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I popoli del bacino del Mediterraneo, benché diversi per storia, religione e cultura, sono però consapevoli di possedere una comune identità; si vanno infatti moltiplicando i Colloqui per studiare come svilupparla e rafforzarla, e non solo da parte dei vari Governi. La Dichiarazione di Barcellona, sottoscritta nel 1995, afferma la loro volontà di aumentare la propria collaborazione nei settori economico, politico e culturale (1). Ma a quali condizioni tale progetto è realizzabile? Gli ostacoli al rafforzamento della cooperazione sono superabili, e a quali condizioni? Esistono fattori che possono favorire la formazione di una coscienza comune e operativa nei popoli mediterranei, nonostante la competizione instauratasi da secoli tra loro nel settore politico, economico e culturale? Ci sono motivi per superare la diffidenza secolare e instaurare tra loro un nuovo tipo di relazioni?
Ogni tentativo di collaborazione tra entità storicamente rivali non può limitarsi al solo settore economico. La quantità di beni materiali è limitata e la loro ripartizione è spesso fonte di discussioni e di frizioni che fanno emergere il ricordo delle guerre e dei contrasti passati. L’unità di popoli diversi si costruisce in primo luogo mettendo in comune beni culturali e religiosi; ora, questi esistono nell’ambito mediterraneo per il fatto che tali culture hanno radici comuni. Nessuna di esse può dirsi del tutto distinta dalle altre, poiché ognuna è il risultato di numerose interazioni dovute ai movimenti migratori delle popolazioni e all’arricchimento derivato dalla reciproca conoscenza delle esperienze di vita: per il Mediterraneo la vita ha un senso. Tale è la base a partire dalla quale i Governi devono creare le condizioni favorevoli alla presa di coscienza di questo patrimonio comune.
I popoli mediterranei devono riconoscere l’arricchimento reciproco che devono darsi e il dovere della pace. In essi esiste una medesima affermazione di un destino personale dell’uomo, e tale destino deve diventare il trampolino di lancio della loro unità. Ed è anzi urgente realizzare tale disegno, poiché i beni comuni di ordine culturale e religioso sono oggi in pericolo.
Una medesima matrice culturale
La matrice culturale del bacino mediterraneo si è formata lentamente a partire dalla filosofia greca. Il caso di coscienza di Antigone ne esprime lo spirito: l’uomo, essendo personalmente sottomesso a un ordine superiore, è moralmente responsabile di opporsi alle leggi ingiuste dei suoi governanti. Tale concezione si è consolidata con la vittoria di Atene sui Persiani in occasione della guerra dei Medi (sec. V a. C.); in quella occasione il popolo greco ha assicurato la sopravvivenza di un sistema politico nel quale il potere non era un attributo personale, ma un servizio alla città (2). La rivelazione biblica ha valorizzato questa visione fondante parlando dell’uomo creato a immagine di Dio, che realizza pienamente il proprio destino nell’altra vita; essa è all’origine della formazione dei concetti fondamentali dell’ordine sociopolitico, di persona, di bene comune e di giustizia sociale. Un popolo appartiene alla civiltà mediterranea se le sue istituzioni politiche sono costruite sul diritto; esso deve mirare a inscrivere nella realtà una concezione della persona, un’antropologia. La maggior parte delle rivoluzioni avvenute nell’area mediterranea raramente sono state rivoluzioni di palazzo; ma si sono presentate all’opinione pubblica come riformatrici degli errori del passato e apportatrici di maggiore giustizia al popolo. L’uomo della civiltà mediterranea si sente responsabile di una missione da compiere diffondendo la verità di cui ha preso coscienza.
Questa è l’antropologia che sottende la politica dei diversi Stati rivieraschi del Mediterraneo; certo, ci sono stati alti e bassi nella vita di ciascuno di loro, ma si è sempre fatto ricorso a questo criterio per giudicare le istituzioni o per riformarle. Ogni volta che un popolo prende coscienza della propria identità culturale e religiosa attraverso il senso della persona e della necessità di norme di diritto per permetterle di raggiungere il suo fine, esso pone le basi su cui si è costruito un ordine sociale sotto l’influsso delle idee sorte nel bacino mediterraneo.
La solidità delle «basi» della civiltà mediterranea in pericolo
Una concezione morale della politica che si è formata e sviluppata nel bacino mediterraneo è causa di una profonda opposizione tra i popoli di quest’area e quelli del resto del mondo; agli occhi di questi ultimi tale concezione è come un enigma, perché non sembra autorizzare alcuna concessione a ciò che si considera errore, pur vantandosi di universalismo. Lo sottolineava un ricercatore giapponese alcuni anni fa: «In una cultura totalmente monoteista, come quelle del mondo giudeo-cristiano e dell’islàm, per il fatto che i valori sono intesi in un modo che trascende l’ordine secolare, si produce una richiesta di militarizzazione in vista di guerre sante e, di conseguenza, giuste, ma allo stesso tempo si sente il bisogno di controllare le guerre in nome di valori universali. In una cultura in cui i valori sono immanenti, non può esserci guerra santa e la militarizzazione, se avviene, non è realizzata in vista di una guerra santa. Raramente questa cultura combatte per la giustizia; essa è conservatrice e realista, ma, una volta che la militarizzazione è incominciata, non c’è nulla per mantenerla sotto controllo»(3). Il superamento della divisione ora rilevata costituisce una sfida per le popolazioni dell’area mediterranea, ma esse non potranno affrontarla prima di avere colmato le fratture che le oppongono tra loro.
Mohamed Ennaceur, ex ministro tunisino, a proposito dei contrasti dell’area mediterranea e delle minacce che essi costituiscono, mette in evidenza i seguenti punti: la struttura demografica, la pressione migratoria, l’espansione dell’islamismo. Mentre la popolazione del sud del Mediterraneo è in espansione, quella del nord ristagna e mostra già i segni di un declino demografico; si prevede che le popolazioni del sud, le quali nel 1974 erano un terzo di quelle dell’Unione Europea, le raggiungeranno e le supereranno nel corso della prima metà di questo secolo.
Lo squilibrio demografico accentua la pressione migratoria dovuta alle disparità dello sviluppo; secondo la Banca Mondiale, esse sono di 1 a 20. Le spese per la ricerca e lo sviluppo, che rappresentano il 2,5% del PIL nei Paesi del nord, sono solamente lo 0,5% per quelli del sud. Tali squilibri favoriscono il movimento migratorio, regolare o clandestino; di qui sorge la richiesta avanzata da Ben Alì, presidente della Repubblica di Tunisia, davanti al Parlamento europeo nel 1993, di una Carta sociale euro-mediterranea che garantisca i diritti dei migranti nel rispetto degli interessi degli Stati e delle esigenze di umanità.
La mancanza di una regolamentazione dei movimenti migratori tra sud e nord favorisce l’espansione dell’islamismo. Ora esso è particolarmente pericoloso, perché rifiuta qualsiasi sistema di valori diverso dai suoi. Esso manifesta l’esistenza di un movimento culturale «estremista» fautore del «[cambiamento] radicale delle società alle quali appartengono, ricorrendo spesso alla violenza»(4) e che combatte i valori della modernità rappresentati dai modelli di sviluppo ai quali l’Occidente è legato; afferma che esiste un’incompatibilità totale tra la sua filosofia individualista e i valori delle «società musulmane fondate sullo spirito comunitario e di solidarietà». Per M. Ennaceur ne deriva la necessità di eliminare il rischio di insicurezza costituito dall’aggravarsi dell’incomprensione tra le due sponde del Mediterraneo, sottolineando così che uno dei maggiori ostacoli alla cooperazione mediterranea è di ordine culturale e religioso; tale giudizio non si può sottovalutare, perché l’Occidente si orienta attualmente verso una rimessa in discussione della dimensione religiosa dell’esistenza.
Si è parlato in Occidente di un’era postcristiana (5), perché un ateismo pratico si è insediato nei Paesi di questa regione. È vero che in occasione delle grandi crisi nazionali si può constatare un ritorno alla necessità di fondare i valori profondi della civiltà sulle proprie radici spirituali; ma un laicismo latente inquina insensibilmente gli animi, che non si rendono conto di essere indotti a giudicare le realtà della vita in funzione di princìpi e di valori incompatibili con la loro eredità culturale. Se tali società offrono ancora un riconoscimento verbale alla religione, questa non esercita che un influsso minimo sull’organizzazione della società, perché la filosofia della vita presentata dai mass media e dai sistemi di insegnamento è unidimensionale, e non interviene alcun richiamo ai valori religiosi per risolvere i problemi sociali (6).
Il discorso sulla violenza nelle città è molto illuminante al riguardo. Si pretende di risolvere tale problema con misure sociali senza richiamarsi ai valori di ordine spirituale o religioso: si parla di migliorare le condizioni di vita, di una maggiore vigilanza della polizia, ma non ci si interroga mai sulla formazione morale impartita ai giovani o su come affidare alla famiglia o alla scuola un ruolo più importante per la formazione della loro coscienza. I mass media (TV, cinema ecc.) diffondono questo amoralismo fondamentale, perché, col pretesto che c’è chi non vuole sentir parlare di religione, eliminano tale dimensione dal discorso sociale, non vedendo o non volendo vedere che impongono così una nuova filosofia della vita. Gli stessi Governi sono i propagandisti attivi di tale concezione. Le leggi che fanno approvare diventano permissive in nome della libertà; non c’è più verità oggettiva; si proibisce ciò che l’opinione pubblica dei gruppi più attivi ritiene giustificato vietare e solamente quello, senza cercare di risolvere le contraddizioni così create. Così si parla della dignità dell’essere umano, del suo carattere inviolabile e tali asserzioni sono inserite nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo per stabilire un freno che impedirebbe ai Governi di ripetere gli eccessi del regime nazista; ma al tempo stesso si finisce col negare il carattere di essere umano al concepito. Analoghe osservazioni si potrebbero fare a proposito della famiglia, il cui statuto di cellula base della società, «elemento naturale e fondamentale della società» secondo la formula dell’art. 16.3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, è messa in discussione per l’uso di espressioni come quella di famiglia unipersonale o, a fortiori, dello stesso sesso.
La cooperazione per tutelare la civiltà mediterranea
I princìpi sui quali gli uomini del bacino mediterraneo hanno edificato la loro civiltà non sono condivisi dal resto del mondo. Per loro, una creazione sta all’origine del mondo; essa è il frutto di una volontà esplicita di un Dio personale; l’uomo è stato creato per conoscerlo, amarlo e servirlo e così giungere alla propria salvezza eterna. La vita ha un senso; mette in gioco la responsabilità e la libertà di ogni uomo; la morale è in funzione di un fine superiore da raggiungere. Esiste un nesso tra ciò che l’uomo fa hic et nunc e il raggiungimento di un bene superiore nel futuro. Egli ne persegue la realizzazione solidalmente con gli altri; una fraternità effettiva fra tutti gli uomini è il riflesso della paternità universale di Dio.
Questa visione del divenire dell’umanità è specifica perché è storica. Si potrebbe obiettare che oggi è in uso un vocabolario universale e che le grandi conferenze internazionali riecheggiano di parole come diritti dell’uomo, progresso dell’umanità, giustizia, libertà, solidarietà e pace. Antropologie diverse conferiscono loro una portata diversa, e ciò spiega ampiamente i conflitti a cui conduce la loro applicazione, come quello sull’universalità dei diritti dell’uomo o quello sulla priorità da dare ai diritti individuali su quelli sociali o viceversa. La profondità di questa divisione può essere illuminata se si considera che la concezione stessa di diritti dell’uomo individuali e universali è oggetto di una frattura nello stesso bacino mediterraneo, benché ognuna si fondi sull’affermazione di uno stesso Dio unico. In Occidente i diritti individuali sono universali fin da adesso perché appartengono a ogni uomo in quanto uomo; nell’islàm e nel giudaismo, essi sono individuali, riconosciuti ai soli appartenenti alla comunità politico-religiosa, la quale, sola, ha la vocazione all’universalità. Così era anche in Occidente nel Medioevo, ma un salto di qualità è stato compiuto nel Rinascimento con la percezione dell’uguaglianza che riunisce fin d’ora tutti gli esseri umani in una medesima comunità solidale (7).
È tempo per i popoli mediterranei di prendere coscienza del fatto che la loro visione del mondo e dell’esistenza è minacciata dal peso demografico dei popoli che ignorano questa prospettiva di salvezza. Ma a quali condizioni ciò è possibile? La rivalità delle tradizioni che hanno formato il mondo mediterraneo ha dominato la storia di questa regione da secoli. Non è allora presunzione pensare al loro riavvicinamento insistendo sulla cultura, mentre ciò che le divide è l’applicazione della loro concezione dell’esistenza alle realtà sociali? Ogni civiltà, infatti, considera la propria interpretazione della vita e tutto ciò che le è connesso come indiscutibile. Tuttavia non è forse necessario uscire da questo vicolo cieco e non si può forse sviluppare una cultura di unione nel rispetto delle diversità?
Jacques Maritain ne espresse la filosofia nel discorso inaugurale alla Conferenza dell’UNESCO, a Città del Messico nel 1946: «Ciò che fa apparire come paradossale il compito dell’UNESCO è che essa implica un accordo di pensiero tra uomini che hanno una concezione del mondo, della cultura e della stessa conoscenza diverse o persino opposte […]. In tali condizioni com’è concepibile un accordo di pensiero tra uomini riuniti proprio per un compito di ordine intellettuale da compiere in comune e che vengono dai quattro punti dell’orizzonte […], da famiglie e da scuole di pensiero antagoniste? […] La finalità dell’UNESCO è pratica; l’accordo può essere raggiunto spontaneamente, non su un comune pensiero speculativo, ma su un comune pensiero pratico […], sull’affermazione di un medesimo insieme di convinzioni che guidino l’azione. Ciò è poco senza dubbio; è l’ultimo ridotto dell’accordo degli animi; tuttavia è abbastanza per intraprendere una grande opera».
Si devono prevedere sul piano istituzionale iniziative per sviluppare il senso di un’identità tra i popoli del nord e del sud del Mediterraneo. Esistono interessi comuni, ad esempio, per la difesa della vita come per il riconoscimento dell’elemento religioso e dei valori religiosi a livello nazionale e mondiale. L’educazione deve sviluppare tale convinzione e rendere così possibile la conversione degli animi da cui dipende lo sviluppo delle relazioni commerciali e industriali; deve abituare le giovani generazioni a considerare le loro esperienze diverse come fonte di un mutuo arricchimento e non di una rivalità. Sarà allora possibile esaminare la soluzione del problema delle minoranze, che è uno dei motivi di scontro tra i popoli del nord e del sud. I popoli della regione mediterranea devono vincere la diffidenza esistente tra loro, abituati come sono a insistere più sulla loro singolarità politica, economica, culturale, sociale e religiosa, che non sul loro dovere di riavvicinarsi. A tal fine è necessario risvegliare negli uni e negli altri la convinzione che soltanto la ricerca di una fraternità universale costruisce la pace; tale utopia può diventare realtà se l’aiuto allo sviluppo da parte dei Paesi del nord come il rispetto delle libertà pubbliche e soprattutto della libertà di religione sono intese come misure, circoscritte in un primo tempo, ma reciproche e, come tali, in grado di far nascere e sviluppare la fiducia.
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(1) Altri Colloqui sono seguiti per rafforzare la collaborazione euromediterranea: Malta (1997), Stoccarda (1999), Marsiglia (2000), Le Baleari (2001).
(2) Cfr O. BUCCI, «Tolleranza e libertà religiosa nell’ordinamento giuridico persiano antico», in F. BIFFI (ed.), I diritti fondamentali della persona umana e la libertà religiosa, Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, 1985, 234-241.
(3) T. ISHEDA, Intervention at the Joint Study Meeting of UNU and the Institute for Peace, Science, Tokyo, 30 january 1980: Summary of Reports, 12.
(4) M. ENNACEUR, «Le bassin méditerranéen, un espace contrasté», in M. RIEUTORD – L. TRIBOT DE LA SPIERE, Le bassin méditerranéen: un espace en quête de sens?, Paris, Publisud, 2000, 59-68.
(5) Cfr E. POULAT, L’ère postchrétienne, Paris, Flammarion, 1994, 320.
(6) Questo punto è stato fortemente sottolineato dall’ambasciatore dell’Iran presso la Santa Sede, Mohamed Hadi Abekoda’, in una conferenza tenuta all’associazione Carità Politica: cfr A. LUCIANI (ed.), Essere ambasciatore presso la Santa Sede oggi, vol. III, Roma, Eco, 2000, 68-79.
(7) Cfr J. JOBLIN, «Diritti umani, valori comuni, società pluralista», in J. JOBLIN – R. TREMBLAY (ed.), I cattolici e la società pluralista, Bologna, ESD, 1996, 31-63.