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1940: quindicimila ufficiali polacchi vengono imprigionati dai russi prima nel campo di Starobielsk e, successivamente, in quelli di Pawliszcew e Griazowietz; tra di essi c’è Joseph Czapski.
Nato a Praga da una famiglia aristocratica polacca nel 1896, egli fu pittore, critico d’arte, grande lettore e conversatore brillante, vigoroso enfant terribile. Dopo l’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche è fatto prigioniero dai russi il 29 settembre 1939 per poi essere liberato nel ’41. Assieme ad altri 450 ufficiali scampò per caso all’orribile e gigantesco massacro di Katyn, perpetrato dalla polizia sovietica.
L’esperienza della prigionia fu drammatica: promiscuità, fame, malattie: «Vedo ancora — scrive Czapski — i miei compagni ammucchiati sotto i ritratti di Marx, Engels e Lenin, sfiniti dopo una giornata di lavoro al freddo, con temperature che raggiungevano i quarantacinque gradi sotto zero». A questi uomini non restavano altro che la memoria e la ricchezza della cultura che essi portavano nel loro intimo come roccaforte inespugnabile di umanità: scienza, arte, architettura, letteratura, storia…