«È accaduto così velocemente che ha preso un po’ tutti di sorpresa». Esordisce così Luca Ricciardi, Head of program per tutta la regione del Medio Oriente del Jesuit Refugee Service (JRS), quando a La Civiltà Cattolica racconta quello che sta accadendo in questi giorni in Siria. Dopo la caduta di Damasco nelle mani dei ribelli guidati da Abu Muhammad al-Jolani e la fuga del presidente Bashar al-Assad in Russia, l’unica cosa certa è la fine di un regime durato oltre 50 anni. Tuttavia, sono ancora tanti gli interrogativi che riguardano il futuro, soprattutto quello dei rifugiati e degli sfollati che nel corso degli ultimi anni hanno dovuto abbandonare la propria abitazione a causa della guerra civile o del regime.
«In questo momento è molto difficile fare stime precise sull’attuale numero di rifugiati e sfollati perché durante il regime non era possibile avere accesso a dati attendibili o raccogliere informazioni – racconta Ricciardi -. Si sa che prima della caduta del regime c’erano circa 13 milioni tra sfollati e rifugiati di cui 7 milioni fuori dalla Siria, nei paesi confinanti o addirittura in Europa, mentre altri 6 milioni erano sfollati interni a causa di vari conflitti. Questi al momento sono gli unici numeri disponibili».
In Siria, il Jesuit Refugee Service opera già da diverso tempo. «Abbiamo un numero considerevole di programmi – spiega Ricciardi -. Lavoriamo sul tema della salute, dell’educazione, della protezione e del supporto psicosociale. Abbiamo sempre lavorato nelle aree di Aleppo, di Damasco e di Homs. Aree particolarmente vulnerabili. Inoltre, lavoriamo anche in Libano dove la popolazione siriana rifugiata è di circa 1,5 milioni di persone».
Tra i rifugiati siriani in Libano, dove ha sede il quartier generale del Jesuit Refugee Service che coordina le attività di tutta l’area mediorientale, c’è euforia rispetto a quanto sta accadendo in Siria. «Anche se si tratta di un paese così diviso che è difficile avere un’unica voce da parte della popolazione – chiarisce Ricciardi -, tra i siriani c’è sicuramente tanta felicità. Sono stato molto sorpreso dall’entusiasmo di alcuni di loro perché, nonostante i dubbi su quello che sarà, dicevano di aspettare questo momento da più di 50 anni. Mi ha molto colpito una persona che mi ha detto di non essere così felice da 13 anni. Obiettivamente sul futuro c’è un grande punto interrogativo: la Siria è sempre stata al centro di interessi geopolitici e non si sa bene quello che avverrà nei prossimi mesi. Intanto, proprio perché c’è questa incertezza, i siriani con cui ho parlato mi dicevano che ora vogliono godersi questo momento, perché sanno già che il futuro non sarà facile”.
Interrogativi e incertezze riguardano anche gli operatori umanitari che operano in Siria. “Negli ultimi giorni i nostri programmi sono stati bloccati perché non volevamo mettere a rischio né il nostro staff ma neanche le persone che si rivolgono ai nostri centri – racconta Ricciardi -. Non sapevamo come sarebbe evoluta la situazione, anche se poi è stata relativamente pacifica e sicuramente meno violenta di quella che ci aspettavamo o di quella che abbiamo vissuto tra il 2011 e il 2015. Avendo quel ricordo, abbiamo ibernato i programmi e valuteremo il da farsi in base a quello che accadrà. Elettricità, comunicazioni, beni: al momento sembrano abbastanza accessibili, almeno per quanto riguarda il cibo. Tuttavia, è un po’ presto per capire cosa accadrà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane”.