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In modo eclatante dal 10 giugno, con la cattura di Mosul, si assiste al successo dell’Isis (Stato islamico dell’Iraq e dello Sham, ossia il Levante o la Grande Siria quando inglobava il Libano). Visto il ruolo di molti attori internazionali e il collegamento del fronte iracheno con quello siriano, non sarà facile evitare una guerra civile e la dissoluzione, almeno di fatto, dello Stato in tre parti. E ciò comporterà un nuovo esodo di cristiani. Se Teheran garantirà la nascita di un Governo di unità nazionale in Iraq con una leadership non divisiva ed efficace, offrirà un’altra assicurazione, insieme con la stipula dell’accordo nucleare a Vienna entro il 20 luglio, ai suoi nemici, che resteranno tali, ma almeno non belligeranti. E si escluderà una terza guerra del Golfo, se gli Stati Uniti dovessero «per disperazione» intervenire con le loro forze armate per bloccare l’Isis in Iraq (e forse poi sconfinare in Siria). Ma la vera garanzia di una pace stabile per giusti motivi, anche in Siria, sarebbe un accordo tra iraniani e sauditi in chiave non anti-israeliana, che favorisca una comunità economica del Levante e del Golfo.