|
Flags of our Fathers (Usa, 2006). Regista: CLINT EASTWOOD. Interpreti principali: R. Philippe, J. Bradford, A. Beach, B. Pepper, G. B. Hichkey.
Lettere da Iwo Jima (Usa, 2006). Regista: CLINT EASTWOOD. Interpreti principali: K. Watanabe, K. Ninomiya, T. Ihara, R. Kase, S. Nakamura.
L’isola di Iwo Jima (isola dello zolfo) è diventata famosa durante la seconda guerra mondiale. Si tratta di un isolotto di 3 per 5 miglia, che fa parte delle Volcano. Per la sua posizione strategica a sole 640 miglia da Tokyo, l’isola fu intensamente fortificata dai giapponesi. Il possesso di quest’isola costituiva per le forze americane un importante obiettivo, perché da essa sarebbe stato possibile bombardare il territorio giapponese. Tra il dicembre 1944 e il gennaio 1945, oltre che dall’aria, l’isola fu bombardata da corazzate, incrociatori e cacciatorpediniere. Con l’appoggio dei bombardamenti il 19 febbraio ebbe inizio lo sbarco, ma l’avanzata delle truppe fu ostacolata dai contrattacchi. Il corpo di spedizione era formato da oltre 100.000 uomini, 75.000 dei quali appartenenti alle truppe d’assalto. Le perdite delle truppe attaccanti furono di 4.590 morti e 16.000 feriti. La resistenza organizzata nell’isola durò fino al 16 marzo. I giapponesi lasciarono sul terreno 21.000 morti. Soltanto 212 sopravvissero e furono fatti prigionieri.
A questo avvenimento Clint Eastwood ha dedicato due film, entrambi di grande impatto spettacolare, che hanno in comune le scene di massa (soprattutto quelle relative allo sbarco) e quanto al resto scelgono due punti di vista diametralmente contrapposti. Flags of our Fathers racconta la conquista dell’isola dal punto di vista degli americani. Lettere da Iwo Jima racconta la perdita dell’isola dal punto di vista dei giapponesi. Campo e controcampo, come si dice in gergo cinematografico. La differenza tra i due film non si limita tuttavia al modo in cui vengono inquadrate le operazioni militari, ma investe da cima a fondo la struttura del racconto.
Dotato di notevole complessità, Flags of our Fathers si sviluppa in quattro tempi successivi, che risultano reciprocamente accavallati nel montaggio delle singole sequenze: la conquista dell’isola, la campagna propagandistica che vede coinvolti i cosiddetti «eroi di Iwo Jima» nella raccolta di fondi negli Stati Uniti per sostenere lo sforzo bellico, la sorte toccata ai reduci negli anni successivi alla guerra, l’indagine condotta ai nostri giorni dal figlio di uno di quei soldati, che sta scrivendo un libro sull’argomento. Del tutto lineare è invece il tracciato di Lettere da Iwo Jima, che non prevede vertiginosi salti di tempo, salvo qualche flash-back che illustra momenti della vita precedente di alcuni personaggi.
Mentre Flags of our Fathers, con la molteplicità dei piani sovrapposti e, in particolare, con la contrapposizione tra eventi di guerra e manipolazione propagandistica invita a intraprendere un lavoro di scavo necessario per raggiungere, al di là delle falsificazioni di comodo, un barlume di verità, Lettere da Iwo Jima, proprio con il suo dichiarato intento di far vedere ciò che nell’altro film rimaneva «fuori campo» (come in questo rimane «fuori campo» ciò che nell’altro si vede) mette in dubbio la possibilità stessa di sapere come si sia svolto effettivamente uno scontro bellico qualora ci si limiti a osservarlo soltanto dalla parte di uno dei contendenti. È la prima volta che una contrapposizione di questo genere avviene in due film che si presentano come una sorta di dittico oppure, per usare un’altra similitudine, come le due facce di una medaglia. La critica internazionale, dalla quale l’operazione condotta da Eastwood è stata ampiamente elogiata, non ha mancato di mettere in evidenza l’eccezionalità dell’evento.
100.000 soldati da una parte, 21.000 dall’altra. Il confronto è impari. L’esito è scontato anche a motivo delle perdite subite in precedenza dalle forze nipponiche. I giapponesi presenti sull’isola muoiono quasi tutti. Minori, anche se pur sempre rilevanti, le perdite degli americani. A differenza del primo film, che sconfina di tanto in tanto nel terreno della commedia dai toni grotteschi, il secondo è una tragedia che non concede tregua. Prima dello sbarco degli americani, i giapponesi hanno scavato un dedalo di cunicoli tra le rocce sulfuree e nella terra nera dell’isola. Probabilmente non ignoravano del tutto che si stavano scavando la fossa con le loro stesse mani. Il film si svolge per due terzi all’interno di questo buio scenario di morte. I suicidi «per onore» si susseguono con il loro macabro rituale. Le immagini visive e sonore delle esplosioni, realizzate con tecnica digitale, non cessano di martellare i sensi dello spettatore distogliendolo dalle riflessioni che una rappresentazione di questo genere non può non suscitare nel suo animo.