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ABSTRACT — Alla fine Aleppo est, dopo mesi di micidiali bombardamenti e dopo aver vissuto un difficile assedio, pare sia stata interamente riconquistata dai «governativi».
Assad ha a questo punto mano libera nei confronti dei ribelli, i «terroristi» che, come ha dichiarato diverse volte, intende annientare; di fatto la «nuova intesa strategica» tra Putin e Trump — che sulla questione siriana ha una posizione opposta a quella di Obama — gli garantirebbe ampio margine di manovra.
È necessario però compiere un passo indietro per capire. Perché negli ultimi tempi Aleppo e Mosul sono diventate, nella percezione comune, l’emblema delle guerre siro-irachene che si stanno ormai combattendo da anni contro jihadisti feroci e crudeli.
La battaglia di Aleppo è però diversa da quella di Mosul. In questa, infatti, una grande coalizione di Stati, capeggiata dagli Stati Uniti, lotta per liberare la città irachena dai jihadisti dell’Isis, i quali, all’avanzata dell’esercito regolare, oppongono una dura e imprevista resistenza, utilizzando spesso i civili (come accade quasi sempre in questi casi) come scudi umani. Ad Aleppo, invece, i «governativi» come si è detto, sostenuti militarmente dall’aviazione russa e da truppe iraniane e libanesi (hezbollah), hanno combattuto contro i ribelli del Governo siriano, cioè contro quelli che durante la cosiddetta «primavera araba» chiedevano pacificamente riforme e, non avendo ottenuto nulla, sono passati alla lotta armata.
Da allora, però, all’interno del fronte dei combattenti le cose sono molto cambiate. Da quando, nel luglio 2012, i ribelli hanno occupato una parte di Aleppo, per mantenere le posizioni sono stati costretti a stringere alleanze con altri gruppi di guerriglieri jihadisti (nemici di Assad) presenti nel territorio, e ciò non ha certo giovato alla causa della rivoluzione. Uno dei gruppi più importanti della nuova coalizione è infatti Jabhat fateh al Sham, precedentemente conosciuto come Fronte di al Nusra, il braccio militare di al Qaeda in Siria.
In questo contesto, la vittoria di Aleppo non riporterà alla pace in Siria. Il leader siriano dovrà infatti dovrà ricostruire un Paese devastato dai bombardamenti. Inoltre, dovrà rialloggiare milioni di profughi e di sfollati. Il problema maggiore, però, sarà quello politico-religioso, una delle cause della guerra civile: il Paese, dove esiste una schiacciante maggioranza sunnita (74%), continuerà a essere governato dalla minoranza sciita, cioè dagli alauiti. È facile così prevedere che la sconfitta dei ribelli spingerà i Paesi sunniti, Arabia Saudita in testa, ad aumentare gli aiuti militari e finanziari ai sunniti della Siria al fine di costituire un fronte comune anti-sciita (cioè antigovernativo), a cui si unirebbero i jihadisti dell’Isis e altri nemici della dinastia degli Assad.