Quando nel XIII secolo i testi di Aristotele iniziarono a riemergere e a circolare nelle università europee vi arrivarono accompagnati dai commentari dei filosofi islamici. Questo fatto accentuò il senso di distanza e incompatibilità dell’aristotelismo con la tradizione teologica cristiana che in quegli anni aveva l’impronta inequivocabile del pensiero di Agostino di Ippona.

Le divergenze aumentarono col passare del tempo fino a sfociare in una aperta condanna dell’aristotelismo da parte dei pensatori agostiniani diffusi sia tra i domenicani ma, soprattutto, tra i francescani. Solo una figura come quella di Tommaso d’Aquino avrebbe potuto sanare, anche se a caro prezzo, la separazione teoretica tra Agostino e Aristotele e quella culturale tra la scuola teologica e filosofica domenicana e quella francescana. […]

Il concetto di giustizia in Tommaso d’Aquino

Anche Tommaso, nella sua ampia, sistematica e articolata discussione dell’idea di giustizia parte dal concetto tradizionale inteso come «volontà costante e perpetua di riconoscere a ciascuno il suo diritto» (Ulpiano), ma inserisce il tema nella discussione delle virtù e della legge naturale. Giustizia, infatti, per Tommaso è «un habitus dal quale derivano certe operazioni dei giusti, e mediante il quale essi operano e vogliono le cose giuste». Una concezione molto simile a quella aristotelica ma integrata dalla dimensione dell’intenzionalità, legata alla teoria della voluntas agostiniana. La giustizia nasce dalla volontà di fare il bene, associata alla “parte più nobile dell’anima” come la definisce Tommaso, in opposizione alle spinte egoistiche. Ecco perché la giustizia è una questione di virtù e tutte le virtù sono collegate ad essa.