In occasione del quarto centenario dell’arrivo del gesuita Matteo Ricci a Pechino nel 1601, fu organizzato a Roma un grande convegno di studi, per celebrare e attualizzare l’opera di grande missionario che dopo essere stato mal visto in Vaticano è diventato un simbolo dell’inculturazione della fede cristiana nelle varie realtà del mondo.
In quell’occasione papa Giovanni Paolo II disse: “I neofiti cinesi, abbracciando il Cristianesimo, non avrebbero dovuto in alcun modo rinunciare alla lealtà nei confronti del loro paese: in secondo luogo, la rivelazione cristiana sul mistero di Dio non distruggeva assolutamente, ma al contrario valorizzava e completava, ciò che di buono e di bello, di giusto e di santo, aveva risentito e trasmesso l’antica tradizione cinese […] L’azione dei membri della Chiesa in Cina non è stata sempre esente da errori”. […]
La storia europea è piena di simili ricerche di intese. Basti ricordare il concordato napoleonico, quindi abbastanza recente, in cui la pretesa di scristianizzare la Francia veniva abbandonata, ma buona fetta del potere di nomina dei vescovi restava a Napoleone, ad eccezione della parte canonica. Che la Chiesa cattolica debba capirsi su questo con Pechino non appare un’assurdità, vista la diversità delle relazioni tra Chiesa cattolica e Francia e tra Chiesa cattolica e Cina. Se quello che a noi oggi appare assodato, e cioè che il papa nomina vescovi, non era assodato per Napoleone, può essere ancora oggetto di ricerca di comprensione con i cinesi? La questione però a molti appare molto più grave, anche perché recentemente è stato arrestato, e poi trasferito agli arresti domiciliari, il cardinale Zen: importantissima voce del dissenso cattolico in Cina.