Dopo aver identificato nel Risorto, «stella mattutina che non tramonta», la luce della fede, l’enciclica dà voce alla diffusa convinzione secondo la quale «il credere si opporrebbe al cercare» e la fede toglierebbe alla vita novità e avventura, impedendo così «il nostro cammino di uomini liberi verso il domani». Illuministicamente identificata con le tenebre, ritenuta un salto nel vuoto indotto da un sentimento cieco e soggettivo, che al massimo può apportare «una consolazione privata». Si può allora stabilire un profondo legame tra amore e verità, che è la colonna sonora portante di tutta l’enciclica. Essa ci sembra quasi accompagnare la traversata del guado tra modernità e postmodernità, in modo da rispondere anche alle derive totalitarie e intolleranti della ragione, senza però cadere in un pensiero che si perde nell’attimo fuggente. Viene postulato un esodo dall’io, nel quale i credenti non dovrebbero sentirsi isolati, né venire considerati tali da coloro che non condividono la loro stessa fede.