LA «PRIMAVERA GIORDANA» GUIDATA DAL RE
La Giordania, con sette milioni di abitanti, inclusi oltre 300.000 profughi siriani, si trova in un contesto (islamismo politico crescente, guerra siriana, instabilità egiziana, conflitto tra sciiti e sunniti, questione palestinese ecc.) che mette a repentaglio la stabilità del suo regime. La denuncia della corruzione, le richieste dei giovani disoccupati e la domanda di maggiori poteri al Parlamento e di una riforma radicale della legge elettorale accompagnano questi due anni di proteste di piazza, finora rimaste in uno stile non-violento né rivoluzionario. Usa, Paesi del Golfo, Ue e Israele appoggiano le riforme molto graduali che il re Abdallah II attua e promette. Lo scorso ottobre il sovrano ha sciolto in anticipo il Parlamento. Il voto del 23 gennaio, boicottato dai Fratelli Musulmani giordani, ripropone una Camera bassa filo-governativa, espressione soprattutto della componente transgiordana dei cittadini rispetto a quella maggioritaria palestinese. Ma per la prima volta i deputati saranno consultati dal re per nominare il premier.
A cinque anni di distanza dalle vicende delle cosiddette «primavere arabe» la questione del rapporto tra islam e democrazia, o meglio della possibilità di condividere a livello globale valori comuni in merito alla democrazia sostanziale e alla tutela dei diritti,...