fbpx

Seguici su:

Carrello Accedi Iscriviti alla newsletter
Menu

Attualità

  • Politica
  • Diritti
  • Economia
  • Ecologia
  • Mondo

Pontificato

  • Conversazioni
  • Magistero
  • Viaggi apostolici

Cultura e Società

  • Letteratura
  • Storia
  • Filosofia
  • Psicologia
  • Sociologia
  • Cinema
  • Arte
  • Musica
  • Media
  • Teatro

Scienza e Tecnologia

  • Fisica
  • Astronomia
  • Genetica
  • Intelligenza artificiale

Eventi

  • Conferenze
  • Presentazioni

Chiesa e Spiritualità

  • Bibbia
  • Dialogo interreligioso
  • Diritto canonico
  • Vita spirituale
  • Teologia
  • Santi
  • Patristica
  • Liturgia
  • Pastorale
  • Storie

Edizioni internazionali

RIVISTA CULTURALE DELLA COMPAGNIA DI GESÙ, FONDATA NEL 1850
Shop
Search
  • Attualità
  • Chiesa e spiritualità
  • Cultura e società
  • Scienza e tecnologia
  • Pontificato
  1. Homepage
  2. News
  3. Le Nazioni Unite sono in crisi?
News

Le Nazioni Unite sono in crisi?

Intervista a Sandro Calvani

Redazione

26 Giugno 2025

Sede Onu a New York, rispetto a una foto scattata nel 1952 (Imago/Alamy).

Ottant’anni fa, il 26 giugno del 1945, veniva firmato lo Statuto dell’Onu a conclusione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’Organizzazione Internazionale. Entrato in vigore il 24 ottobre successivo, dopo la ratifica da parte dei 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Cina, Francia, Unione Sovietica, Regno Unito e Stati Uniti) e della maggioranza degli altri Stati firmatari, quel testo rappresenta ancora oggi un punto di riferimento per la comunità internazionale. Mai come in questi giorni, però, ci si chiede se l’Onu possa ancora «salvare le future generazioni dal flagello della guerra», «mantenere la pace e la sicurezza internazionale» – come si legge in quello statuto firmato 80 anni fa -, «conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie» e «sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli»[1] .

Ucraina, Iran, Gaza, Israele, ma anche Sudan e Myanmar. Sono continui gli appelli di Papa Leone XIV alla comunità internazionale affinché si mettano a tacere le armi e si riprenda la strada del dialogo. «Ogni membro della comunità internazionale ha una responsabilità morale: fermare la tragedia della guerra, prima che essa diventi una voragine irreparabile. Non esistono conflitti “lontani” quando la dignità umana è in gioco»[2]. Tuttavia, gli scenari di guerra attuali – che in alcuni casi durano da oltre tre anni – sembrano aver indebolito nei fatti quanto conseguito con la storica Conferenza di San Francisco del 1945.

Sandro Calvani

Cosa sta succedendo alle Nazioni Unite? Lo abbiamo chiesto a Sandro Calvani, ex diplomatico senior e capo-missione delle Nazioni Unite e della Caritas in 135 paesi, Presidente del Consiglio Scientifico dell’Istituto Giuseppe Toniolo per il diritto Internazionale della Pace. Calvani è scrittore e docente in diverse università internazionali in Asia. Alcuni dati in questa intervista sono estratti dal libro di Muhammad Yunus, Sandro Calvani e Giuliano Rizzi, «Protopia, un nuovo impegno quotidiano per i beni comuni globali». Edizioni Città Nuova, 2025. 

Sandro Calvani, qual è lo stato di salute delle Nazioni Unite oggi, nel 2025?

Le aspirazioni che 80 anni fa diedero vita al grande consenso mondiale per la creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) sono ancora valide oggi e certamente sono più sentite e diffusamente popolari di quanto furono allora. Infatti solo 50 governi presero parte alla prima Conferenza delle Nazioni Unite nel 1945 a San Francisco che decise all’unanimità lo Statuto dell’Onu; nei loro paesi la conoscenza delle problematiche globali era allora molto scarsa a livello popolare. La popolazione mondiale era circa 2,3 miliardi di persone. Oggi invece 193 popoli membri delle Nazioni Unite e altri 50 popoli non ancora rappresentati hanno ben chiare le linee generali delle sfide di fronte alle quali si trova l’umanità. Secondo i sondaggi oltre 85% della popolazione mondiale conosce e sottoscrive i principi di pace e giustizia dello Statuto dell’Onu. La visione evolutiva nata dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale verso un miglior governo dei beni comuni globali, come la pace, il diritto internazionale, l’equa distribuzione delle risorse, la salute e l’educazione per tutti era quella giusta. Da quella visione i paesi membri hanno dato all’Onu in 80 anni, 3.600 mandati diversi.

Nel 2025, il bilancio complessivo è senza dubbio molto positivo, le luci brillanti sono molte di più delle zone d’ombra. Nonostante l’immensa complessità delle problematiche interconnesse del XXI secolo, gli ultimi otto decenni hanno registrato un’evoluzione radicale e multiforme nello sviluppo globale e nella riduzione della povertà per gli 8,2 miliardi di persone che abitano oggi sulla Terra, quasi quattro volte quelli che c’erano 80 anni fa. Questo percorso, segnato da ideologie mutevoli, iniziative innovative e sfide persistenti, ha visto il mondo passare da un’attenzione alla ricostruzione delle nazioni a una visione olistica di benessere sostenibile per tutti, in tutti i campi dove organi delle Nazioni Unite hanno creato un consenso e contribuito a identificare buone pratiche.

Negli ottant’anni i popoli del mondo si sono parlati e hanno collaborato in migliaia di iniziative sotto la bandiera azzurra dell’Onu, si è affermato in modo incontrovertibile un forte abbassamento delle frontiere, la radice della globalizzazione, trainata anche da progressi tecnologici e dall’apertura di grandi economie come Cina e India. Oggi circa il 60% degli esseri umani parla almeno una lingua straniera, il 43% sono bilingue e il 17% parla almeno tre lingue. Nel 1945, quelle percentuali erano dell’ordine di grandezza dello zero-virgola. L’integrazione nell’economia globale ha alimentato una crescita economica senza precedenti nella storia umana, portando per la prima volta a una forte riduzione del numero assoluto di persone che vivono in povertà estrema. Tuttavia, questo progresso è stato distribuito con forti disuguaglianze nel mondo intero, con diversi paesi, in particolare nell’Africa subsahariana, rimasti indietro. 80 anni fa l’aspettativa media di vita alla nascita era inferiore ai 47 anni, oggi è 73,2 anni, un aumento sbalorditivo di oltre 26 anni dell’aspettativa di vita media globale; essa riflette i progressi monumentali nella salute pubblica, nella medicina, nella nutrizione e nei servizi igienico-sanitari.

Queste statistiche sono prove impressionanti dei risultati della cooperazione internazionale guidata dall’Onu sulle questioni che più contano per la vita delle persone. Gli scrittori della Carta dell’Onu, alcuni dei quali erano rappresentanti di nazioni colonialiste che governavano il 70% della popolazione mondiale, avevano davanti a sé una povertà mondiale oltre il 50% dell’umanità; oggi essa è al 8,5%.  

Nel campo della costruzione del mantenimento della pace, la Carta dell’Onu si basava su “pace e beni comuni per tutti”, mentre oggi invece quella speranza della pace sembra meno condivisa nel mondo rispetto al 1945, quando nacque il diritto internazionale. In diversi scenari la nuova dominante è “il mio paese viene prima”, un’idea stupida che si dovrebbe sciogliere al sole dell’evidenza dell’interdipendenza dei popoli. Per questo, siamo tutti in ansia per la “guerra mondiale a pezzi” – un’immagine originale coniata da papa Francesco nel 2014.

Nel XXI secolo, invece di un unico grande conflitto globale come le due guerre mondiali, viviamo molteplici crisi, conflitti regionali e focolai di violenza sparsi in diverse parti del mondo, tanto da configurare una sorta di guerra mondiale “frammentata”. La guerra a pezzi è caratterizzata da molteplicità di conflitti, interconnessione indiretta, diffusione capillare della violenza, forte rischio di espansione nelle regioni vicine. Secondo R. Kaplan, la paura popolare e i leader guerrieri creano una Terra desolata che potrebbe durare a lungo.

Secondo il Global Risks Report 2025, i conflitti armati tra stati rappresentano il principale rischio globale. Nel 2024 lo stesso rischio era all’ottavo posto. Ci sono meno conflitti nel Sud del mondo con meno vittime civili: secondo le stime del Peace Research Institute di Oslo le morti annuali dirette causate da conflitti armati sono scese da 500.000 negli anni ‘80 a circa 100.000 nel 2023, mentre la popolazione globale è raddoppiata. In Africa, le vittime civili sono diminuite del 70% rispetto ai picchi degli anni ’90. Ma nel 2025 i conflitti più gravi causano enormi impatti umanitari: l’invasione dell’Ucraina, l’escalation dei conflitti in Medio Oriente (in particolare Israele, Palestina, Iran e Yemen), i sanguinosi conflitti in Sudan, nel Sahel (Mali, Burkina Faso, Niger), e nel Myanmar. Inoltre, in Messico e in Colombia proseguono gravi conflitti interni e si registra una potenziale escalation tra India e Pakistan. L’aumento dei conflitti a livello globale ha un impatto devastante e senza precedenti sulle popolazioni civili, in particolare sui bambini. Le conseguenze economiche e politiche sono pesanti e contribuiscono a un clima di crescente instabilità internazionale.

Nonostante la visione condivisa sulle soluzioni di pace espressa ripetutamente dall’Assemblea delle Nazioni Unite, a causa dei veti incrociati di Russia e Stati Uniti, il Consiglio di Sicurezza Onu non è riuscito a fermare l’invasione russa dell’Ucraina, né le guerre in Medio Oriente, in Sudan e in Myanmar. Le operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite sono in declino, con una riduzione da oltre 100.000 peacekeeper nel 2016 a circa 68.000 nel 2024. Per questo, c’è chi punta il dito contro una certa inefficacia del sistema di mantenimento della pace dell’Onu, definendolo obsoleto. Eppure, tra il 1950 e il 2010 l’applicazione delle regole del diritto internazionale e delle risoluzioni Onu in conflitti gravi permise di fermare la guerra con un cessate il fuoco o un trattato di pace, salvando milioni di vite umane in decine di crisi gravi, per esempio in Corea (1950-1953), Suez (1956), Congo (1960-64), Cipro (1964), Mozambico (1979-92), i conflitti arabo-israeliani, la pace Israele-Giordania (1994), Iran-Iraq, Bosnia (1992-95), Kosovo (1998-99), Sierra Leone (1991-2002), Sudan (1983-2005), Liberia (1989-2003), Nagorno-Karabakh (1988-94), e diversi altri conflitti. Diversi accordi di cessate il fuoco e i trattati di pace sono risultati delle «costruzioni della pace a pezzi», che sono riusciti più volte a rammendare i gravi strappi della guerra.

Per volontà di pochi governi sovranisti e non certo per colpa dell’Onu, oggi, l’unilateralismo e il predominio delle considerazioni sulla sicurezza nazionale nelle agende politiche nazionaliste mettono a rischio la spesa nella sanità, l’istruzione e le infrastrutture per lo sviluppo e per l’aiuto ai migranti e ai rifugiati. Nel 2023, l’accelerazione della spesa militare per il nono anno consecutivo ha raggiunto un totale di 2.400 miliardi di dollari, con un forte aumento nel 2022-23. I primi cinque Paesi fanno il 61% del totale della spesa militare. Poiché i governi che hanno rafforzato le forze armate percepiscono che i vincoli multilaterali all’azione militare unilaterale sono più deboli, nei prossimi anni potrebbero verificarsi più casi di interventi militari transfrontalieri. L’aumento della sorveglianza statale sui cittadini e le restrizioni alle libertà individuali potrebbero diventare più comuni in nome della sicurezza nazionale. Le minacce percepite o reali provenienti da altri Paesi offrono inoltre ai governi l’opportunità di assumere il controllo della narrazione e di sopprimere le informazioni, confondendo le considerazioni di sicurezza autentiche con la convenienza politica di parte.

Iscriviti alla newsletter

Leggi e ascolta in anteprima La Civiltà Cattolica, ogni giovedì, direttamente nella tua casella di posta.

Iscriviti ora

Dopo tre anni di conflitto in Ucraina, quasi due anni di guerra nella Striscia di Gaza e la recente escalation in Iran, l’Onu sembra ancora più impotente. C’è ancora la volontà politica da parte degli Stati di dare un senso a questo organismo? È possibile partire da queste crisi per lavorare ad una riforma delle Nazioni Unite? Cosa bisogna fare affinché si arrivi ad un organismo che riesca a mantenere le promesse fatte in quello statuto del 1945 oppure a pensarne di nuove?

Come in un condominio o in qualunque gioco di squadra, l’efficacia di ogni associazione di gruppi umani è maggiore della somma delle sue parti solo se ogni membro contribuisce con determinazione agli sforzi comuni e alle soluzioni decise in assemblea. Diverse potenze militari ed economiche mondiali hanno messo da parte il diritto internazionale e decidono da sole, spesso senza consultare la visione degli altri, in alcuni casi senza nemmeno consultare il loro parlamento e senza rispettare il diritto umanitario di guerra stabilito nel 1864. Allo stesso tempo fanno dell’Onu un capro espiatorio, scaricandogli tutte le colpe e smettendo di pagare i contributi obbligatori, che sono equivalenti alle spese condominiali di un condominio.

I leader guerrieri fomentano la paura della gente che cresce difronte a questioni complesse, rese confuse da una disinformazione pubblica intenzionale, attraverso i social network. Secondo lo storico R. Peckham, la paura popolare che spinge il nazionalismo non è una percezione genuina: essa è invece preordinata da leader guerrieri suprematisti che fabbricano paure che altrimenti la gente non avrebbe. La libera partecipazione popolare disinformata nella discussione di dispute internazionali complesse e quella dei leader dittatori o aspiranti tali fa sì che ognuno ritenga di potersene infischiare delle regole del diritto internazionale. Semplificando un po’, sarebbe come se si pretendesse di partecipare a una partita del campionato mondiale di calcio, infischiandosi delle regole che vietano il fuori gioco e l’invasione di campo, senza mai rispettare l’arbitro quando fischia un rigore o ordina un’espulsione, e facendo il tifo in modo aggressivo, magari sparando sui portieri.

Il primo passo per riparare questa distopia è dunque un soccorso urgente al diritto internazionale, chiedendo ai parlamenti di ristabilirne il potere preminente e invalicabile. È necessaria anche un’accelerazione del disarmo come si era iniziato a fare immediatamente dopo l’approvazione della Carta dell’Onu, un processo che fu proposto dal Mahatma Gandhi e che negli Stati Uniti era voluto unanimemente da democratici e repubblicani, ma fui poi abbandonato per la crisi in Corea e l’avvento della guerra fredda. 

Le proposte di riforma dell’Onu (di cui abbiamo parlato con Sandro Calvani nel Quaderno 4152 de «La Civiltà Cattolica» del 2023, ndr) che hanno già ottenuto un vasto consenso dopo un decennio di consultazioni, potrebbero essere approvate e messe in pratica molto presto se vi fosse nei paesi membri una forte volontà popolare. La credibilità di un sistema Onu riformato sarebbe molto rafforzata se esso fosse corredato di una assemblea parlamentare eletta globale per migliorare il dialogo tra i popoli e contenere gli egoismi nazionalisti.

Oltre al rischio concreto per la pace mondiale, oggi assistiamo anche ad una crescente sfiducia dell’opinione pubblica e della politica verso gli organismi internazionali. Pensiamo alla Corte penale internazionale (e ai mandati di arresto contro Benjamin Netanyahu e Vladimir Putin, entrambi disattesi, solo per fare qualche esempio eclatante), all’Oms (con l’abbandono degli Usa), all’Onu per le ragioni fin qui esposte, alle recenti accuse rivolte all’Unrwa e infine anche all’Unione Europea, che di fronte alla crisi ucraina si è riscoperta incerta e divisa. Perché gli organismi internazionali che per anni hanno rappresentato un luogo di coesione e cooperazione oggi sono così in crisi? Lei che per anni ne ha fatto parte ricoprendo ruoli apicali, cosa ne pensa?

Diverse accuse di inefficienza rivolta a organi dell’Onu e la conseguente sfiducia sono marcatamente infondate, incluse per esempio quelle relative a salari troppo alti e a bilanci esagerati. L’Onu spende ogni anno meno della polizia di New York e meno del 2% di quanto i paesi membri spendono in armamento. Nessun organo dell’Onu offre salari più alti di quelli delle agenzie di cooperazione internazionale dei paesi membri. L’imparzialità e la professionalità del personale degli organi umanitari dell’Onu viene accresciuta continuamente dall’alta formazione offerta dallo UN Staff College, dal monitoraggio dell’internal auditing e dai cosiddetti whistleblowers (diritto di denunce interne protette). Le selezioni del personale, sempre più esigenti e trasparenti, offrono un patrimonio di risorse umane apicali di grandissima esperienza e competenza. La stessa procedura non viene applicata a incarichi politici nell’Onu scelti esclusivamente dai paesi membri. L’opinione pubblica è fortemente influenzata da pochi scandali amplificati dai media. Tre o quattro scandali l’anno fanno più rumore del lavoro quotidiano di 195.000 miei ex-colleghi Onu che ogni giorno lavorano in 193 paesi con milioni di persone svantaggiate per ottenere quei risultati riferiti all’inizio di questa intervista.

Facendo un paragone con l’Italia, di fronte a pochi casi di malasanità, non possiamo abbassare la guardia, ma nemmeno dovremmo ridurre la stima, l’ammirazione e la gratitudine ai 243.000 medici in Italia i cui nomi sono sconosciuti alla cronaca, ma che salvano milioni di vite umane. Allo stesso modo nessuno si sognerebbe di “uscire dalla sanità” per protestare contro eventuali decisioni non condivise. L’atteggiamento corretto per ricostruire fiducia, invece di spargere sfiducia corrosiva, è quello di una partecipazione costruttiva e determinata. Anche un solo giovane aspirante collega in più che si candida in un concorso Onu può contribuire al mutilateralismo e al buon governo dei beni comuni globali più di un leader sovranista che urlando sbatte le scarpe su un seggio dell’Onu o che fa uscire il suo paese sbattendo la porta da un organo Onu che salva milioni di donne e bambini dalla fame o dalle malattie.

Per quanto riguarda le Corti Internazionali, alcune sono uno sviluppo recente dell’aspirazione dei paesi membri a una pace e una giustizia giusta. È inaudito non rispettare le sentenze delle Corti Internazionali dopo aver dedicato tempo per decenni ai negoziati per crearle in modo condiviso. Quando i Trattati internazionali che hanno istituito tali corti vengono ratificati dai parlamenti dei paesi firmatari, il loro contenuto diventa parte delle leggi nazionali. Non rispettarne la lettera dovrebbe essere dunque intollerabile da parte dell’opinione pubblica e dei parlamenti e perseguibile anche dalla magistratura nazionale. Per esempio la Convenzione contro il genocidio, che è molto precisa nel proibirne diverse forme, fu ratificata sia dalla Russia, che dagli Stati Uniti, dall’Ucraina, da Israele e dall’Italia. 

Papa Francesco auspicava un «multilateralismo “dal basso” e non semplicemente deciso dalle élite del potere». Ma «più che salvare il vecchio multilateralismo – diceva papa Francesco -, sembra che oggi la sfida sia quella di riconfigurarlo e ricrearlo alla luce della nuova situazione globale»[3]. È possibile riconfigurare oggi questo multilateralismo? In che modo e soprattutto in quale sede?

Ci sono sempre state tante forme di multilateralismo, anche molto diverse, a volte poco conosciute. Tutte le forme di multilateralismo dal basso sono sempre state preferibili all’isolazionismo o al confronto a mano armata. Che siano la Croce Rossa o i Medici senza frontiere, la Caritas e i suoi corpi civili di pace, le città santuario o le banche di sviluppo, il microcredito online, le università internazionali, i sistemi educativi come Scholas Ocurrentes, Montessori International, Rondine Cittadella della Pace, iniziative profetiche come Sermig e Sant’Egidio, il multilateralismo dal basso fa poco rumore ma ottiene risultati comparabili con quelli dell’International Civil Service dell’Onu e di altre istituzioni intergovernative. A volte il multilateralismo dal basso arriva prima e arriva anche in situazioni off-limits per l’Onu. Inoltre ogni cento colleghi tosti, incorruttibili, coraggiosi, innovatori e leader pacifici in prima linea che ho conosciuto in organi Onu, al G7, al Consiglio di Sicurezza Onu, nei miei 40 anni di servizio internazionale in 135 paesi, almeno 60 provenivano da una militanza giovanile, erano ex-obiettori di coscienza, sono cresciuti nello Scautismo internazionale o in altre forme di educazione-azione giovanile. Il multilateralismo dal basso funziona, educa, costruisce un futuro inclusivo con coraggio.

Anche a livello di Stati, i nuovi network multilaterali come per esempio i Brics, l’African Union, il gruppo dei 77, l’Asean, l’Apec, non vanno visti come una sostituzione o una concorrenza all’Onu, ma piuttosto come reti multilaterali di complemento in aggiunta all’Onu, che beneficierà delle loro esperienze e proposte.

Lei oggi vive e lavora a Bangkok. Come guarda l’Asia a questo contesto di crisi che attraversa il Vecchio Continente e il martoriato Medio Oriente? Quali timori ci sono e come guardano da lì alle “vecchie” organizzazioni internazionali? Che ruolo possono avere i paesi asiatici in una nuova stagione internazionale che sia di pace e cooperazione?

Più che guardarlo, io nell’Estremo Oriente ci vivo dentro, con soddisfazione da oltre 15 anni. Da sola l’Asia ha più della metà della popolazione e del mercato del resto del mondo messo insieme e quasi due terzi dei giovani dell’intera umanità. È il continente più diverso al mondo e quello con maggiore crescita e innovazione veloce e dirompente. Per ragioni culturali antichissime, a partire dal “vuoto” taoista, che ha dato origine al confucianesimo, al buddismo e a parte dell’induismo, l’Asia ha più fiducia nell’insieme dell’umanità di quanta venga naturale all’Occidente, che invece ha avuto una forte impronta culturale delle religioni monoteiste. Fin da piccoli i cittadini asiatici si sentono responsabili dei beni comuni, per salvare tutti insieme quel che costruisce la felicità di tutti. Credono che sia il noi umanista vissuto in ogni momento a salvare l’umanità, non una salvezza che viene da un Dio. I diritti collettivi e la ricerca della felicità sono prevalenti rispetto a quelli individuali.

In Asia c’è fiducia nel multilateralismo e nel metodo di negoziati tranquilli, che a volte possono durare mesi o anni, spesso dietro le quinte, evitando roboanti conferenze stampa. Le istituzioni multilaterali vecchie vengono criticate ma con il solo obiettivo costruttivo di migliorarle e di dar loro maggiore sovranità ed efficacia. I leader politici asiatici dedicano agli incarichi internazionali, al ministero degli Esteri, alle loro diplomazie e stampa internazionale le persone migliori, i più esperti e competenti, per dare all’estero il miglior contributo possibile, che faccia anche onore alla nazione di provenienza. La regolamentazione dell’intelligenza artificiale è severa e la disinformazione attraverso i social networks viene prevenuta per legge e punita. In compenso i sondaggi online sulle opinioni pubbliche circa dispute locali e internazionali sono frequenti e influenti. A livello globale, capita spesso che in consessi internazionali, in sessioni specializzate, per esempio nelle conferenze Cop del cambio climatico o in quelle del buon governo degli oceani, il collega più preparato, collaborativo e costruttore di consenso attraverso prove convincenti sia un cinese o un giapponese o un australiano. L’ascolto del più competente è sempre molto attento, quasi venerante. Molte di queste e altre attitudini e buone pratiche asiatiche possono servire come buon esempio per “orientare” l’Occidente.

Da pochi mesi la Chiesa ha un nuovo Pontefice e, sin da subito, papa Leone XIV si è rivolto alla comunità internazionale chiedendo la pace e il rispetto del diritto umanitario. Ripensando alla Conferenza di Helsinki del 1975, la Chiesa può avere ancora oggi un ruolo di stimolo per la pace e il dialogo?

Credo che la Santa Sede abbia sempre avuto un ruolo molto costruttivo e ispiratore di pace e giustizia da costruire e governare attraverso il diritto internazionale. Più vivaci e frequenti sono questi stimoli pontifici e dei dicasteri vaticani – da tutti apprezzati e considerati non di parte – e meglio è. Allo stesso modo, le chiese locali, sia attraverso la voce dei laici associati e impegnati in politica e nella società, sia attraverso le conferenze episcopali nazionali potrebbero giocare un ruolo simile e insostituibile nell’orientare le coscienze verso leader pacifici e multilateralisti, rispettosi del diritto umanitario e dei diritti umani. In questo settore dell’impegno ecclesiale quotidiano e diffuso per la pace e la difesa dei più deboli c’è molto da fare, come stanno dimostrando per esempio il Forum mondiale dell’Azione Cattolica e il movimento Laudato Si’. Come ha sottolineato papa Leone XIV nelle parole con le quali ha iniziato il suo pontificato, la Chiesa e ogni persona di buona volontà aspiramo a una pace disarmata e disarmante. I primi tasselli di questo mosaico li deve mettere ciascuno di noi, prima dei governi e dell’Onu. 

* * *

[1] Statuto delle Nazioni Unite. https://digitallibrary.un.org/record/1318124/files/Charter-Italian.pdf

[2] Appello di papa Leone XIV dopo l’Angelus in occasione della solennità del Corpus Domini. https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/angelus/2025/documents/20250622-angelus.html

[3] Esortazione Apostolica Laudate Deum, papa Francesco. https://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/20231004-laudate-deum.html

Le Nazioni Unite sono in crisi?

Redazione

26 Giugno 2025


Commenta e condividi
Stampa l'articolo

Si parla di:

GuerraOnuPacePolitica internazionale

Iscriviti alla newsletter

Leggi e ascolta in anteprima La Civiltà Cattolica, ogni giovedì, direttamente nella tua casella di posta.

Iscriviti ora

I più letti della settimana

AGOSTINO, raccontato da La Civiltà Cattolica

L’elezione di un religioso agostiniano sulla cattedra di Pietro con il nome di Leone XIV ha risvegliato in tutti l’interesse...

19 Giugno 2025 Leggi
Icona dell'abbraccio tra Pietro e Paolo, Ashmolean Museum

La fede di Pietro e il Vangelo di Paolo

Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio...

26 Giugno 2025 Leggi
Sede Onu a New York, rispetto a una foto scattata nel 1952 (Imago/Alamy).

Le Nazioni Unite sono in crisi?

Ottant’anni fa, il 26 giugno del 1945, veniva firmato lo Statuto dell’Onu a conclusione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’Organizzazione...

26 Giugno 2025 Leggi

La preghiera «per coloro che governano»

Se si facesse un’inchiesta tra i cristiani praticanti per individuare le loro principali intenzioni di preghiera, cioè per chi essi...

2 Agosto 2003 Leggi
Erasmo da Rotterdam e Martin Lutero

Erasmo e Lutero: la libertà del cristiano

Cinque secoli fa, nel 1524-1525, Erasmo da Rotterdam e Martin Lutero, nel turbine delle vicende della Riforma, ebbero un acceso...

5 Giugno 2025 Leggi
Cathedra Petri (foto: lora_313/Wikimedia)

Lo Spirito Santo, uno sconosciuto?

Rivolgendosi ai suoi discepoli nel «discorso di addio», Gesù afferma, a proposito dello Spirito Santo: «Il mondo non [lo] può...

5 Giugno 2025 Leggi
Murale di Dragon Ball in omaggio ad Akira Toriyama, Lima. (foto: Mayimbú/Wikimedia)

Da «Manga» a icona: i quarant’anni di «Dragon Ball»

Un anno fa ci lasciava Akira Toriyama, mangaka conosciuto in tutto il mondo per i personaggi dal tratto morbido nati...

5 Giugno 2025 Leggi

ABBONATI

Dal 1850, la rivista internazionale dei gesuiti. Scegli l’abbonamento che preferisci: carta + digitale o solo digitale.

Scopri di più

Beatus Populus Cuius Dominus Deus Eius

La testata fruisce dei contributi diretti editoria L. 198/2016 e d.lgs 70/2017 (ex L. 250/90). Importo lordo erogato per l’anno 2023: € 297.125,03

  • Attualità
  • Cultura e società
  • Scienza e tecnologia
  • Chiesa e spiritualità
  • Eventi
  • Pontificato
  • Chi siamo
  • Le edizioni internazionali
  • Abbonati
  • Dona
  • Biblioteca
  • Shop
  • Ricerca
  • Newsletter
  • Privacy Policy
  • Cookie Policy
  • Termini e Condizioni
  • Condizioni di vendita
  • Pubblicità
  • Contatti
  • FAQ
  • Accedi
Icona del Livello A di conformità alle linee guida 1.0 del W3C-WAI riguardanti l'accessibilità dei contenuti del Web

© LA CIVILTÀ CATTOLICA 2025 | Partita iva 00946771003 | Iscrizione R.O.C. 6608

I diritti delle immagini e dei testi sono riservati. È espressamente vietata la loro riproduzione con qualsiasi mezzo e l'adattamento totale o parziale.