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Alessandro Farnese, cardinale nipote di papa Paolo III, era solito ospitare nel suo sfarzoso palazzo di Roma artisti, scrittori, collezionisti come lui, chierici appassionati di arte e discutere con loro di teorie e progetti artistici. Nel 1564 si trovava a far parte di questo circolo monsignor Paolo Giovio, vescovo di Nocera. In qualità di collezionista d’arte e scrittore egli era un membro insigne di questa compagnia: nel 1531 aveva pubblicato i suoi Commentarii delle cose dei Turchi e stava componendo la sua opera Historiarum sui Temporis Libri 45, edito poi tra il 1550 e il 1552. Il vescovo possedeva una preziosa e famosa collezione d’arte, della quale faceva parte un certo numero di ritratti di uomini celebri. Non appena Vasari entrò a far parte di questo gruppo a Palazzo Farnese, Giovio lo trasse in disparte sotto gli occhi del cardinale Alessandro e lo invitò a scrivere biografie che fossero all’altezza delle celebrità raffigurate nei quadri collezionati nel palazzo Giovio. Il cardinale appoggiò vivamente questa idea estemporanea del vescovo di Nocera ed esortò a sua volta Vasari a iniziare la stesura di quelle narrazioni biografiche. Si era dato così l’avvio alle celebri Vite. Vasari descrive questa scena nella sua autobiografia, pubblicata nel 1566.
Nel 1550 uscì l’edizione, in due volumi, de «Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani, da Cimabue infino a’ tempi nostri, descritte in lingua toscana da M. Giorgio Vasari, pittore aretino». Egli non si era limitato soltanto a corredare di testi biografici e ad illustrare i ritratti di Palazzo Giovio, ma aveva anche inteso comporre un inventario completo degli artisti italiani più famosi dei tre secoli precedenti. In queste Vite per la prima volta viene descritta in maniera sistematica la vita di artisti significativi, distribuiti su un arco di tempo abbastanza ampio. Orgoglioso di essere cittadino toscano, Vasari volle includere quasi esclusivamente artisti della sua terra in questo elenco di architetti, pittori e scultori famosi. Questo fatto, unito a un certo numero di inesattezze, procurò al Vasari numerose critiche e richieste di chiarimenti, nonostante tutti gli apprezzamenti positivi. L’autore, divenuto improvvisamente famoso, accolse tutte queste critiche come uno stimolo a lavorare a una seconda edizione, più ampia e corretta, la quale apparve nel 1568 con il titolo «Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori, scritte e di nuovo ampliate da M. Giorgio Vasari con i ritratti loro». I tre volumi di questa seconda edizione erano destinati a procurare al Vasari una fama universale e durevole.
La vita
Giorgio Vasari nacque ad Arezzo il 30 luglio 1511. Ricevette nel suo luogo di origine una prima formazione artistica presso pittori poco significativi; in seguito suo padre riuscì a trasferirlo a Firenze, dove il giovane Giorgio ebbe modo di acquisire una vasta educazione umanistica, fra l’altro assieme a Ippolito e Alessandro, della famiglia dei Medici. Proseguì inoltre la sua formazione artistica e fu accolto nel gruppo che gravitava attorno ad Andrea del Sarto, stabilendo contatti con Rosso Fiorentino e Jacopo Pontormo. Intraprese una serie di viaggi di studio e acquisì in tal modo una conoscenza dettagliata e ampia dell’arte romana antica e dell’arte italiana a partire dal XIV secolo. Dopo la cacciata provvisoria dei Medici da Firenze, egli risiedette anzitutto a Roma, dove ebbe accesso ai più importanti circoli artistici e a personalità rilevanti, tra cui Michelangelo. Quando a Firenze si rinsaldò la situazione politica con la fondazione del Granducato di Toscana, gli furono commissionati diversi lavori di architettura e di pittura in patria, ma si recò spesso nuovamente a Roma, per far fronte a importanti incarichi. La prima edizione delle Vite gli procurò quella rinomanza scientifica che gli era necessaria per essere preso in considerazione anche presso i circoli dei dotti, e divenne così membro fondatore a Firenze dell’«Accademia e Compagnia dell’Arte del Disegno», sotto la presidenza onoraria di Michelangelo e del Granduca di Toscana, Cosimo de’ Medici. Nel 1568 fu pubblicata l’edizione definitiva e ampliata delle sue Vite. Vasari morì a Firenze il 27 giugno 1574 e fu sepolto ad Arezzo.
L’epoca storica
L’epoca in cui visse Vasari è all’incirca quella del periodo artistico del tardo Rinascimento, che alla fine del XVIII secolo si è iniziato a chiamare «manierismo», adottando un termine già coniato dallo stesso Vasari. Tratti manieristici si erano già resi evidenti negli affreschi della volta della Sistina, ai quali Michelangelo aveva cominciato a lavorare nel 1508. I rappresentanti tipici del manierismo furono nella pittura il Pontormo e il Bronzino, nella scultura Benvenuto Cellini e Giovanni da Bologna. Lo stile si caratterizzava per una artificiosità intenzionale, un’eleganza accentuata, una dilatazione e un allungamento delle figure e una cromatica non più ispirata ai colori locali. Vasari stesso con le sue immagini fu un esempio perfetto di questo stile.
Gli eventi della grande politica europea coinvolsero le città e i piccoli Stati italiani nel vortice delle lotte tra la Francia governata dai Valois e la Spagna, l’Olanda e l’Austria rette dagli Asburgo. La Riforma che stava nascendo provocò ulteriori contese tra i membri del «Sacro Romano Impero della Nazione tedesca». L’Italia divenne il campo di battaglia di tutti questi antagonismi politici e religiosi, e la vita culturale delle comunità e delle signorie italiane ne fu spesso a lungo compromessa. Il punto culminante del tributo di sangue che l’Italia dovette pagare fu il «sacco di Roma», l’assalto dei lanzichenecchi tedeschi allo Stato della Chiesa con la presa e il saccheggio di Roma. Benvenuto Cellini nella storia della sua vita descrisse questo evento come testimone oculare e auricolare e come tiratore scelto e difensore di Castel Sant’Angelo, dove si era rifugiato papa Clemente VII, della famiglia dei Medici. In quest’epoca di rivolgimenti a Firenze si realizzò quella trasformazione politica radicale che condusse dalla forma veneranda di un governo repubblicano all’assetto principesco e assolutistico di un Granducato.
Nell’epoca in cui visse Vasari avvenne anche l’ascesa di Roma a centro dell’arte. Nel XV secolo Firenze aveva detenuto questo primato incontestato, fino a quando i grandi geni di Leonardo, Raffaello e Michelangelo avevano lasciato la Toscana. La Roma papale sin dai giorni di papa Giulio II della Rovere aveva commissionato un’enorme quantità di lavori ad architetti, scultori e pittori. La sola ricostruzione di San Pietro aveva assicurato lavoro e sostentamento a generazioni di artisti.
Anche la trattazione teorico-scientifica dell’arte assunse dimensioni del tutto nuove. Se nel XV secolo soltanto pochi artisti, come, ad esempio, Lorenzo Ghiberti e Leon Battista Alberti, si erano occupati dei fondamenti e dell’efficacia spirituale dell’arte, nel XVI secolo iniziò a manifestarsi un interesse preciso e sistematico verso tutte le questioni fondamentali e i fenomeni artistici. Si discusse animosamente e ampiamente sul problema del «paragone», cioè sulla questione di sapere quale fosse l’arte a cui spettava il primo posto nella scala gerarchica del loro valore. Su questo punto sorse, ad esempio, un’aspra polemica tra Leonardo e Michelangelo. Fu Benedetto Varchi a trovare per primo la formula di compromesso, pubblicando nel 1549 le Due lezioni: il fondamento di qualsiasi arte — pittura, scultura o architettura — è il «concetto», il «disegno», ossia il progetto spirituale che deve stare alla base di ogni opera artistica, a qualunque genere appartenga. Si fondarono perciò al riguardo numerose accademie. Lo stesso Varchi fu cofondatore nel 1540 dell’«Accademia degli Infiammati», un’associazione di persone entusiaste di arte, che però restarono unite soltanto per pochi anni. L’«Accademia e Compagna dell’Arte del Disegno», che già abbiamo menzionato, godette di una vita più lunga. La seconda edizione delle Vite era destinata ad arrecare un ulteriore impulso al movimento accademico e ad accordare una rilevanza decisiva allo studio sistematico delle questioni legate all’arte.
L’opera
Con i suoi viaggi Vasari aveva avuto l’opportunità di studiare le opere d’arte più significative d’Italia. La scelta degli artisti e delle loro opere, che troviamo nelle Vite, è dovuta chiaramente al gusto estetico del Vasari, che del resto corrispondeva a quello comune dei suoi tempi. Egli trascurò i monumenti significativi del Medioevo o gli edifici, i mosaici e i dipinti influenzati dallo spirito bizantino. Egli riteneva barbarici gli elementi stilistici di queste civiltà. Vasari iniziò la sequenza delle sue biografie di artisti con il pittore Cimabue, che nella sua arte dipende ancora dalla struttura compositiva schematica del canone bizantino, ma assume una particolare rilevanza come maestro di Giotto. Per i suoi gusti Vasari era sostanzialmente più vicino allo scultore Nicola Pisano, con le sue raffigurazioni che si ispiravano ai rilievi degli antichi sarcofagi romani. Vasari, nel suo elenco di artisti che si estendeva in un arco di tre secoli, trattò soprattutto dei grandi rappresentanti della scultura e della pittura fiorentina o toscana e terminò con il suo contemporaneo Michelangelo. Questa delimitazione al suo territorio di origine fu rimproverata al Vasari dopo la pubblicazione della prima edizione, nel 1550; perciò la seconda edizione ampliò l’orizzonte estendendosi anche agli artisti delle metropoli dell’Italia settentrionale e, soprattutto, ai veneziani. L’unico personaggio ancora vivente nel 1568, l’anno della seconda edizione, era il maestro veneziano Tiziano.
Del resto, i pittori, scultori e architetti più significativi, inclusi nell’elenco, erano diversi tra loro per qualità e valore artistico. E ciò fu messo in evidenza dal Vasari con la diversa estensione riservata alle singole biografie. Ai maestri più insigni fu dedicato uno spazio molto grande, a quelli di secondo ordine uno spazio proporzionalmente minore. Per i suoi contemporanei Vasari poteva stendere un testo più ampio rispetto agli artisti del passato, perché su Michelangelo e Tiziano, ad esempio, disponeva di un materiale molto più ampio da elaborare rispetto a Giotto. Poteva attingere alla «Vita di Michelangelo Buonarroti» di Ascanio Condivi, pubblicata a Roma nel 1553, un libro che in realtà era un’autobiografia di Michelangelo, il quale aveva dettato o commissionato la maggior parte del testo a Condivi. Inoltre Vasari aveva intrattenuto rapporti personali con Michelangelo e si riteneva suo amico. Egli aveva anche avuto la possibilità di leggere le memorie di Benvenuto Cellini, di cui era stata pubblicata «La Vita» tra il 1558 e il 1562. I contemporanei assumevano però anche un altro valore per Vasari. Attorno a Leonardo da Vinci e a Raffaello era sorto un culto del genio, che era sconosciuto fino ad allora. Questi geni, con la loro grandezza incontestata, avevano varcato i confini delle loro corporazioni, caratterizzate da un lavoro artigianale, ed erano considerati «divini». Lo stesso Vasari conferisce loro l’appellativo di «divino», come fa anche con Michelangelo.
Per la prima volta compaiono nelle Vite diverse concezioni nuove, sfruttate poi naturalmente nella storia dell’arte successiva. Nelle sue opere Vasari non dissimulò per nulla il suo rifiuto netto del Medioevo nordico. Egli definì barbaro questo stile e gli riservò l’appellativo di «gotico», un termine che conservò questa sua accezione denigratoria fino al XIX secolo, quando con «gotico» si cominciò a indicare semplicemente un’epoca storica. Molto spesso si è attribuita al Vasari l’invenzione del termine «manierismo». Ora, è chiaro che Vasari ha parlato dell’arte del suo tempo come la «maniera moderna», per distinguerla dalle opere di quello che noi oggi chiamiamo il primo e l’alto Rinascimento, però il termine «manierismo» gli è rimasto estraneo. «Maniera» era una parola usuale che indicava semplicemente «stile» o «gusto». Il termine «manierismo», per indicare un’epoca, fu coniato soltanto nel XVIII secolo e fu applicato al tardo Rinascimento. Inoltre, la parola «Rinascita» è stata usata dal Vasari nella prefazione delle Vite. La conclusione che egli sia perciò l’inventore del termine Rinascimento è però avventata. Vasari ha usato una metafora di Plinio il Vecchio, che nella sua Naturalis Historia aveva paragonato l’arte alla natura, con il suo ciclo di nascita, crescita, maturità, tramonto e morte. «Rinascita» era anzitutto un termine qualitativo, che si riferiva alla fioritura dell’arte nell’antichità, alla sua decadenza e al suo declino nel Medioevo e al suo nuovo risorgere con Giotto. Non si applicava agli stili e alle forme dell’antichità ma soltanto al tentativo di realizzare una nuova fioritura nelle arti. Cento anni prima del Vasari, a Firenze, Lorenzo Ghiberti nei suoi Commentarii aveva parlato di una decadenza dell’arte dopo Lisippo, nel IV secolo d. C., e aveva sostenuto che c’era stata una rinascita della sua qualità con l’ellenismo. Il Rinascimento, inteso come ritorno esplicito alle forme artistiche del mondo antico, fu descritto come tale soltanto nel XIX secolo da Jacob Burckhardt nelle sue opere «La civiltà del Rinascimento in Italia», del 1860, e «La storia del Rinascimento in Italia», del 1867.
Le opere architettoniche e pittoriche
Nella sua città natale, Arezzo, e a cominciare dal 1547, Vasari si costruì un’abitazione che egli stesso decorò con affreschi sui soffitti e alle pareti. Anche il Palazzo delle Logge della stessa città era sorto su progetto architettonico del Vasari, come pure la Cappella dell’altare maggiore della Pieve di Santa Maria di Arezzo, in cui si trova oggi la tomba di Giorgio Vasari. A Firenze egli progettò la grande Loggia sull’Arno degli Uffizi e costruì il lungo corridoio che collega il Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti, passando per il Ponte Vecchio. Dopo la grande piena dell’Arno del 1557 egli diresse i lavori di riparazione di questi edifici e del Ponte Santa Trinita. Gli edifici creati dal Vasari sono nel loro complesso progetti che si avvicinano allo spirito dell’architetto Palladio, suo contemporaneo, e manifestano la semplicità della forma antica più che la vivacità decorativa del manierismo.
Molti dipinti del Vasari sono andati perduti. Le opere che si sono conservate lasciano intravedere ben poco di quella grande considerazione di cui egli ha goduto presso i suoi contemporanei. Come pittore egli si collocava tutt’al più nella media, i suoi soggetti erano del tutto convenzionali: scene religiose, mitologia, quadri storici, immagini di fantasia come quelle di Dante e di Petrarca, ritratti di contemporanei e autoritratti. Già abbiamo citato gli affreschi della Casa Vasari di Arezzo. A Firenze il Granduca della casa dei Medici commissionò al Vasari una serie di lavori ufficiali, tra cui l’allestimento delle pareti e del soffitto della grande Sala di Cosimo I nel Palazzo Vecchio e i progetti dello Studiolo di Francesco I nello stesso edificio. Vasari iniziò anche il lavoro monumentale della decorazione pittorica della cupola del Duomo, con il soggetto del giudizio universale, ma ne dovette lasciare il completamento a Federico Zuccari e Giovanni Balducci. A Roma ricevette l’incarico di affrescare il palazzo della Cancelleria con scene della vita di papa Paolo III Farnese. Tutti questi lavori rivelano nell’insieme uno stile manieristico non originale e sono piuttosto mediocri.
I podcast de “La Civiltà Cattolica” | LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE
Da parecchio tempo, le cronache italiane sono colme di delitti perpetrati contro le donne. Il fenomeno riguarda tutte le età e condizioni sociali, tanto da sembrare endemico nella nostra società. A questo tema è dedicato un episodio monografico di Ipertesti Focus, il podcast de «La Civiltà Cattolica».
Il significato
Come pittore e architetto Giorgio Vasari è stato relativizzato nel suo valore dalla storia dell’arte successiva. Ma come biografo di artisti egli continua ad essere unico nel suo genere. In molti dettagli egli può essersi ispirato anche ai dati biografici sugli artisti antichi, contenuti nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, tuttavia le Vite restano ineguagliabili nella loro ricchezza, nell’abbondanza di particolari, nella loro ampiezza e nel loro valore artistico. Ogni storico dell’arte dei nostri giorni prende in mano volentieri questi volumi non soltanto per informarsi sui grandi artisti del Rinascimento italiano e sulle loro opere, ma anche come testimonianza della visione della storia del XVI secolo, delle concezioni e delle dispute sull’arte che hanno animato quell’epoca, e così pure come specchio degli orientamenti artistici di una società di intenditori e di appassionati di arte, che era molto colta e ben motivata nei suoi giudizi e nei suoi gusti.
Vasari ha inteso delineare un’immagine colorita e plastica degli artisti che ha trattato e del loro ambiente; ha voluto darne descrizioni che testimoniavano il suo entusiasmo ma si proponevano anche ed erano in grado di suscitare entusiasmo. L’elemento aneddotico ha sottratto alle biografie quell’aridità che spesso si traduce soltanto in una sequenza di dati scientifici precisi. Anche se al giorno d’oggi non tutti i particolari narrati sono in grado di resistere di fronte alle nostre ricerche storico-critiche, il valore complessivo dell’opera rimane inalterato. Vasari ha tratto le sue storie da altri contesti e vi ha inserito aneddoti inventati, e ha dato spazio anche ai pettegolezzi del giorno, ma nonostante questo, e anzi anche proprio per questo, la sua opera continua ad essere leggibile e avvincente. Alle Vite del Vasari si sono rifatti in seguito diversi biografi di artisti, tra cui Carl Mander nel suo Het Schilder-boeck («Libro della pittura»), una raccolta di biografie di pittori olandesi e tedeschi dal 1400 al 1615, pubblicata nel 1604 e migliorata nel 1618, e in maniera più sobria Joachim von Sandrart nella sua Teutsche Academie, edita tra il 1675 e il 1679. Queste opere non hanno raggiunto la vivacità e la ricchezza di quella del Vasari. Perciò Giorgio Vasari nel 2011 non ha perso nulla della sua grandezza singolare e il cinquecentesimo anno della sua nascita merita di essere debitamente celebrato.
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