Ricevere un’eredità
Quando riceviamo un’eredità, possono accadere molte cose, e molto diverse: possiamo, al limite, anche ignorare di averla, e così altri la incamerano al posto nostro. Possiamo dividerla tra parenti e amici, e così ognuno ne prende un pezzettino; ma il valore era dato dalla totalità del lascito e, così lacerata, essa viene in qualche modo dispersa, perdendo la propria grandezza. Ancora, possiamo organizzare una grande festa con il capitale ricevuto, in memoria del facoltoso parente, o fare una bella crociera: in tal modo l’evento organizzato brucia le risorse ricevute, e tutto si spegne subito. Possiamo riceverla e, come il servo timoroso del Vangelo, seppellirla sotto terra: teniamo in banca quello che abbiamo ricevuto, ma così, non investito, esso non darà nemmeno frutto. Oppure possiamo riceverla, farla fruttare, ridistribuirla in nuovi acquisti, dilatandone l’efficacia a esperienze e dimensioni sconosciute allo stesso de cuius.
Così è anche per l’eredità di san Tommaso d’Aquino, in questo 800° anniversario della sua nascita[1]. Siamo di fronte a un gigante del pensiero, dal quale ci separano però secoli di storia, civile ed ecclesiale. La sua riflessione si è infatti spinta a ogni angolo dello scibile umano, perlomeno di quell’epoca, e innumerevoli sono gli autori che in ogni tempo e fino ai nostri giorni si sono riferiti a lui, mostrando la perenne vitalità del suo slancio intellettuale e prolungando la capacità espansiva delle sue intuizioni e del suo ragionamento. A volte il suo pensiero è stato rispettato e custodito, sviluppandolo rettamente, e altre volte invece è stato intorbidito, irrigidendolo in schemi piuttosto ideologici, con un tomismo come dottrina «ufficiale», dietro la quale però rimaneva poco dell’autentico pensiero tommasiano. La storia della recezione del pensiero di Tommaso, anche quando è stato distorto, è interessante tanto quanto la storia degli effetti del suo apporto autentico: si può davvero dire che egli rimane un autore assolutamente imprescindibile per chiunque voglia affrontare non soltanto il pensiero medievale, ma anche quello moderno e postmoderno, fornendo egli chiavi di lettura critica ancora oggi legittimamente proponibili.
Un modo di essere, prima che di pensare
Non possiamo mai fare paragoni tra personalità così eminenti, ma certamente la lettura di sant’Agostino è più entusiasmante di quella dell’Aquinate: nel vescovo d’Ippona vibra un’ansia, una sete, una ricerca, un percorso umano e spirituale che ha molto in comune con l’uomo moderno, e perciò alcune sue pagine sono, anche stilisticamente, intramontabili e appartengono, prima che alla teologia, alla letteratura
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