Chissà come ricorderemo e racconteremo questo tempo, il tempo della pandemia. Sarà stata solo una parentesi, lunga e molto dolorosa? Sarà stata anche una cesura, un vero tempo di crisis, e quindi anche di discernimento? Scopriremo di esserci trovati – a causa o «grazie» a un virus letale – proprio nel bel mezzo di un cambiamento d’epoca?
Come scrivevo nel primo breve articolo sul tema, pubblicato su La Civiltà Cattolica dopo le prime notizie dalla Cina, il coronavirus 2019-nCoV – ribattezzato poi Covid-19 – ha generato una sindrome del contagio universale. Il sistema di interconnessione planetaria dell’umanità ci ha fatto improvvisamente sperimentare una condizione paradossale: più siamo connessi, più il contatto si può trasformare in contagio; la comunicazione in contaminazione; le influenze in infezioni. L’apocalisse è a portata di mano.
Un’apocalisse fatta di una contabilità dura, concreta e dolorosa di malati e di morti. Ma anche una rivelazione di simboli. Il coronavirus sembra infatti anche un sintomo – e, appunto, un simbolo – di una più generale condizione di paura che ci portiamo dentro. La paura del futuro: questo è oggi il virus dell’anima. Ma si potrebbe pronunciare una lunga litania di paure. Il primo effetto del contagio da virus della paura è l’anima arida, la desolazione. E il nostro primo compito è la lotta all’inaridimento. Il secondo compito, che è la conseguenza del primo, è farsi carico delle attese, dei cambiamenti e dei problemi del Paese.
Ecco perché abbiamo voluto subito raccogliere in un nuovo volume della collana digitale de La Civiltà Cattolica – i nostri Accènti – tutti gli articoli che la rivista ha voluto e dovuto pubblicare nel tempo della pandemia che stiamo ancora vivendo. Una raccolta che punta a non dimenticare quello che stiamo imparando e a offrire spunti per realizzare quei cambiamenti, personali e sociali, economici e politici, che la diffusione di un virus ha reso così drammaticamente evidenti nella loro necessità.
Il volume è diviso in sei sezioni, più un’appendice: l’articolo con il quale La Civiltà Cattolica ha dato conto nel 1918 dell’altra pandemia che è stata spesso associata a quella in corso: quella dovuta alla cosiddetta influenza «spagnola», che colpì durissimamente e per alcuni anni consecutivi anche l’Italia.
Nella prima sezione abbiamo voluto prendere le mosse da un’esperienza, quella del gesuita statunitense Patrick Gilger, arrivato a Milano subito dopo l’entrata in vigore del decreto sulla quarantena. Si è reso conto che il suo progetto di imparare l’italiano e completare il suo lavoro di tesi era impedito. Ma sebbene non abbia potuto conoscere Milano nella sua vivacità e raffinatezza, ha potuto comunque riceverne un insegnamento. Che ha provato a raccontare.
Nella seconda sezione descriviamo l’impatto del virus in alcune aree del mondo. A cominciare dalla Cina, primo Paese colpito dalla pandemia, e primo a uscire dal contenimento. La Cina occupa un posto cruciale nella crisi attuale. E il modo in cui reagisce e reagirà alla situazione determinerà i contorni del nuovo panorama globale. Le incognite rimangono numerose. Poi un dolorosissimo salto in Siria, in cui gli effetti di Covid-19 possono essere moltiplicati a causa di un dato di contesto drammatico e noto: la distruzione di circa la metà delle strutture sanitarie e la mancanza di personale medico, a motivo del lunghissimo conflitto e della fuga dal Paese che ne è conseguita. Dal Medio Oriente scendiamo in Africa dove le conseguenze del Covid-19 stanno colpendo soprattutto i più poveri, che vivono di quelle attività dette di «economia informale», che sfuggono alle principali rilevazioni. Infine, l’Europa. La crisi in corso dimostra che i modelli «occidentali», in primis quelli economici, devono cambiare. E i leader politici devono prendere l’iniziativa. La crisi è una cesura e potrebbe essere l’ultima chiamata utile per il «sogno europeo»: presenta sfide personali, esistenziali e religiose, e sfide sociali e politiche da affrontare con uno vero spirito di solidarietà.
Nella terza sezione abbiamo raccolto articoli e saggi brevi che offrono elementi sia di analisi sia di prospettiva sulla crisi in corso, da diversi punti di vista. All’inizio, quello delle implicazioni sociali dell’emergenza sanitaria globale, che influisce profondamente sul nostro modo di vivere e mette alla prova i sistemi sanitari, come pure le attività produttive ed educative. C’è poi la sfida posta alle apparenti certezze dell’economia: i fatti certificano il fallimento delle soluzioni neoliberiste, in questo caso quelle che hanno avuto un impatto sui sistemi di salute pubblica, e allo stesso tempo l’impraticabilità di una decrescita effettivamente «felice». Alcuni rievocano il «Piano Marshall», e ne auspicano uno nuovo. E allora vale la pena ripercorrere, dal punto di vista della storia, gli eventi che hanno portato all’emanazione di quel Piano (3 aprile 1948), per capire, e valutare. Un altro livello di analisi e prospettiva è ovviamente quello della politica. Quale politica e quali politici emergeranno dal coronavirus? Come attivare concretamente, nell’ambito della nostra vita sociale e politica, gli «anticorpi cattolici» contro il virus della pandemia della paura, dell’ansia e dell’odio? Infine, un breve articolo su come leggere la crisi in corsa dal punto di vista dell’informazione. Insieme alla diffusione del Covid-19, c’è stato un picco di disinformazione: sulla sua origine, la sua diffusione, e i suoi effetti. Stiamo affrontando ciò che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha definito una «infodemia».
Nella quarta sezione lasciamo spazio alla psicologia. Le circostanze legate all’epidemia di questi mesi hanno fatto emergere alcuni comportamenti degni di rilievo. Un corretto atteggiamento è di grande aiuto per vivere una situazione di emergenza. Quando la paura viene ascoltata e vissuta in maniera proattiva, può insegnare molte cose sulla verità della condizione umana. In particolare, poi, un articolo approfondisce gli insegnamenti, forse inattesi e preziosi, che possono giungere da quel «non fare niente», al quale le esigenze del contenimento del virus hanno costretto per più tempo del solito molti di noi. Non fare niente può essere un’esperienza difficile da tollerare, ma anche un’importante opportunità a nostra disposizione.
Nella quinta sezione, tre articoli intercettano infine la dimensione della fede. Una certa teologia, dedotta da citazioni bibliche decontestualizzate, e che ancora oggi attraversa anche una parte del mondo cattolico, mostra il virus come «una punizione di Dio». Il primo articolo smentisce questa velenosa deformazione di Dio: come cristiani e membri della Chiesa, siamo chiamati a svolgere un ruolo di veri profeti che consolano, incoraggiano ed edificano un popolo in difficoltà. E adempiere a questo ruolo dipende da un approccio sano e coerente alla Bibbia. Il secondo testo che presentiamo è la lettera di un vescovo ai «suoi» sacerdoti, per condividere alcune riflessioni sviluppate in questa particolare circostanza della pandemia: un tempo in cui il digiuno eucaristico ci può far riscoprire la vera fede e la presenza di Dio nella sua Parola, nei poveri e bisognosi. Il terzo contributo nasce dall’esperienza concreta di un pastore alle prese con il trasferimento obbligato nel web di ciò che non si può per il momento vivere fisicamente in chiesa. Che cosa significa l’inculturazione della liturgia e dei sacramenti nell’esperienza digitale in un tempo nel quale la mediazione di Internet sta diventando sempre più importante?
Che cosa ci insegna, quindi, questa esperienza del coronavirus? Lo scopriremo nel tempo. Può esserci utile, però, leggere – nella sesta e ultima sezione – la straordinaria intervista su questo tempo di crisi a papa Francesco, realizzata da Austen Ivereigh, e che La Civiltà Cattolica ha pubblicato in esclusiva in lingua italiana sul suo sito. È da leggere e meditare. Tra le cose che emergono con chiarezza è la scoperta della fratellanza. L’essere fratelli non è un’idea: è un dato di fatto. Il virus paradossalmente ce lo dimostra perché non conosce né frontiere, né muri. Non c’è strategia per il futuro che funzioni senza considerare l’umanità, e non solamente il singolo popolo, il singolo Stato o la singola regione. Siamo tutti connessi. L’alternativa è solo l’egoismo degli interessi e sappiamo che questo mette a dura prova la convivenza pacifica e lo sviluppo delle prossime generazioni. Francesco ha chiesto di trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di solidarietà.
È chiaro che dobbiamo anche comprendere che cosa abbiamo sbagliato. Francesco ha parlato di un pianeta gravemente malato, di ingiustizie planetarie per un’economia che punta solo al profitto, di conflitti internazionali che sono oggi da far cessare subito, e così embarghi ed egoismi nazionali. Ma ha parlato anche dei ritmi di vita frenetici. Siamo in una pausa forzata. Questo è il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di reimpostare la rotta della vita. Ci serve abbandonare il nostro affanno di onnipotenza e di possesso.
Affido, dunque, questo dodicesimo volume della collana «Accènti» de La Civiltà Cattolica ai nostri lettori perché possano approfondire questo tempo di inquietudine che deve aiutarci a pensare un futuro diverso. Ringrazio il dott. Simone Sereni che insieme a me ha scelto e organizzato i saggi che pubblichiamo. Come sempre, i testi raccolti sono frutto dal laboratorio internazionale della rivista: essi giungono da autori – tutti gesuiti – che vivono in varie aree del mondo: Repubblica Popolare Cinese, Stati Uniti, Zambia, Lussemburgo, Francia, Israele e Italia.