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ABSTRACT — Domenica 4 dicembre 2016 il corpo elettorale ha bocciato con il 59,11% di voti contrari le riforme costituzionali proposte dal Governo Renzi.
Poco dopo la mezzanotte, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, parlando al Paese da Palazzo Chigi, ha subito ammesso la sconfitta: «Ho perso, e quindi l’esperienza del mio Governo finisce qui. Volevo tagliare le poltrone della politica e alla fine è saltata la mia: mi dimetto». La sua forte e immediata presa di responsabilità, a urne non ancora chiuse e senza avere ancora metabolizzato le ragioni della sconfitta, ha immediatamente spostato lo scenario politico oltre l’esito della consultazione referendaria.
Nei fatti l’appuntamento elettorale si è trasformato in un «referendum politico» sull’operato del Presidente del Consiglio, che includeva le riforme, ma non si limitava ad esse. La battuta di arresto per un insieme di «riforme organiche», di cui il Paese ha urgenza, non deve invece bloccare lo spirito della riforma, che potrà comunque essere realizzata con interventi ad hoc, all’interno di un Parlamento con maggioranze qualificate e responsabili. Lo ribadisce anche Gian Maria Flick, già presidente emerito della Corte Costituzionale, il quale, pur non avendo condiviso nel suo complesso la riforma, ne riconosce alcune positività per migliorare la funzionalità delle istituzioni.
Certo, il voto, analizzato correttamente, ha spostato il baricentro politico sulla questione sociale con le sue urgenze: la gestione dell’immigrazione, la lotta al terrorismo internazionale, la scuola, la coesione sociale, le politiche del lavoro. È però auspicabile che le urgenze non annullino il bisogno di riforme che il Paese attende da circa 30 anni.
Lo spartiacque politico rimane la legge elettorale. Se dopo la sentenza della Corte Costituzionale il Parlamento, invece di una legge maggioritaria, sceglierà il proporzionale, sarà necessario prevedere una clausola di sbarramento del 5% dei voti come in Germania, e una sfiducia costruttiva che garantisca maggiore stabilità. È difficile immaginare che si possa andare alle urne in assenza di una legge elettorale armoniosa per l’intero Parlamento. Se il Pd l’avesse approvata prima del referendum, il Paese non si sarebbe trovato davanti a una crisi di governo.
In questo tempo di crisi istituzionale auspichiamo che tutte le forze politiche facciano ognuna un passo indietro e insieme due in avanti, nell’interesse del Paese.