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Eminenza Cardinale Parolin, caro Direttore, Padre Spadaro, Eminenze, Eccellenze, gentili ospiti, permettetemi di ringraziare in particolare Padre Spadaro che mi ha rivolto questo cortese invito a partecipare a questo evento dedicato ad un tema molto importante, molto complesso, che, come vedete già dagli interventi che mi hanno preceduto, ha tante implicazioni in termini di geopolitica, anche di sicurezza, di sviluppo, di identità, che investe in maniera profonda la nostra dimensione, il nostro essere, sia nella dimensione pubblica, sia nella privata.
Mi sembra doveroso, ma lo faccio anche con gran piacere, innanzitutto all’inizio dell’intervento rivolgere dei sinceri auguri anche da parte mia a “La Civiltà Cattolica” che festeggia il 170mo genetliaco – che invidia, eh, per una rivista, giustamente è stato ricordato da Padre Spadaro con grande orgoglio, è la rivista più antica, tra l’altro Papa Francesco nel chirografo che vi ha dedicato scrive delle parole molto belle, dice che: “Si sentono salire dalle pagine le voci di tante frontiere che si ascoltano”. E ricorda lui stesso fondata, voluta da Pio IX, credo allora esule a Gaeta, e affidata alle amorevoli cure di Padre Curci all’inizio. Ne avete compiuta di strada, eh?
Se c’è un luogo fisico in cui le frontiere si incontrano, si ascoltano da secoli, questo è proprio il Mediterraneo, “Mare di mezzo” per gli Arabi, “Mare nostrum”, com’è stato ricordato, per la nostra tradizione, quella romana.
Nelle parole di Giorgio La Pira, “i popoli rivieraschi del Mediterraneo hanno, che lo vogliano o meno, un comune destino”; e ricordava questa comune vocazione storica “in quanto portatori – scriveva – di una civiltà che, grazie all’universalità dei suoi componenti essenziali, costituisce un messaggio di verità, d’ordine e di bene, valido per tutti i tempi, per tutti i popoli e per tutte le nazioni.”
Ecco proprio queste fitte interconnessioni ci portano ormai a parlare in politica estera, ormai nel linguaggio corrente – qui vedo tante Eccellenze, tanti Ambasciatori – di “Mediterraneo allargato”, e nella comune accezione “Mediterraneo allargato” abbraccia un ampio spazio fisico che va dallo stretto di Gibilterra al Golfo Persico, e che comprende il Nord Africa, il Vicino e il Medio Oriente, nonché le aree limitrofe, in particolare arriva anche al Sahel ma si estende per alcuni anche al Corno d’Africa, e quindi abbraccia un’area vastissima caratterizzata da forti dinamiche geopolitiche religiose, migratorie, anche energetiche.
Un crocevia di popoli e culture più ricco che mai, considerato anche come un unicum: uno spazio globale, un “Mediterraneo globale”, perché i flussi che lo attraversano, le sfide che lo riguardano hanno cause e conseguenze anche fortemente intrecciate.
Mi spingo anche oltre: il Mediterraneo è stato in passato la culla del concetto stesso di globalizzazione. Globalizzazione ovviamente è un concetto molto più recente se guardiamo soprattutto alla capacità di dilatare lo spazio in modo rapidissimo e di raggiungere in modo pressoché istantaneo confini prima irraggiungibili, però se guardiamo un concetto un po’ più esteso di “globalizzazione”, ecco, sin dagli albori del primo millennio a.C. – e poi durante il periodo greco-romano, durante il Medioevo e il Rinascimento – esso era attraversato da flussi di persone, beni, capitali, idee, pensieri, conoscenze scientifiche, le prime conoscenze tecnologiche, culture e religioni che si sono arricchiti dal confronto reciproco. La tradizione greca, quella latina si è intrecciata fruttuosamente con quella dell’Antico Oriente, poi con quella ebraica, araba e islamica, generando radici storico-culturali comuni che sono rimaste salde e continuano a germogliare, hanno continuato a germogliare sino ai nostri giorni.
E quindi è meritoria l’iniziativa de “La Civiltà Cattolica”, che lo scorso anno ha dedicato al tema della fratellanza e della cittadinanza nel Mediterraneo un seminario – che è stato anche ricordato – e che poi è all’origine anche di questi contributi, di queste pagine – un seminario che ha riscosso grande successo e che evidentemente ha colto anche l’attualità di questa feconda prospettiva di riflessione.
Al centro anche di questa riflessione c’è il concetto di cittadinanza, comunemente noi intendiamo “cittadinanza” come la condizione degli appartenenti a una medesima, definita comunità politica nazionale, chiamiamo anche “popolo” questa comunità, cui consegue la titolarità per legge di alcuni specifici diritti e doveri. Per altro anche nel manifesto si ragiona, o meglio, nel documento siglato da Papa Francesco e dall’Imam di al-Azhar il 4 febbraio 2019, tra qualche giorno ricorrerà quindi il primo anniversario, firmato ad Abu Dhabi, “il concetto di “cittadinanza”, è scritto, “si basa sull’uguaglianza dei diritti e dei doveri, sotto la cui ombra tutti godono della giustizia”. E si avverte che è necessario impegnarsi per una piena cittadinanza nelle nostre comunità e soprattutto fare attenzione all’uso discriminatorio del termine “minoranze”, perché può portare con sé i semi del sentirsi isolati, i semi dell’inferiorità.
Vi è anche un significato meno specifico, se vogliamo, forse più profondo anche, che collega la “cittadinanza” ai concetti di “identità” e “appartenenza”.
Nel Mediterraneo allargato esisteva una nozione di cittadinanza come “appartenenza” comune già nel Medioevo, già nel Rinascimento. Pensiamo a quell’insieme di regole, valori, comportamenti condivisi che assicuravano il regolare flusso di persone e commerci. Ricordiamo, esisteva anche una lingua comune: il Sabir, la lingua franca che univa lingue della penisola italiana con il francese, lo spagnolo, l’arabo, il greco e il turco.
Oggi stiamo assistendo, sotto varie forme, alla ricerca di una rinnovata idea di comunità; osserviamo una domanda crescente anche di processi di transizione, sono processi di transizione politica, transizione sociale. Dal Sudan all’Iraq, dall’Algeria al Libano, si moltiplicano nuove forme di mobilitazione popolare e sempre più pressanti richieste di cambiamento, espressione di frustrazione da parte soprattutto delle giovani generazioni, forse anche complice in qualche misura la diffusione delle reti infotelematiche, queste istanze si fanno sempre più pressanti. E sono istante che contrastano la depressione economica, contrastano la corruzione, le diseguaglianze, le ingiustizie e soprattutto sono istanze che denunciano pressoché unanimemente la mancanza di prospettive per il futuro.
Ecco, sono tensioni con radici parzialmente simili – questo sorprende – simili a quelle che animavano anche le rivolte sociali nella “pacifica Europa”, e che ancora oggi animano queste rivolte sociali, dove anche da noi, sappiamo, nella nostra Europa sono criticate la difficoltà dei Governi dell’UE nel dare risposte convincenti alle sfide della globalizzazione, dell’equità sociale, delle nuove tecnologie, alle sfide ambientali. Quindi ci troviamo di fronte ad una “piazza euro-mediterranea”, a una “piazza globale”, nella quale, con diverse intensità, diversi toni, diverse modalità ma confluiscono comunque simili proteste, condivise aspirazioni insoddisfatte e una richiesta forte di equità, giustizia, speranza per il futuro.
Viviamo una fase anche per questo di grande instabilità, ma al contempo anche di grandi opportunità, di grandi speranze, soprattutto nel Mediterraneo allargato. È un’area è, da sempre, pilastro della politica estera italiana, perché tutto ciò che vi accade oggi, che potrà accadervi anche domani, le dinamiche che la caratterizzano, hanno ripercussioni dirette nel nostro Paese e sulla sua collocazione in un contesto di pace, di sicurezza internazionale.
L’Italia, ma questo vale anche per l’Europa, è chiamata a fornire un contributo di primo piano in questo spazio comune ove le crisi si superano realmente solo se trasformate in opportunità di crescita, in opportunità di benessere condiviso.
Con un’ottica di questo genere l’Italia promuove da tempo – ed è una delle varie iniziative – la Conferenza MED-Dialogues, organizzata annualmente a Roma dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dall’ISPI. L’edizione del 2019, che ho avuto il piacere di chiudere ed è la seconda volta, ha coinvolto tutti i principali attori dell’area, le Organizzazioni Internazionali, il mondo economico e degli affari, anche della società civile, esponenti culturali, dando vita a una plastica rappresentazione delle potenzialità, della ricchezza di un dialogo che l’Italia ha – se mi permettete – un titolo speciale per promuovere. Un particolare titolo di legittimazione, dovuto alle ragioni geografiche, siamo al centro del Mediterraneo, all’antica tradizione, alla spiccata sensibilità culturale. Ed è molto importante, che sul piano politico, l’Italia, quindi, con la sua politica estera riesca a rinforzare questo titolo di legittimazione, come? In base a un approccio di politica estera che deve mantenersi particolarmente aperto, particolarmente inclusivo, che deve muovere dal rispetto, dal riconoscimento delle ragioni dell’altro da sé e dal ripudio di mire egemoniche.
La soluzione della crisi libica, è stata evocata, inevitabilmente continua a rivestire un carattere di assoluta priorità per la nostra politica estera. La Conferenza di Berlino che si è conclusa il 19 gennaio è stata un passo nella giusta direzione, al quale l’Italia ha contribuito con determinazione e con spirito propositivo. Il testo delle Conclusioni finali, se avete avuto la bontà di leggerle, adottato da tutti i partecipanti ad altissimo livello, delinea un percorso credibile, sostenibile per riportare pace e sicurezza in Libia attraverso l’unica linea di azione sostenibile, che a noi è sempre apparsa sostenibile e sempre apparrà sostenibile: la via politica e diplomatica. A Berlino la Comunità internazionale si è impegnata ad assistere il popolo libico, a sostenerlo nel perseguimento di un’agenda che interessa allo stesso tempo il dialogo politico, le riforme economiche, la sicurezza e il rispetto dei diritti umani. A premessa di tutto ciò però c’è un cessate-il-fuoco, e purtroppo ancora in questi giorni stiamo avendo conferma di come è fragile sia questo cessate-il-fuoco, estremamente fragile, ma dobbiamo fare di tutto per preservare e consolidare questo cessate-il-fuoco in modo da poter costruire sempre più convintamente questo percorso politico.
Siamo ben consapevoli che dopo Berlino ci attende questo percorso complesso, non privo di difficoltà. I primi passaggi riguardano la cessazione, dicevo, delle ostilità e l’attuazione scrupolosa dell’embargo al trasferimento di armi già da tempo, come sapete, stabilito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Nulla è facile e ne abbiamo conferma di ora in ora.
Su entrambi questi aspetti l’Italia fa già la propria parte, con coerenza e centralità di iniziativa a beneficio dell’integrità, unità, sovranità e indipendenza della Libia. Ci batteremo sempre per assicurare al popolo libico questi legittimi obiettivi, queste legittime aspettative. Avversiamo le soluzioni militari, così come le “guerre per procura”, contiamo sulla coesione e l’iniziativa anche dell’Unione europea, sull’impegno responsabile dei Paesi partner per assicurare ai libici e all’intera regione un futuro di pace, un futuro di prosperità. Per perseguire questo obiettivo abbiamo promosso un’intensa attività politico-diplomatica fatta di numerosissimi contatti, visite all’estero, lungo questa linea continueremo a muoverci, nella consapevolezza che l’urgenza di colmare il divario tra dichiarazioni di intenti e comportamenti concludenti non sia più rinviabile, ancorché non scontato.
L’Italia è inoltre impegnata nel promuovere processi politici inclusivi in altre aree della regione, a partire dalla crisi siriana. Qui forse la nostra azione è meno visibile ma anche qui è costante, la nostra linea è coerente, è sempre quella di ricercare soluzioni politiche il più possibile condivise, le sole attraverso le quali possiamo sperare di avviare autentici, sostenibili processi di stabilizzazione. In questa prospettiva, sosteniamo gli sforzi dell’Inviato Speciale delle Nazioni Unite, Pedersen, per il rilancio del confronto politico nella sua interezza. Continuiamo a sollecitare e a premere sulle parti in conflitto affinché si impegnino a rispettare il diritto internazionale umanitario, promuoviamo una pluralità di iniziative rivolte all’opposizione e alla società civile siriana.
Con lo stesso spirito, poi, continuiamo a ritenere centrale per la stabilità della Regione il Processo di Pace in Medio Oriente. Siamo di fronte a una congiuntura caratterizzata da un perdurante stallo nelle negoziazioni dirette tra Israeliani e Palestinesi, e vedete a conferma di come non sia affatto facile coltivare un dialogo in una direzione, in direzione della pacificazione, della stabilizzazione di questo conflitto, è stato ricordato da Padre Spadaro, c’è la notizia del Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, che nel corso dell’incontro, appunto, della Lega Araba, ha dichiarato la rottura delle relazioni con Israele e gli Stati Uniti, lo sospensione di tutti gli accordi; è una notizia pesante, che ci fa comprendere, ancora una volta, l’estrema fragilità del dialogo in questo quadrante. Dobbiamo assolutamente però continuare per lavorare a una soluzione a “due Stati, due popoli”, è la prospettiva più giusta, sostenibile, tenendo conto delle legittime aspirazioni delle due parti, contribuendo alla stabilità e alla sicurezza della regione mediorientale.
Seguiamo anche con grande apprensione ed estrema preoccupazione gli ultimi sviluppi nella regione del Golfo. L’Italia fa appello alla moderazione e al senso di responsabilità di tutte le parti coinvolte, per evitare ulteriori tensioni, che sarebbero terreno fertile per terrorismo ed estremismo violento. Il nostro contributo attivo, in Iraq come in Libano – sapete che siamo impegnati anche sul terreno con nostre donne e nostri uomini – mira alla stabilizzazione dell’area e continuerà a favorire la distensione per costruire una credibile cornice di dialogo. Io stesso mi sono fatto personalmente latore di questo messaggio, attraverso diretti contatti con tutti i leader della regione.
Ma non possiamo limitare, questo senz’altro, il nostro investimento, il nostro ruolo al fronte securitario e della stabilizzazione politica. Serve anche un impegno nell’ambito della dimensione economica e della dimensione sociale di un’area intimamente connessa alla nostra identità nazionale.
Penso in particolare alla protezione dello straordinario eco-sistema del nostro Mare comune. Come, per altro, recita l’Enciclica di Papa Francesco “Laudato sì”: “I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità.”
Quindi occorre un vero e proprio cambio di paradigma nel nostro rapporto con la natura, con l’ambiente. L’Italia è impegnata in prima linea nella promozione di un nuovo modello di sviluppo. La COP 26 – noi, come sapete operiamo… sarò a Londra proprio per questo evento, per annunciare questa iniziativa, operiamo in partnership con il Regno Unito, che la presiederà quest’anno, nel cui ambito operiamo in partnership assieme al Regno Unito che la presiederà quest’anno – ecco, questo… ci darà l’occasione questa iniziativa per puntare alla crescita economica attraverso la sostenibilità ambientale e per ribadire la validità di quelle scelte di politica sociale, ambientale, economica “Green New Deal” italiano ed europeo, che diventano ormai ineludibili.
Promuoviamo uno sviluppo sostenibile e inclusivo nel Mediterraneo anche attraverso le attività della nostra Cooperazione allo Sviluppo, questo è un potente strumento, anzi possiamo dire che, per quanto riguarda le attività della nostra cooperazione allo sviluppo, il Mediterraneo è una regione veramente strategica per il raggio delle nostre iniziative. Sono infatti numerose le iniziative che ci vedono promotori nei Paesi nordafricani, per lo sviluppo strutturale e la stabilizzazione finanziaria. Lo stesso dicasi per il Medio Oriente, dove sostentiamo iniziative umanitarie in risposta alla crisi siriana, volte non solo a portare aiuti in loco, ma anche ai rifugiati siriani che sono in Libano, in Giordania, nonché alle comunità che li accolgono.
Ovviamente non è questa la sede e non avrebbe molto senso soffermarmi in lunghi elenchi ma mi preme, ecco, sottolineare che in generale l’Italia è impegnata davvero “a tutto campo” per favorire i processi di transizione democratica e riabilitazione socio-economica del quadrante mediterraneo, nel rispetto sempre delle prerogative nazionali e con un’attenzione particolare per la tutela delle fasce più vulnerabili delle popolazioni.
Quando pensiamo alle sfide provenienti dal Mediterraneo, continua ad avere anche posto, un posto particolare il fenomeno migratorio, con il cui carattere globale e strutturale non solo l’Italia, ma l’intera Europa, deve confrontarsi da diversi anni, e ancora per molti anni a venire. Soluzioni nazionali, o peggio ancora nazionalistiche, non hanno alcuna chance di successo. La migrazione richiede invece un approccio multi-livello europeo, internazionale, fondato su principi di solidarietà e di responsabilità condivisa.
L’Italia rimane costantemente impegnata affinché l’Europa sappia finalmente attuare tali principii e agire in modo coeso per il salvataggio di vite umane e per l’accoglienza di coloro che hanno diritto alla protezione internazionale e all’asilo, così come il nostro Paese ha fatto anche nei momenti più drammatici e acuti delle crisi migratorie del Mediterraneo. Il “Mare Nostrum” rappresenta in effetti la cartina di tornasole della capacità dell’Unione Europea non solo di salvare vite umane, rispettando i propri valori fondanti, ma anche di riuscire a esprimere un governo, principio quindi politico per eccellenza, dei flussi migratori, contrastandone anche la componente illegale. Qualche progresso, grazie alla nostra costante azione, iniziamo a vederlo, sapete che abbiamo sottoscritto alla Valletta un accordo quadrilaterale, abbiamo avuto proprio nei giorni scorsi alcuni segnali di un’estensione di questo accordo anche ad altri Paesi ma c’è ancora un grande tratto di strada da compiere assieme.
Proprio nell’ottica di salvare vite umane, abbiamo finora accolto centinaia di rifugiati in Italia, particolarmente vulnerabili, bloccati in Libia, giunti direttamente attraverso in modo sicuro e dignitoso, grazie all’esperienza tutta italiana dei trasferimenti umanitari. Altro strumento prezioso e sicuro è quello dei corridoi umanitari, che sono organizzati insieme a varie espressioni, organizzazioni della società civile di ispirazione in particolare religiosa, dobbiamo ringraziare tra le altre la Caritas, la Comunità di Sant’Egidio, la Tavola Valdese, la Federazione delle Chiese Evangeliche. Sono esperienze che riteniamo centrali e che invitare costantemente gli altri Stati Membri dell’Unione europea a replicare.
In parallelo, abbiamo consolidato in questi anni il partenariato con i principali Paesi africani di origine, transito e destinazione dei movimenti migratori. Siamo molto soddisfatti della priorità che la nuova Commissione europea intende dare al partenariato con un continente, l’Africa, senza il quale è impensabile contrastare le cause profonde della migrazione e, al contempo, anche disincentivare, attraverso i rimpatri, le partenze, che perlopiù sono affidate ai trafficanti di esseri umani. È in questa ottica che abbiamo investito le risorse del Fondo per l’Africa nel continente africano – adesso siamo a un ammontare pari a circa 226 milioni di euro – per iniziative a beneficio dei migranti in Africa e dei Paesi da cui sono partiti o sono transitati o che hanno comunque attraversato.
Per ricostruire il senso di una comunità mediterranea, di una koinè, è certamente essenziale il ruolo poi svolto dalla cultura. Come ho avuto modo di osservare in vari miei interventi, la cultura rappresenta la base del dialogo, lo straordinario veicolo di idee, di trasferimento, di contaminazione di idee, di sensibilità. Non ci lega, infatti, solo la geografia: è la condivisione di patrimoni culturali che nel corso dei secoli ha dato vita a quel pluralismo identitario che rende questa parte del mondo unica e fragile al tempo stesso. E anche qui siamo molto attivi nel portare avanti programmi di cooperazione culturale e scientifica, attraverso vari Istituti di cultura che sono presenti nella Regione, ne abbiamo sei: Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Israele e Libano.
Il Ministero, in particolare, degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale ha ad esempio realizzato il programma “Italia, Culture, Mediterraneo”, con circa 700 eventi in 13 Paesi, questo nel 2018, e comunque continua a operare costantemente per intessere legami profondi, duraturi, grazie a progetti di grande rilevanza.
Ancora, altro fiore all’occhiello dell’azione italiana è la promozione e protezione del patrimonio culturale. Il nostro Paese, lo sapete, è in prima fila nella tutela delle ricchezze dell’Area mediterranea, finanziando numerose missioni archeologiche, e qui veramente possiamo rivendicare un primato anche sul piano scientifico, volte a riscoprire lo straordinario valore dell’antichità mediterranea e a valorizzare il comune passato. Stiamo tra l’altro elaborando l’iniziativa di inserire questo, a mio avviso, importante approccio nel programma del G20 nel 2021, sapete che spetterà a noi la Presidenza di questo importante evento.
Cultura significa anche formazione, contaminazione accademica. E da accademico sapete quanto io confidi nel potere, nella condivisione del sapere. Nella sponda Sud del Mediterraneo l’Italia vanta una solida presenza in termini di istituzioni scolastiche, di reti di collegamento tra centri universitari. E sviluppare –vedete – un’agenda positiva per la Regione significa soprattutto guardare ai giovani, investire sulla loro crescita culturale, sulla loro crescita di conoscenze, puntando ad un rafforzamento della nostra cooperazione in materia appunto di istruzione e di ricerca.
Mi avvio a conclusione, vorrei sottolineare tre punti che mi stanno particolarmente a cuore.
Il primo, il ruolo delle religioni, che è stato particolarmente sottolineato anche nelle parole di Papa Francesco, devono diventare “vie di fratellanza anziché muri di separazione”. In questo, i leader religiosi possono giocare sicuramente un ruolo molto importante, sia nella promozione del credo religioso quale strumento di pace e solidarietà, sia nel contrastare quelle voci che promuovono una cultura dell’oppressione e dell’odio del “diverso”. E la Dichiarazione di Abu Dhabi ha costituito sicuramente una tappa fondamentale di grande valore politico, se mi permettete in senso ampio, nella condanna degli usi strumentali di Dio e dei fondamentalismi.
In secondo luogo, il concetto di identità. È un concetto spesso abusato o meglio strumentalizzato in modo antagonizzante, per estromettere gli altri. La cultura, dal punto di vista storico ha prodotto anche delle specifiche identità che appunto sono entrate in contrasto tra di loro ma la cultura è apertura e dialogo, quindi la visione italiana colloca il concetto di identità nel quadro, per quanto mi riguarda, lo dico laicamente, disegnato dai principi fondamentali della Costituzione, dalla scelta di collocazione internazionale e valoriale maturata negli anni del Dopoguerra, dalla nostra collocazione geo-politica e dal nostro portato culturale. In tal senso, diritti umani e stato di diritto, multilateralismo e internazionalizzazione, solidarietà e inclusività sono per l’Italia elementi fortemente identitari. Elementi caratterizzanti, a prescindere dal Governo transeunte che ci possa essere.
La terza e ultima riflessione riguarda la prospettiva futura. Come appena osservato, il Mediterraneo allargato è molto di più del grande arco di crisi e instabilità che lo attraversa. Esso incarna una piattaforma unica di opportunità, che dobbiamo cogliere attraverso una dinamica positiva.
La “ricostruzione” di un’identità mediterranea inclusiva, aperta, votata ai principi della sostenibilità, del rispetto dei diritti umani e dei principi democratici è per l’Italia una condizione essenziale della stabilità e della prosperità dell’area al cui centro essa stessa è collocata. Ciò vale anche per l’Europa perché, e qui richiamo parole famose di Aldo Moro, “nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa o nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo”.
Ecco, questa interazione è scritta, se mi permettete, nel DNA del nostro Paese, che si pone come avamposto continentale nel Mediterraneo. La realizzazione di una politica dinamica e al tempo stesso virtuosa, proprio essendo avamposto, starà tutta nella capacità di protrarsi in avanti e mai ritirarsi indietro. Grazie.