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ABSTRACT – A partire dalle contestate elezioni presidenziali dell’aprile del 2015, il Burundi vive una situazione di gravissima incertezza politica. A scatenarla è stata la decisione del partito al governo di indicare il presidente in carica Nkurunziza, giunto al termine del suo secondo mandato, come candidato anche per le elezioni presidenziali del 2015. Una decisione presa all’interno di un conflitto d’interpretazione tra alcune norme della Costituzione burundese e un principio posto degli Accordi di pace di Arusha del 2000, che sono alla base della medesima Costituzione.
Da quel 25 aprile 2015 si susseguono le proteste in piazza. Alle manifestazioni il governo ha contrapposto l’intervento della polizia, provocando morti e feriti e un esodo di più di 250.000 persone verso i Paesi confinanti, senza contare gli sfollati interni e altre ripetute e gravi violazioni dei diritti umani. Il pericolo è che esploda da un momento all’altro un nuovo conflitto civile. Ciò che è certo infatti è che la crisi è tutta politica e che finora la popolazione è rimasta unita. Tuttavia, in un contesto che fa costantemente i conti con la memoria di ripetute violenze, anche di massa, questi timori non appaiono infondati.
In questi anni i tentativi di mediazione a livello regionale sono risultati inefficaci o poco credibili. Altrettanto vane si sono rivelate le pressioni diplomatiche e le sanzioni economiche della comunità internazionale. La verità è che non c’è stato un approccio realistico alla situazione del Burundi. Naturalmente, il contesto internazionale e la concomitanza di vari eventi non collegati hanno giocato un ruolo chiave. Per esempio, la situazione in Siria e la crisi dei migranti in Europa, come pure gli attentati in Europa hanno distolto l’attenzione dei media internazionali dalla crisi burundese. Inoltre, i blocchi contrapposti nel Consiglio di sicurezza dell’Onu (Stati Uniti, Regno Unito e Francia contro Russia e Cina) non hanno aiutato a risolvere la questione. In concreto, qualsiasi iniziativa per inviare una forza di pace, si è scontrata con l’opposizione della Cina o della Russia, o di entrambe.
Pertanto se è vero che la soluzione deve arrivare dalla popolazione burundese, questa crisi è comunque un banco di prova per la credibilità della Comunità internazionale e delle istituzioni regionali.
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THE CRISES IN BURUNDI
Starting from the contested presidential elections, April 2015, Burundi is going through a period of grave political uncertainty. The danger is that a new civil conflict could explode from one moment to the next. Attempts at mediation at a regional level have been ineffective or less than credible. The international community’s diplomatic pressure have proved to be equally useless. While it is true that the solution must come from the Burundian population, this crisis is still a test for the credibility of the international community and regional institutions. The author is a scholar of Phenomenology and Human Rights at Boston College (USA).