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Diritto e fede: Rosario Livatino, un esempio per gli operatori di giustizia

Il 20 settembre, il Giubileo dedicato agli operatori di giustizia

Gianni Augello

18 Settembre 2025

È il 21 settembre del 1990 quando sulla Strada Statale 640, in Sicilia, il giudice a latere delle misure di prevenzione del Tribunale di Agrigento viene raggiunto da quattro sicari assoldati dalla nascente Stidda agrigentina, mentre si sta recando a lavoro senza scorta, a bordo della sua vecchia Ford Fiesta color amaranto. Dopo essere stato speronato dall’auto dei killer, il giudice tenta la fuga a piedi, attraverso i campi, ma viene raggiunto e freddato a colpi di pistola. Un volto sconosciuto ai più, quello di Rosario Livatino, che da quel giorno avrebbe fatto parlare di sé per molto tempo. Un giudice «ragazzino» – un appellativo che a quel tempo scatenò non poche polemiche – che ha saputo coniugare fede e impegno nella propria professione, diventando un testimone del Vangelo in una terra martoriata dalla criminalità organizzata. Non è un caso, infatti, che papa Francesco abbia voluto che il Giubileo degli operatori di giustizia si tenesse proprio a ridosso del 35° anniversario della sua morte.

«Nel suo servizio alla collettività come giudice integerrimo, che non si è lasciato mai corrompere, si è sforzato di giudicare non per condannare ma per redimere. Il suo lavoro lo poneva sempre sotto la tutela di Dio, per questo è diventato testimone del Vangelo fino alla morte eroica. Il suo esempio sia per tutti, specialmente per i magistrati, stimolo ad essere leali difensori della legalità e della libertà»[1].

Papa Francesco

«Ricordo che venne un dipendente a dirmi “hanno ucciso un magistrato di Agrigento”. Francamente non pensai a Rosario Livatino, anche perché il suo modo di gestire le funzioni e il suo modo di esercitare la giurisdizione non potevano giustificare un atto così crudele. Successivamente, la stessa fonte mi venne a chiarire che si trattava di Rosario e allora andai sul posto e lo trovai a terra, coperto da un lenzuolo». È la voce di Salvatore Cardinale, oggi magistrato in pensione, a raccontare l’incredulità di tanti nei confronti dell’omicidio di Livatino. «Ciò che ci dicono le sentenze della Corte d’Appello di Caltanissetta – racconta Cardinale – è che egli fu ucciso per questa smania di questa nuova organizzazione nascente, la Stidda, di presentarsi sul palcoscenico del crimine e accreditarsi sia nei confronti dell’opinione pubblica sia nei confronti della mafia, della quale sostanzialmente voleva prenderne il posto, anche se inizialmente forse cercava un’alleanza.L’uccisione di Rosario ci turbò maggiormente proprio perché Rosario era un magistrato e un uomo particolare».

Cardinale è stato sostituto procuratore della Repubblica di Agrigento e di Caltanissetta, Presidente di Sezione penale e di Corte d’Assise presso il Tribunale di Agrigento, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Enna e Presidente della Corte di Appello di Caltanissetta, una corte di tanti martiri di giustizia, tra cui lo stesso beato Livatino. «Ho conosciuto Rosario nel 1979, quando egli prese servizio come prima sede e con la qualifica di sostituto presso la Procura della Repubblica di Agrigento – racconta Cardinale -, l’ufficio giudiziario dove io già svolgevo analoghe funzioni da sei anni. Ben presto il rapporto di lavoro diventa anche un rapporto amicale che non si interruppe, sebbene io nel 1988 mi fossi trasferito ad altra sede giudiziaria. Egli è stato un cittadino esemplare, che nei rapporti sociali non fece mai pensare le funzioni che svolgeva. Un amico discreto ma sempre presente, disponibile all’ascolto. Un magistrato che suscitava fiducia per la sua indipendenza, la sua professionalità, lo scrupolo con il quale conduceva le sue indagini, l’attenzione alla ragione della difesa degli inquisiti».

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«Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili», diceva il beato Livatino, ucciso dalla mafia a soli trentotto anni. Ma cosa ha da dire la sua figura agli operatori di giustizia di oggi e a quanti intendono intraprendere questa carriera professionale? «All’indomani della sua uccisione, terminate le cerimonie ufficiali con le più alte cariche dello Stato, la figura e il sacrificio di Rosario Livatino subirono ciò che era già accaduto in Sicilia per altri colleghi che avevano condiviso con lui lo stesso destino, cioè silenzio e oblio – continua Cardinale -. Lo si deve all’impegno della professoressa Ida Abate, che era stata insegnante al liceo di Rosario, se dopo vari anni questa nebbia che avvolgeva la storia di Rosario man mano si è diradata. Così è apparsa in tutta la sua grandezza la grande personalità del martire. È stato conosciuto il suo pensiero sui temi della giustizia e della fede, che a distanza di decenni continuano ad essere un faro per i giovani magistrati, ai quali ha lasciato questo ammonimento, cito le parole di Rosario Livatino: “Il giudice di ogni tempo deve essere e apparire indipendente. L’indipendenza del giudice, infatti, non è solo nella propria coscienza, nell’incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta, anche fuori dalle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle manifestazioni della vita sociale, nella scelta delle sue amicizie”. Di conseguenza, dice sempre Livatino, il giudice, oltre che essere, deve anche apparire indipendente per significare che accanto ad un problema di sostanza, certo preminente, ve n’è un altro ineliminabile di forma».

È papa Francesco, nel 2020, ad autorizzare la Congregazione delle cause dei santi a promulgare il decreto riguardante il martirio In odium fidei, aprendo la strada alla sua beatificazione. Una cerimonia che si è svolta il 9 maggio 2021 nella Cattedrale di Agrigento. Rosario Livatino, così, diventa il primo magistrato beato nella storia della Chiesa.

«Rosario Livatino era un fervente cattolico che tuttavia praticava la sua religione senza ostentazione – aggiunge Cardinale -. Come colleghi che lavoravamo nella stanza accanto, ci siamo accorti di questo suo attaccamento alla religione solo successivamente, dopo la sua morte. Da credente, Rosario Livatino sentiva il contrasto insito nella sua professione tra l’applicazione della fredda norma giuridica, necessariamente oggettiva e punitiva, e il principio religioso della pietà e del rispetto per chi ha sbagliato. Tuttavia, egli riusciva felicemente a congegnare le regole che disciplinano la funzione del magistrato con quelle della sua fede cristiana. E spiega tale sintesi in una altra relazione letta il 30 aprile 1986, intitolata Fede e diritto. Scrive in proposito Livatino: “Compito del magistrato non deve essere solo quello di rendere concreto il comando astratto della legge, ma anche di dare alla legge un’anima, tenendo sempre presente che la legge è un mezzo e non è un fine”. Continua la sua riflessione rilevando che diritto e fede, o se vogliamo giustizia intesa come frutto ultimo del diritto e fede, sono in continuo rapporto tra loro e la finalità ultima di tale rapporto è il superamento del primato del diritto attraverso la carità di cui la giustizia, come insegnava Paolo VI, è la minima parte. In questo brano, io vedo la condivisione convinta dall’insegnamento di San Tommaso che nel commento alle beatitudini di Matteo affermava che la giustizia senza pietà conduce alla crudeltà, ma la misericordia senza giustizia porta alla dissoluzione dell’ordine».

L’uccisione di Rosario Livatino non fu, purtroppo, un evento isolato. Sono pochi, infatti, gli anni che separano il suo sacrificio da quello di chi perse la vita nelle stragi di Capaci e di Via d’Amelio. Eventi che segnarono per sempre la storia della giustizia italiana e che ricordiamo con il grido di san Giovanni Paolo II al termine dell’omelia della messa celebrata nella Valle dei Templi, nel 1993.

«Dio ha detto una volta: “Non uccidere”: non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio! Questo popolo, popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte. Qui ci vuole civiltà della vita! […] Lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!»[2].

San Giovanni Paolo II

Sebbene siano passati più di 30 anni dall’epoca delle stragi di mafia, agli operatori di giustizia è chiesto ancora un maggiore impegno per confrontarsi con un fenomeno, quello della criminalità organizzata, che è mutato nel tempo, assumendo nuove e pericolose configurazioni.

«La mafia di oggi sicuramente non è quella che Rosario Livatino aveva conosciuto nel 1979 e fino alla sua morte – continua Cardinale -. Dopo la stagione delle stragi, la criminalità organizzata ha abbandonato la strategia dell’eliminazione dei magistrati e degli investigatori. Ha scelto di inabissarsi, cioè di sparire dalle cronache. Oggi preferisce il silenzio nel quale essa si evolve e si trasforma.Basta pensare, per esempio, al ruolo delle donne che da vestali della mafia, delle famiglie mafiose, sono diventate protagoniste perché comandano i clan, ordinano esecuzioni, riscuotono l’estorsione. Quindi la mafia prospera, fa affari e si estende nel territorio nazionale, nel quale, mi spiace dirlo, trova terreno favorevole in molti ambienti, specie del Nord Italia. Quindi, la risposta dello Stato non può essere quella di ritenere che la mafia sia stata sconfitta ma deve essere prioritariamente quella di non smantellare l’attuale assetto normativo di contrasto che pure ha dato i suoi risultati e anzi di migliorarlo con nuove disposizioni e con maggiori mezzi per adeguarlo alle nuove sfide, anche tecnologiche, alla quale la mafia lo costringe a confrontarsi».

Agli stessi magistrati, papa Francesco aveva indicato il beato Rosario Livatino, come figura di aiuto e di conforto. «Nella dialettica tra rigore e coerenza da un lato, e umanità dall’altro, Livatino aveva delineato la sua idea di servizio nella Magistratura – ha ricordato papa Francesco nel 2022 – pensando a donne e uomini capaci di camminare con la storia e nella società, all’interno della quale non soltanto i giudici, ma tutti gli agenti del patto sociale sono chiamati a svolgere la propria opera secondo giustizia».

«Lo Stato italiano è uno Stato laico e il servizio della giustizia che esso assicura non può che essere anche esso laico – aggiunge Cardinale -. Il giudice deve fondare le decisioni e le determinazioni che assume esclusivamente sui principi giuridici e sulle prove, come detta il nostro Codice di procedura penale. Il giudizio del giudice deve avere come base il rispetto delle leggi e l’applicazione delle norme giuridiche riguardanti il caso concreto e quindi non la morale, la religione o la ideologia politica. Una decisione che non rispetti tali principi a mio giudizio scivola nell’arbitrarietà. Ciò non toglie che il giudice credente non possa attingere ai principi del suo credo nel dare un’anima alla norma astratta, senza tuttavia stravolgere lo spirito di essa»[3].

Il Giubileo degli operatori di giustizia offre, quindi, uno momento importante per continuare a riflettere sul messaggio che papa Francesco affidò ai magistrati nel suo discorso al Consiglio superiore della Magistratura nel 2022:«La domanda sul per chi amministrare la giustizia – affermava papa Francesco – illumina sempre una relazione con quel “tu”, quel “volto”, a cui si deve una risposta: la persona del reo da riabilitare, la vittima con il suo dolore da accompagnare, chi contende su diritti e obblighi, l’operatore della giustizia da responsabilizzare e, in genere, ogni cittadino da educare e sensibilizzare. Per questo, la cultura della giustizia riparativa è l’unico e vero antidoto alla vendetta e all’oblio, perché guarda alla ricomposizione dei legami spezzati e permette la bonifica della terra sporcata dal sangue del fratello»[4].

Leggi anche:

  • Il magistrato Rosario Livatino

[1] https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-05/beati-santi-mafia-beatificazione-chiesa-rosario-livatino.html

[2] https://www.vaticannews.va/it/  chiesa/news/2018-05/giovanni-paolo-ii-mafia-agrigento-convertitevi.html

[3] https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/april/documents/20220408-consiglio-superiore-magistratura.html

[4] https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/april/documents/20220408-consiglio-superiore-magistratura.html

Diritto e fede: Rosario Livatino, un esempio per gli operatori di giustizia

Gianni Augello

Giornalista professionista. Responsabile della Comunicazione de La Civiltà Cattolica

18 Settembre 2025


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