica su Manzoni – definiti allora «i pretoriani di via di Ripetta» (prima sede romana della rivista) – riguarda le sue scelte politiche. Un pregiudizio che li ha portati talvolta a difendere idee che magari personalmente non condividevano, ad attaccare sul piano dei princìpi persone che in fondo stimavano. Una censura puntigliosa e sostanzialmente ingiusta che deve essere letta dunque come un episodio della lotta di quegli anni da parte della Chiesa e dei cattolici «impegnati» contro il liberalismo teorico e politico.
D’altra parte, oltre alla scelta di campo «cattolico-liberale», e all’aver caldeggiato l’Unità d’Italia, gli si rimproverava il romanticismo, considerato allora come il terreno di coltura del liberalismo e dello spirito rivoluzionario. E lo si accusava, inoltre, di essere rimasto intimamente giansenista, considerando la formazione di chi lo aveva accompagnato, insieme all’amata prima moglie Enrichetta Blondel, alla sua cosiddetta «conversione» al cattolicesimo. Forse i gesuiti della rivista non conoscevano la lettera del Manzoni al p. Antonio Cesari dell’8 settembre 1828 – ne riportiamo una frase in esergo – in cui egli rispondeva alla manifesta accusa di giansenismo con parole piuttosto chiare e accorate.
A Manzoni venivano contestate anche certe «cattive compagnie», come Niccolò Tommaseo e, soprattutto, Antonio Rosmini; e dovette avere un peso molto significativo in quei frangenti il caso di padre Carlo Maria Curci, fondatore e direttore de La Civiltà Cattolica. Egli, da antiliberale e difensore del potere temporale del Papa, dopo la breccia di Porta Pia e l’inizio della «questione romana», cominciò a vedere nello Stato unitario un’autorità civile con cui bisognava ormai venire a patti in qualche modo. Una posizione molto vicina a quella di Manzoni e Rosmini, peraltro, e che lo portò all’espulsione dalla rivista, dalla Compagnia di Gesù e persino alla sua sospensione a divinis nel 1884. La durezza delle conseguenze sulla vita di Curci meglio di ogni altra considerazione fa cogliere il clima in cui si sviluppava la critica al Manzoni.
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Se si eccettua un breve riferimento in una nota di un precedente articolo (polemico) sui Dialoghetti di Luigi De Sanctis, la prima volta che la nostra rivista parla espressamente del Manzoni è nel giugno del 1851, con una «Rivista della stampa italiana» di p. Luigi Taparelli d’Azeglio, co-fondatore de La Civiltà Cattolica e fratello di Massimo. Si tratta di una recensione delle Opere di Alessandro Manzoni edite da Giuseppe Redaelli, in cui in particolare il gesuita, usando espressioni che non nascondono grande stima, si sofferma su un Trattatello in cui l’autore dei Promessi Sposi «condanna» il romanzo storico, e che per questo Taparelli definisce una sorta di «sagrifizio d’Abramo». Segue un altro lusinghiero articolo di p. Taparelli sul dialogo Dell’Invenzione a proposito dell’origine dell’ispirazione artistica. Dopodiché passano 10 anni prima che La Civiltà Cattolica parli ancora del Manzoni come scrittore. E 60, con i saggi di p. Giovanni Busnelli, come vedremo, prima che un gesuita scriva dell’opera del poeta lombardo con la medesima stima dimostrata da p. Taparelli.
Un segno della «svolta» critica della nostra rivista può essere considerato il lunghissimo articolo di p. Francesco Berardinelli del 1868, in cui dà conto della relazione che il governo italiano ha chiesto a Manzoni a proposito «dell’unità della lingua italiana e dei mezzi di diffonderla». Nelle sue considerazioni il gesuita, pur usando numerose espressioni di stima e di lode per il già ultraottantenne Manzoni, intende mostrare come l’autore degli Inni sacri sia in pratica andato «fuori tema» rispetto alle richieste del ministro dell’Istruzione, complicando una questione che gli si chiedeva di semplificare. Ma soprattutto Berardinelli compie il primo vero duro attacco politico allo scrittore, citando il Times di Londra per mostrare indirettamente la posizione opportunistica del Manzoni «partigiano» dell’Unità d’Italia.
Di come la rivista abbia dato conto della morte di Alessandro Manzoni abbiamo già detto. Un mese dopo le esequie esce una Corrispondenza non firmata in cui, prendendo spunto da una pubblicazione di Giuseppe Puccianti sul Manzoni, si critica pesantemente e in modo irridente la posizione politica dello scrittore usando le sue stesse parole e i suoi stessi personaggi. Manzoni viene paragonato, infatti, al «suo» don Ferrante, uomo di cultura ma inetto e senza carattere, che fa decidere gli altri per sé, colpevole di aver detto troppi sì alla signora (donna Prassede) rivoluzione.
Finito il Risorgimento, l’ostilità dei padri della rivista – e di una buona parte della Chiesa – verso Manzoni si trasformerà piuttosto rapidamente, anche perché quelle energie a quel punto vengono dirottate sulla polemica antimodernista. In particolare La Civiltà Cattolica, in presenza di smisurati attacchi alla cultura e alla morale cattolica del Manzoni, inizia a rilevarne i meriti. L’inversione di tendenza comincia a manifestarsi già alla fine dell’Ottocento, in particolare con un saggio di p. Gaetano Zocchi del 1899 su La decadenza e la depravazione dell’arte. Sebbene non manchi cautela e qualche ombra, il fatto nuovo è che Zocchi inizia una sorta di «riappropriazione cattolica» del Manzoni, il quale viene anche portato ad esempio contro la corruzione e l’oscenità della moderna letteratura. Il Manzoni de I Promessi Sposi, degli Inni Sacri e delle Osservazioni sulla morale cattolica entra decisamente nella cultura cattolica ufficiale del nuovo secolo. Su La Civiltà Cattolica il ritorno in porto, almeno dal punto di vista letterario, lo compiono i successivi saggi di p. Busnelli, dantista eccellente e stimato, il quale, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte (1923), arriva a definire Manzoni «principe del romanticismo italiano», usando poi un’altra immagine molto ricca di suggestioni: «Pur non essendo figlio del romanticismo, ne divenne il padre più illustre».
Sul piano politico-ecclesiale la riabilitazione ufficiale del «gran lombardo» la farà direttamente Pio XI, inserendo un’ampia citazione delle sue Osservazioni sulla morale cattolica nella Divini illius magistri (1929), una Enciclica sull’educazione dei giovani, pubblicata nell’anno del Concordato con lo Stato italiano. Il Pontefice dice, introducendo la citazione, che «è degno di nota come abbia saputo bene intendere ed esprimere questa dottrina cattolica fondamentale un laico, mirabile scrittore quanto profondo e coscienzioso pensatore». Come riassunse p. Rosa in un suo articolo del 1931, che segna la definitiva pacificazione politica della rivista col Manzoni, «l’antica prevenzione» era «non contro l’ortodossia degli scritti, che per noi fu sempre indiscutibile, ma contro la “romanità” del sentimento, la purità dello spirito cattolico…».
Da quel momento sino a oggi la riflessione sul Manzoni nelle pagine de La Civiltà Cattolica si è attestata su un registro di grandissimo rispetto e stima, sia quando si è trattato di critica letteraria sia quando si sono attualizzati i risvolti teologici e le implicazioni politico-sociali della poetica manzoniana. Non è mancata una venatura polemica verso quella corrente culturale di fine Novecento che ha cominciato a dimenticare e a mettere ai margini l’opera dello scrittore lombardo.
Eppure, è proprio lo sguardo manzoniano sulla realtà, sui vissuti e sull’azione di Dio nella storia concreta delle persone che lo rendono, in particolare col suo Romanzo, molto attuale e universale. Lo conferma, a chiudere questo volume, il saggio ancora inedito a cura di p. Diego Mattei sulla Storia della Colonna Infame, nata come appendice e poi divenuta capitolo finale del Romanzo. Un’opera di forte impulso etico che parla al mondo civile di oggi nel suo essere, da un lato, condanna del potere «cieco», che insegue il consenso anche a prezzo della vita degli innocenti e di gravi ingiustizie; dall’altro lato, valorizzazione della responsabilità personale, che va custodita ed esercitata in ogni frangente.
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Se consideriamo la ricezione di Manzoni, La Civiltà Cattolica ha pure argomentato l’interesse di papa Francesco per il romanzo manzoniano. In una mia riflessione più ampia sulle letture che hanno formato Jorge Mario Bergoglio, l’attenzione per I Promessi Sposi è stata documentata puntualmente[2].
Descrivendo che cosa intende per «classe media della santità» – espressione tratta dallo scrittore francese Joseph Malègue –, Francesco ha affermato: «Io vedo la santità nel popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati, i preti anziani che hanno tante ferite ma che hanno il sorriso perché hanno servito il Signore, le suore che lavorano tanto e che vivono una santità nascosta. Questa per me è la santità comune». Non siamo lontani dai motivi che lo hanno spinto a leggere quattro volte il romanzo di Manzoni. Ne aveva parlato nell’intervista del 2013 per La Civiltà Cattolica con un ricordo molto personale: «Ho letto il libro I Promessi Sposi tre volte e ce l’ho adesso sul tavolo per rileggerlo. Manzoni mi ha dato tanto. Mia nonna, quand’ero bambino, mi ha insegnato a memoria l’inizio di questo libro: “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti…”»[3].
In una successiva intervista, ha ricordato il primo legame con questo romanzo: «La nonna ci leggeva qualche capitolo de I Promessi Sposi, e anche ci aiutava a studiarli a memoria. Recentemente li ho ripresi, perché ogni volta che li apri vi trovi qualcosa di nuovo. Spesso I Promessi Sposi mio padre ce li recitava a memoria e poi ce li spiegava»[4]. Non si può non notare come la passione per il romanzo manzoniano sia per Bergoglio frutto di letture fatte in famiglia, di ricordi personali che hanno il calore degli affetti, della presenza della nonna e del padre.
L’opera di Manzoni è il romanzo della «gente meccanica e di piccolo affare» che diventa strumento della Provvidenza divina. Le storie e la Storia si intrecciano, attraversando le tribolazioni. Su questo piano storico si manifestano le macchinazioni umane e si sperimentano le consolazioni di Dio. Lucia, che a pieno titolo rientra nelle figure della «classe media della santità», è perseguitata dalla meschinità umana. Proprio lei porta l’annuncio della misericordia di Dio. È questo il senso profondo dell’incontro drammatico con l’Innominato, sequestratore, al quale viene fatto l’annuncio della misericordia di Dio: «Cosa posso pretendere io meschina, se non che lei mi usi misericordia? Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia!».
Bergoglio è chiaramente colpito dalle opere che mettono in campo la misericordia, una letteratura della misericordia. Notiamo che le parole di Lucia davanti all’Innominato sono state citate in un momento chiave dell’inizio del pontificato, a Lampedusa, l’8 luglio 2013: «Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto».
Ne I Promessi Sposi si parla di Federigo Borromeo, per il quale, scrive Manzoni, «non ci esser giusta superiorità d’uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio». Questo capitolo de I Promessi Sposi in cui si descrive la figura del cardinal Federigo nel suo incontro con l’Innominato andrebbe indagato meglio per ritrovare elementi della visione bergogliana. Ricordiamo che anche Paolo VI lo aveva citato nella sua Udienza generale del 9 ottobre 1968.
In un’intervista che Francesco ha concesso a Austen Ivereigh durante la pandemia si fa riferimento all’opera manzoniana. Nota giustamente Ivereigh che nel romanzo «appaiono diversi personaggi ecclesiastici: il prete codardo don Abbondio, il santo cardinale arcivescovo Borromeo, i frati cappuccini che si prodigano nel “lazzaretto”, una specie di ospedale da campo dove i contagiati vengono tenuti rigorosamente separati dai sani». Per questo chiede al Pontefice come vede la missione della Chiesa alla luce del romanzo e della crisi pandemica. Risponde Bergoglio: «Il cardinale Federigo è un vero eroe di quella peste a Milano. In un capitolo, tuttavia, si dice che passava salutando la gente, ma chiuso nella lettiga, forse da dietro il finestrino, per proteggersi. Il popolo non ci era rimasto bene. Il popolo di Dio ha bisogno che il pastore gli stia accanto, che non si protegga troppo. Oggi il popolo di Dio ha bisogno di avere il pastore molto vicino, con l’abnegazione di quei cappuccini, che facevano così»[5].
Francesco aveva fatto una citazione indiretta di questo passaggio de I Promessi Sposi in Brasile, rilasciando un’intervista a Gerson Camarotti, dell’emittente Rede Globo, il 25 luglio 2013. Quando Francesco è arrivato a Rio de Janeiro, infatti, sono stati commessi degli errori nel sistema di sicurezza e la sua automobile si è ritrovata bloccata in mezzo alla folla. Il Papa ha commentato: «Prima di partire sono andato a vedere la papamobile che doveva essere portata qui. Aveva tanti finestrini. Se vai a vedere qualcuno a cui vuoi tanto bene, amici, con voglia di comunicare, vai a visitarli dentro una cassa di vetro? No. Non potevo venire a vedere questo popolo, che ha un cuore così grande, dietro una cassa di vetro. E nell’auto, quando vado per le strade, abbasso il finestrino, per poter tirar fuori la mano, salutare»[6]. È chiaro, dunque, che Bergoglio ha sviluppato varie considerazioni di ordine pastorale proprio dalla lettura frequente de I Promessi Sposi. Con queste riflessioni bergogliane La Civiltà Cattolica evidentemente approfondisce il suo apprezzamento per Alessandro Manzoni e le sue opere.
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La pubblicazione di questo volume ci permette di ricostruire e riconsiderare sin dal principio il ruolo della nostra rivista nella vita della Chiesa e del Paese nel corso tempo, con tutti i relativi contrasti e gli aspetti problematici, ma anche le riletture che la riflessione ha permesso di fare nel corso dei decenni. Lo consegniamo ai nostri lettori con l’augurio che possa servire a meditare più in profondità sull’opera manzoniana per apprezzarla più consapevolmente.
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[1]. «Cronaca contemporanea», in Civ. Catt. Serie VIII, vol. X, 732 (13 giugno 1873): « […] Anche per un altro uso serve mirabilmente la guardia nazionale, cioè per le pompe funebri, onde si vogliono onorare gl’illustri patrioti; e di questi ne vien morendo un buon numero da qualche tempo in qua. A cotesti liberali, alcuni pochi eccettuati, gli onori funebri della chiesa non piacciono punto; e, se non avessero il corteggio del Palladio, invece di quello dei frati, n’andrebbero al cimitero poco meno che alla maniera delle bestie. Bisogna dunque mantenere il Palladio. E questo diede mostra bastevolmente bella in Milano, dove concorse al mortorio, pomposo sì ma religioso eziandio, con che furino portate alla tomba le spoglie dell’illustre romanziere e senatore Alessandro Manzoni, morto può dirsi di vecchiaia, in età di 88 anni, la sera del 22 maggio. I liberali ne celebrarono i meriti sotto il riguardo del liberalismo; i cattolici pregheranno di cuore per lui, che certamente fu di sensi cristiani, ben costumato come si conviene a un cattolico, e seppe con singolari pregi, qual letterato congiungere al dilettevole l’onesto nelle sue scritture […]».
[2]. A. Spadaro, «La mappa di Bergoglio. La letteratura nella formazione di papa Francesco», in Civ. Catt. 2023 I 417-433.
[3]. A. Spadaro, «Intervista a papa Francesco», in Civ. Catt. 2013 III 449-477.
[4]. D. Agasso, «Papa Francesco: “Quei 400 cappelletti della nonna e i libri letti da papà, io e il mio Natale in casa Bergoglio», in La Stampa, 24 dicembre 2021.
[5]. A. Ivereigh, «Il Papa confinato. Intervista a papa Francesco», 8 aprile 2020.
[6]. «Per una Chiesa vicina. Intervista di papa Francesco all’emittente televisiva Rede Globo», in L’Osservatore Romano, 1° agosto 2013.