«La Vergine aveva un nome che le si adattava benissimo: si chiamava Maria, che significa “splendore”. Cosa infatti vi è di più luminoso dello splendore della verginità? […] Se quindi è un bene così grande avere un cuore verginale, quanto lo sarà la carne che con l’animo adornerà la verginità? Così, anche la santa Vergine Maria mentre era nella carne possedeva una vita incorrotta e immacolata e accoglieva con fede le parole dell’arcangelo»[1].
Questo bel significato attribuito al nome di Maria, quale «splendore» originario per il suo nome di Vergine e Immacolata, può essere preso come immagine introduttiva per la riflessione dell’Estetica teologica di H. U. von Balthasar, tutta pensata e costruita sull’irradiazione della «bellezza» di Dio, ossia della sua «gloria», dello splendore inaccessibile della sua divinità. Delimitando il campo dell’indagine sull’opera vastissima del teologo svizzero, ci si può chiedere: qual è il posto che Maria, soprattutto in relazione al mistero della Chiesa, occupa nella sua Estetica teologica? Questa è composta di 7 volumi ed è la prima parte del suo trittico teologico arricchito dagli altri due pannelli, che sono la Teodrammatica e la Teologica.
[caption id="attachment_30730" align="aligncenter" width="600"] Benvenuto Tisi, "Trinità e Immacolata Concezione", 1528-36, Milano[/caption]
In particolare, in che senso si può propriamente parlare di Maria, quale «splendore della Chiesa», in relazione al Figlio Gesù Cristo, che, per sua natura, è la «gloria di Dio», in quanto egli è «il Signore della gloria» (1 Cor 2,8), è l’«irradiazione» o splendore riflesso della stessa gloria del Padre (cfr Eb 1,3)? In quanto Figlio di Dio diventato uomo (cfr Gv 1,14), Gesù Cristo porta in sé, e trasmette, tutto il peso della gloria divina, ossia della divinità e della trascendenza divina espressa quale kâbôd nell’Antico Testamento e quale doxa nel Nuovo Testamento. Proprio nella sua condizione umana e storica di Verbo incarnato, Gesù di Nazaret è diventato, secondo la nota formula di sant’Ireneo, «la visibilità del Dio invisibile» (cfr Gv 1,18).
Nella prospettiva del 150° anniversario della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, fatta da Pio IX nel 1854, Maria e la Chiesa sono i termini portanti della nostra riflessione mariologica accomunati dalla categoria di splendore. Si tratta di cogliere in questa caratteristica gli aspetti propriamente biblici e teologici di una estetica teologica in senso originario, e non porsi o ridursi al piano semplicemente di una «teologia estetica» (bellezza nel senso puramente profano), alla quale molte volte — soprattutto nel secondo millennio cristiano
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