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Buona sera. Eminenza, Presidente, grazie per essere qui con noi questa sera. Eminenze, Signor Ministro e rappresentanti delle Istituzioni, signori ambasciatori che siete qui in grande numero, rettori, professori, colleghi direttori e giornalisti, benvenuti a Civiltà Cattolica.
Grazie per la vostra presenza. Avremmo potuto essere molti di più, ma questi sono gli spazi a nostra disposizione. Abbiamo per questo attivato una connessione streaming e dunque saluto anche chi ci segue a distanza.
Alla fine del 2018 in un breve articolo di Civiltà Cattolica scrivevamo di un gran disordine mondiale. Cito la rivista: «Più che mai il disordine reclama un’attiva politica estera italiana, specialmente nel Mediterraneo punto di incontro di Europa, Africa e Asia. Forse occorre evocare un nuovo ordine Mediterraneo».
Quelle poche righe sollevarono una certa discussione e la proposta di avviare un dibattito. Abbiamo deciso di intavolarlo in questa sede, nell’aprile scorso, quando con 22 esperti di ogni singolo Paese rivierasco ci siamo trovati a discuterne in un Seminario. Ringrazio tutti i partecipanti, molti dei quali sono qui questa sera. Un ringraziamento speciale a Riccardo Cristiano, per il suo contributo essenziale sia alla riflessione sia all’organizzazione.
Essere mediterranei è il frutto di quel Seminario e include i necessari aggiornamenti. Ringrazio l’editore Ancora per aver creduto al progetto di questa pubblicazione.
Il Mediterraneo è un mare fatto di fratture che congiungono mentre dividono, come le giunture. Va da Djerba a Beirut, da Genova a Barcellona, da Marsiglia al Pireo includendo quattro «stretti», quello di Messina, centrale, quello di Gibilterra a ovest e poi il Bosforo che unisce il Mar Nero al Mare di Marmara e che con lo stretto dei Dardanelli segna il confine meridionale tra il continente europeo e il continente asiatico. E un canale, quello di Suez che unisce e divide Africa ed Asia.
Il Mediterraneo è un paradosso geopolitico: è una regione molto frammentata e molto interconnessa. Il mare – potremmo dire – si sta geopoliticamente impossessando di una fetta sempre maggiore di entroterra coinvolgendo pienamente il Medioriente, il Golfo persico, i Balcani e quella striscia di terra che dall’Africa occidentale attraversa il Sahel e giunge sino al Golfo di Aden.
Le sue sfide sono enormi: le migrazioni, il terrorismo, la disuguaglianza economica e climatica, gli equilibri delle influenze, i conflitti armati dei quali tutti siamo a conoscenza. Basti citare Siria e Libia. Ma anche, notizia di poche ore fa, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, intervenendo alla riunione straordinaria convocata dalla Lega Araba al Cairo, ha annunciato la rottura di tutte le relazioni della Palestina con Israele e Stati Uniti, in seguito alla presentazione il 28 gennaio scorso del Piano di Trump per la pace in Medio Oriente.
La stabilità del Mediterraneo ha un impatto diretto sulla sicurezza dell’Italia e dell’Europa. Ma il Mediterraneo ha assunto anche una centralità globale. Pensiamo anche soltanto alla Via della Seta e alle sue implicazioni. Di che cosa c’è bisogno, dunque?
Durante il viaggio di Papa Francesco in Marocco, il re Mohammed VI ha affermato: «Volutamente ci incontriamo qui tra Mediterraneo e Atlantico e a poca distanza tra Marocco e Siviglia, perché questo sia un punto di scambio e di comunicazione spirituale e culturale tra l’Africa e l’Europa». Di questo oggi c’è bisogno nel Mediterraneo: di incontro, scambio e comunicazione spirituale.
E, se parliamo di «scambio e comunicazione spirituale» è impossibile parlare di Mediterraneo senza coinvolgere la riflessione e la spiritualità propria delle tre grandi religioni abramitiche e pure – tra i cristiani – senza accomunare nella riflessione Roma e Costantinopoli. La storia oltre che la geografia ce lo impedisce: si deve fare insieme.
Il punto di partenza per la discussione nel nostro Seminario è stato il «Documento sulla fratellanza umana e la convivenza comune» firmato da Papa Francesco e l’imam di al-Azhar il 4 febbraio 2019, cioè esattamente un anno fa.
A questo tema abbiamo dedicato il secondo volume che presentiamo questa sera, Fratellanza, una pubblicazione di Civiltà Cattolica che raccoglie quanto abbiamo scritto sul tema. Trovate il volume sul nostro sito o su Amazon.
Oggi, quando il Mediterraneo rischia di spezzarsi, la «Dichiarazione sulla fratellanza» ha il grande merito di offrire le basi per un nuovo inizio comune, sapendo parlare a tutti.
Ad Abu Dhabi il riconoscimento della fratellanza ha cambiato la prospettiva, e ha portato direttamente a riflettere sul significato della «cittadinanza»: tutti siamo fratelli e quindi tutti siamo cittadini con eguali diritti e doveri, all’ombra dei quali tutti godono della giustizia, hanno scritto Francesco e al-Tayyeb. La cittadinanza comune, criterio fondante del vivere insieme, indica – in particolare ai Paesi del Mediterraneo orientale – una via per uscire dalle secche delle contrapposte visioni.
Papa Francesco a Napoli nel giugno dell’anno scorso ha partecipato al convegno «La teologia nel contesto del Mediterraneo» e lo ha ribadito ponendo alcune domande, che poi sono le nostre. Ha detto:
Il Mediterraneo «oggi ci pone una serie di questioni, spesso drammatiche: come custodirci a vicenda nell’unica famiglia umana? Come alimentare una convivenza tollerante e pacifica che si traduca in fraternità autentica? Come far prevalere nelle nostre comunità l’accoglienza dell’altro e di chi è diverso da noi perché appartiene a una tradizione religiosa e culturale diversa dalla nostra?».
Che fare? Come rispondere?
«Dobbiamo dare prova di idealismo e di pragmatismo, dobbiamo essere realisti esemplari», ha auspicato il re del Marocco. E questo soprattutto perché, ha specificato il Papa, abbiamo «una grande storia da costruire».
Joseph Joblin in un suo articolo del 2012 su La Civiltà Cattolica concludeva così: «I popoli della regione mediterranea devono vincere la diffidenza esistente tra loro, abituati come sono a insistere più sulla loro singolarità politica, economica, culturale, sociale e religiosa, che non sul loro dovere di riavvicinarsi. A tal fine è necessario risvegliare negli uni e negli altri la convinzione che soltanto la ricerca di una fraternità universale costruisce la pace».
Queste parole, scritte 8 anni fa sulla nostra rivista ci sembrano oggi molto attuali e utili per rispondere alla domanda: quali prospettive si pongono e quali forze problematiche si oppongono alla “fratellanza” nel Mediterraneo?
Gli abitanti dell’Europa fanno fatica a riconoscersi fratelli e concittadini. In Europa il tema del passaggio da abitanti a cittadini è un passaggio cruciale per l’oggi e per il domani. Siamo abitanti dell’Europa ma non ci sentiamo cittadini europei.
Per questo La Civiltà Cattolica ha deciso di organizzare questo incontro sul Mediterraneo. Siamo la rivista più antica d’Italia e questo è l’anno del nostro 170.mo anniversario di fondazione. La Civiltà Cattolica sente una responsabilità forte. Vogliamo celebrare l’anniversario favorendo un dibattito su «Questioni di Civiltà», appunto.
Oggi vogliamo contribuire al dibattito sul Mediterraneo a pochi giorni dall’inizio dell’incontro promosso a Bari dalla Conferenza episcopale italiana dal titolo Mediterraneo, frontiera di pace.
Il Paese Italia conosce il linguaggio del Mediterraneo e si trova dentro le sue armonie e i suoi conflitti. Ci si trova radicalmente dentro. La Civiltà Cattolica è rivista italiana e appartiene alla storia della nostra nazione dell’Italia.
Ma La Civiltà Cattolica vive pure da sempre un forte rapporto di sintonia con la Santa Sede, un rapporto che la fonda e le dà senso.
Per questo abbiamo sentito necessario chiamare a parlarci nella nostra sede il Cardinale Segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin, e il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte. Li ringrazio di cuore per la presenza tra noi questa sera.