La riscoperta dello stile missionario di Matteo Ricci e degli altri gesuiti europei alla corte dei Ming, tra il XVI e il XVII secolo, è un tema da tempo tornato in primo piano nella riflessione sul cristianesimo in Cina. Anche papa Francesco l’ha indicato spesso come un modello di incontro tra dialogo ed evangelizzazione. C’è un aspetto, però, che resta poco noto in questa pagina di storia della Chiesa in Asia: il modo in cui – all’ombra dei letterati, in una società in cui generalmente godevano di pochissimi spazi – anche alcune donne cinesi poterono ricevere il battesimo e divenire esse stesse missionarie grazie alla loro testimonianza. Le loro storie sono al centro di un articolo del gesuita p. Federico Lombardi, già direttore della Sala stampa vaticana, pubblicato sul nuovo numero della rivista “La Civiltà Cattolica” e redatto sulla base degli scritti che i missionari gesuiti in Cina hanno lasciato sulla loro opera.

Non era affatto scontato che il cristianesimo sarebbe arrivato anche alle donne. Come ricorda, infatti, p. Lombardi “nella società cinese le donne dovevano condurre una vita estremamente ritirata e sotto controllo strettissimo dei genitori, dei mariti e familiari. Perciò il rapporto diretto dei missionari con loro era praticamente impossibile, anzi da evitare, per non suscitare rifiuti e sospetti. Tanto più che i gesuiti abbandonarono presto gli abiti e lo stile di vita dei bonzi per assumere quello dei letterati e, mentre le donne del popolo frequentavano i bonzi, il controllo sociale sulle donne nelle classi colte era rigidissimo”. […]

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