Il 9 gennaio 2017 si è spento Zygmunt Bauman, sociologo polacco di cittadinanza inglese tra i più noti interpreti della postmodernità. La notizia è stata data dal quotidiano polacco Gazeta Wyborcza. Bauman aveva 91 anni, una vita «sazia di giorni», secondo la Scrittura: non soltanto per la loro quantità, ma per la profondità con cui sono stati vissuti. Con la sua morte si chiude il sipario su uno dei principali intellettuali contemporanei, fecondo di idee fino all’ultimo. Le molte rughe scolpite sul volto, più di ogni parola, hanno parlato dei molti capitoli del libro di una vita travagliata.
Nato a Poznań il 19 novembre 1925, di origine ebraica, nel 1939 Bauman si rifugia in Urss per arruolarsi nell’esercito sovietico contro l’invasione nazista della Polonia. Dopo la guerra, studia sociologia all’Università di Varsavia. Dal 1944 al 1953 Bauman è ufficiale dell’esercito polacco dipendente dai sovietici. Nel 1946 diviene membro del Partito comunista. Dal 1953 al 1968 insegna filosofia marxista e sociologia. Nel 1968, in seguito all’ondata antisemita del regime comunista che gli revoca la cattedra, si trasferisce in Israele con la moglie Janina e le loro tre figlie.
A Tel Aviv non condivide il sionismo di suo padre, e dal 1971 emigra a Leeds, una cittadina inglese a circa 300 km a nord di Londra, in cui trova una casa e una cattedra. Lì ha affondato le radici e diramato i frutti del suo pensiero, che hanno fatto dibattere l’Occidente per circa mezzo secolo.
La felicità (morale) e il fine della vita pubblica
Com’è stato scritto, in una società orfana del ruolo di padre «Bauman è stato un padre». Voci autorevoli, come quella del card. Carlo Maria Martini, lo hanno definito un «non credente pensante», perché, grazie alla propensione per la filosofia, la psicoanalisi e l’antropologia, ha cercato il confronto con gli uomini di fede sulle domande ultime e di senso, che la ricerca spesso ignora. Nonostante abbia vissuto le tragedie e i fallimenti del Novecento – nazismo, Shoah, Hiroshima, comunismo –, nei suoi scritti emerge un ottimismo di fondo verso la vita, considerata un dono, ma anche una responsabilità. Bauman diceva di sé: «Sono pessimista a breve termine, ottimista a lungo termine».
Le sue intuizioni sono state un ponte che ha aiutato la cultura a passare dalla riva della modernità, con i suoi valori e le sue certezze, a quella della postmodernità, il tempo della paura e della precarietà[1]. La cultura contemporanea eredita
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