Ora che volge al termine, sembra che il tour di Zelensky in Vaticano e nelle principali capitali europee abbia avuto due obiettivi: da un lato rinsaldare il sostegno all’Ucraina da parte dei Paesi alleati, incassando la promessa di nuove armi per contrastare l’invasione russa «fino alla vittoria», e dall’altro bloccare la «missione di pace» della Santa sede e di papa Francesco.
Il quale peraltro, per nulla scoraggiato dal «non abbiamo bisogno di un mediatore fra noi e la Russia» pronunciato dal presidente ucraino subito dopo aver concluso il colloquio con Bergoglio, ha ribadito che non può esserci alternativa a una soluzione diplomatica alla guerra: «Le armi tacciano, perché con le armi non si otterrà mai la sicurezza e la stabilità, ma al contrario si continuerà a distruggere anche ogni speranza di pace», ha detto il pontefice domenica scorsa al termine del Regina Caeli da piazza San Pietro, parlando del conflitto fra israeliani e palestinesi e pensando anche all’Ucraina.
MA LA NETTEZZA DI ZELENSKY nel respingere la mediazione della Santa sede e nel rifiutare qualsiasi negoziato con Putin – che del resto, da parte sua, si guarda bene dal proporre – è frutto della necessità di non mostrare incertezze nel discorso pubblico mentre la guerra è in corso e le truppe di Kiev annunciano l’imminente controffensiva, oppure è una chiusura a ogni possibilità di dialogo?
È convinto della prima ipotesi padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica e autore dell’Atlante di Francesco. Vaticano e politica internazionale (Feltrinelli). «In questa fase la retorica della pace non può essere presente, perché ciascuna delle due parti pensa alla vittoria, quindi le parole pace e mediazione sono impronunciabili. Zelensky ha voluto fugare ogni dubbio, lanciando il chiaro messaggio che mettere in campo mediatori e negoziati adesso è inopportuno», spiega al manifesto Spadaro. […]