A cosa si deve il processo di internazionalizzazione iniziato da padre Antonio Spadaro, cui lei è succeduto come direttore?
«L’ internazionalizzazione dà grande ricchezza alla rivista e consente di raggiungere i lettori che essa non riuscirebbe a raggiungere, se distribuita solo in italiano. La strategia presenta due aspetti. Il primo è nel carattere degli autori. Di per sé la rivista è italiana, fondata a Napoli nel 1850, ma poco dopo trasferitasi a Roma sotto la responsabilità dei Gesuiti italiani. Negli ultimi anni si è arricchita della collaborazione di gesuiti di molti altri Paesi, proponendo uno sguardo più ampio e diversificato. Inoltre, è vero che gli scrittori italiani sono diminuiti. Abbiamo trovato nuovi collaboratori e le voci ‘da lontano’ sono molto arricchenti sulla realtà del mondo, della società, della gente. Il secondo aspetto si trova nell’internazionalizzazione dei lettori. Oltre all’italiana abbiamo altre sette edizioni in sette lingue, nate quasi tutte da iniziative autonome, locali, che la direzione della rivista ha incoraggiate. Si tratta di richieste dagli stessi Gesuiti, come in Corea, o da un’editrice, come in Francia, che traduce gli articoli, ceduti per contratto, che in quasi tutte le edizioni vengono scelti dai responsabili e solo dopo tradotti, in modo che la diversità di argomenti presente nell’edizione italiana si rispecchi anche in altre lingue. Tutte le altre edizioni sono solo digitali, tranne in Brasile, dove l’edizione in portoghese, l’ultima nata, è solo cartacea. Le edizioni in spagnolo e in cinese sono prodotte da noi, qui a Roma, sotto la nostra responsabilità amministrativa e anche economica». […]
«Ascoltiamo il mondo e la Chiesa, cerchiamo di metterli in dialogo»
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