«La violenza sofferta da ogni donna e da ogni bambina è una ferita aperta nel corpo di Cristo, nel corpo dell’umanità intera», lo ha ribadito papa Francesco, lo scorso 8 febbraio in un videomessaggio per la Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone.
Diamoci da fare tutti per promuovere le madri e proteggere le donne. Quanta violenza c’è nei confronti delle donne! Basta! Ferire una donna è oltraggiare Dio, che da una donna ha preso l’umanità.
— Papa Francesco (@Pontifex_it) January 1, 2022
Un tema sul quale il Pontefice è tornato tante volte in questi anni. La pandemia ha purtroppo incrementato il business della tratta di persone, ha esacerbato le situazioni di vulnerabilità e ha acuito il dolore dei più fragili e in modo particolare delle donne. Dall’inizio dell’emergenza Covid-19 le chiamate ai centri antiviolenza da parte delle donne sono aumentate tra il 25 e il 111% in 10 paesi distribuiti su 5 continenti. È la Malesia lo stato con il dato più alto (111%), seguita da Colombia (79%), Italia (73%), Sudafrica (69%), Cina e Somalia (50%), Tunisia (43%), Argentina e Regno Unito (25%). Questi dati sono contenuti nel report Il virus della violenza di genere di Oxfam. Ecco perché il Papa ha richiamato tutti, uomini e donne, a non smettere di «indignarsi» di fronte a questa realtà. Ma anche a prendersene cura.
Proprio «La forza della cura. Donne, economia e tratta di persone» è stato il tema di quest’anno della Giornata contro la Tratta, la cui animazione è stata affidata a Talitha Kum, la rete internazionale anti-tratta attiva dal 2009 e costituita da oltre 3 mila religiose di diversi Istituti e promossa dalle Unioni Internazionali delle Superiore e dei Superiori Generali, insieme a numerose organizzazioni di tutto il mondo.
«La maggioranza delle persone che vengono reclutate e che cadono poi nelle maglie dei trafficanti, sono persone che sono alla ricerca di un lavoro, di un’opportunità per una vita migliore». È questo il più evidente e percepibile nesso tra economia e tratta, ha sostenuto in una recente intervista la comboniana suor Gabriella Bottani, coordinatrice dell’iniziativa, con una fenomenologia che ha tratti comuni e peculiarità a seconda delle aree del pianeta. L’Asia, ad esempio, si segnala come il continente di partenza e di arrivo delle vittime della tratta a scopo sessuale. Dal 2017, ad esempio sono state 800mila le persone, soprattutto bambini, venduti al confine tra India e Nepal, mentre sono migliaia le donne vendute per poche migliaia di dollari in Asia centrale e costrette a prostituirsi in Pakistan. In Africa, colpisce la coincidenza da produttività femminile e sfruttamento: le donne producono infatti il 62% dei beni economici, ma solo l’8% riceve un salario. In Sudamerica, c’è il caso del Brasile, da cui partono 41 tratte verso i Paesi esteri. Migliaia le persone coinvolte, in aumento, perché con la pandemia sono 13,5 milioni le persone che hanno perso il posto di lavoro.
D’altra parte, è chiaro per suor Bottani, che «non possiamo guardare alla donna solo come vittima», e che è necessario «cambiare lo sguardo e considerare le donne come una risorsa». Tra le storie di speranza emerse in queste settimane c’è quella di Zaineb, rifugiata siriana ora in Libano. Una vita di abusi da parte del padre alcolizzato e della madre adottiva, un matrimonio forzato ad appena quattordici anni. Poi l’arrivo dell’Isis, il rapimento, una fuga nel deserto durata due settimane e la vita in strada a Beirut. La vita è rinata proprio nell’incontro con le suore di Talitha Kum, espressione evangelica che significa «alzati!».
Molte le iniziative della Santa Sede sul tema. Tra queste c’è anche «Segni», una mostra, in programma fino al 13 marzo a Roma, presso Palazzo Braschi. Si tratta di un progetto fotografico realizzato dal Cortile dei Gentili e dalla Consulta femminile del Pontificio Consiglio della Cultura. 42 scatti, nei quali l’immagine si fonde al racconto delle storie di 4 donne diverse, pensate soprattutto per i giovani. «Ho voluto accompagnare le foto alle storie – ha spiegato Consuelo Corradi, curatrice della mostra –. Gli scatti sono evocativi, ma non si vedono i lividi, le ferite fisiche: richiamano degli stati d’animo e dei punti di svolta nelle vite delle donne. Abbiamo voluto che le persone si interrogassero: questa immagine cosa evoca in me?».
La questione educativa è una chiave nella lotta alla violenza contro le donne. «Quando arriva la violenza è perché la donna diventa proprietà, merce», sostiene suor Rita Giaretta, fondatrice di Casa Rut. «È una mentalità che provoca morte». Per rompere questa spirale letale serve «una battaglia culturale nella quale coinvolgere la società, la scuola e anche la Chiesa, curare le emozioni dei bambini perché possano essere adulti consapevoli». Qual è la strada per far fiorire una donna maltrattata? Per suor Rita i passi sono lenti. Ma, a volte, «basta uno sguardo».