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ABSTRACT – Il 5 dicembre 2017 l’Unione Europea (Ue) aveva pubblicato una «lista nera» di 17 Paesi nel mondo – che dopo meno di 50 giorni si è dimezzata – che, secondo i suoi criteri, sono paradisi fiscali. I territori presenti nella black list sfidano gli sforzi di trasparenza fiscale del mondo civile e, con la loro esistenza, rendono possibili frodi fiscali e altri reati, dei quali, di fatto, sono complici.
La questione ha acquisito l’attenzione dell’opinione pubblica, a seguito di alcune importanti fughe di notizie, l’ultima delle quali, nota come Panama Papers – più di 11 milioni di documenti, 2,6 terabyte di dati (46 volte più di Wikileaks) – ha rivelato le attività «speciali» dello studio legale panamense Mossack Fonseca.
Gabriel Zucman – autore del libro La ricchezza nascosta delle nazioni – stima che l’importo dei capitali giacenti nei paradisi fiscali si avvicini all’8% della ricchezza mondiale, valutato in circa 7.500 miliardi di euro. Pertanto i paradisi fiscali non sono affatto qualcosa di marginale o di irrilevante nelle finanze internazionali.
I flussi finanziari verso i paradisi fiscali minacciano il bene comune, perché compromettono la riscossione delle tasse necessarie per consentire alle amministrazioni pubbliche di offrire i servizi necessari a soddisfare i bisogni primari (pensioni, istruzione, sanità ecc.) e ottenere coesione sociale. Inoltre, essi spostano il carico fiscale dalle imposte sul capitale alle imposte che gravano sul lavoro e sul consumo. Infine, con la loro opacità, i paradisi fiscali facilitano l’occultamento di denaro e dei beni che provengono da attività illegali (frode fiscale, traffico di droga e di armi, terrorismo, tratta di esseri umani).
Nei paradisi fiscali sono implicati molti interessi politici ed economici. Questo spiega perché, dopo decenni di sforzi, i progressi compiuti per sradicarli sono stati scarsi. Ma è anche vero che le cose stanno cominciando a cambiare. Le azioni esclusivamente nazionali, però, benché necessarie, risultano del tutto insufficienti. È urgente che le istituzioni internazionali – come il G20 e l’Ocse –, e soprattutto gli Stati nazionali, stabiliscano una nuova architettura fiscale che affronti l’evasione e l’elusione fiscale, sradichi l’utilizzo abusivo dei paradisi fiscali e imponga alle grandi imprese e ai grandi patrimoni di pagare la giusta quota di tasse. A questo proposito, è opportuno ricordare il documento del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale (2011), vero anticipatore di questa posizione.
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TAX HAVENS
The flows of finances to tax havens threatens the common good, because they compromise the collection of taxes necessary to allow public administrations to offer the services necessary to meet basic needs (pensions, education, health, etc.) and to achieve social cohesion. Furthermore, they shift the tax burden from capital taxes to taxes that weigh on labor and consumption. Finally, with their opacity, tax havens facilitate the concealment of money and assets that come from illegal activities (tax fraud, trafficking in drugs and arms, terrorism, trafficking in human beings). For all these reasons, political action agreed upon to tackle tax havens has become indispensable.