
All’Angelus del 25 gennaio 2009, festa della Conversione di san Paolo e conclusione della Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani, Benedetto XVI si riferiva ad alcuni esegeti che, commentando l’episodio di Damasco, preferiscono non usare il termine «conversione», «perché [Paolo] era già credente, anzi ebreo fervente, e perciò non passò dalla non-fede alla fede, dagli idoli a Dio, né dovette abbandonare la fede ebraica per aderire a Cristo». Il Papa concludeva: «In realtà, l’esperienza dell’Apostolo può essere modello di ogni autentica conversione cristiana».
Certo, nell’incontro del Risorto con Paolo si può parlare di «conversione»[1]. L’evento tuttavia ha una certa varietà di denominazioni: «vocazione»[2], «rivelazione»[3], «illuminazione»[4], «folgorazione sulla via di Damasco»[5], «rivoluzione, trasformazione»[6], «trasfigurazione di Paolo»[7]. Di fatto, almeno nella lingua italiana, il termine «conversione» è quello ormai consacrato dall’uso. Moltissimi — è quasi impossibile contarli — sono gli studi dedicati a tale argomento, e alcuni hanno visto la luce in questi ultimi anni[8].
Nella liturgia latina la festa dedicata allaConversione di san Paolonon è antichissima, poiché non se ne ha testimonianza prima del secolo X. L’antica liturgia romana conosce, nel martirologio geronimiano, la Translatio Sancti Pauli apostoli che, solo molto più tardi, diviene — forse perché si era perduto il significato della festa — Translatio et Conversio Sancti Pauli in Damasco[9],o più semplicemente Conversio Sancti Pauli[10]. Così si trova, per la prima volta, alla data del 25 gennaio, nel calendario della corte papale compilato nel 1227; poi nel Messale dei Minoriti e in quello di Pio V; e infine nell’attuale Messale liturgico.
Che nella vicenda di Paolo sulla via di Damasco si tratti anche di «conversione», non c’è alcun dubbio. In essa si ha un aspetto esteriore e spettacolare, raccontato soprattutto negli Atti degli Apostoli (9,1-19; 22,1-21; 26,4-18),ma presente anche nelle Lettere di Paolo: quello di Paolo che da persecutore dei cristiani diventa apostolo di Cristo (1 Cor 15,9; Gal 1,13-14.23; Fil 3,6). E si può distinguere anche un aspetto puramente interiore, che traccia un itinerario conseguente al primo, sebbene diverso: quello del rabbino, del maestro nella Legge, dello specialista nella tradizione mosaica, dello zelante per il giudaismo, che da cultore della Legge si trasforma in avversario della Legge. Ed è avversario su un piano pratico, nei rapporti umani (l’azione pastorale di molti anni è dominata dalla polemica con i giudaizzanti), e
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