Le imponenti manifestazioni di piazza di fine giugno 2013 in Egitto, capeggiate da movimenti di matrice laica, nonché la raccolta di circa 22 milioni di firme contro il Governo in carica, hanno «legittimato» l’intervento dell’esercito contro l’esecutivo «islamista» presieduto da Mohamed Morsi, il quale è stato arrestato e detenuto in un luogo segreto. In questo modo l’esercito, nella persona del generale Abdel Fatthal al-Sisi, è diventato nuovamente, come nel recente passato, l’ago della bilancia della politica egiziana. Soprattutto dopo i fatti sanguinosi di ferragosto, ci si chiede quale sarà il futuro dell’Egitto. Infatti, la radicalizzazione dello scontro politico alla fine potrebbe avvantaggiare, come è avvenuto in passato, le frange estreme dell’islamismo jihadista, nuocendo molto alla democrazia, all’economia in forte crisi e alla convivenza in Egitto tra musulmani e cristiani copti, i quali chiedono di non essere considerati più cittadini di secondo ordine.