
Un anno fa ci lasciava Akira Toriyama, mangaka conosciuto in tutto il mondo per i personaggi dal tratto morbido nati dalla sua fantasia, da Arale a Dragon Quest. È un momento per celebrarne la memoria, soprattutto in occasione dei quarant’anni di uno dei più famosi manga al mondo, di cui è autore: Dragon Ball[1].
Il «manga» in Giappone
In questa rivista sono stati già presentati diversi manga editi recentemente in Giappone[2]; ora possiamo soffermarci un po’ di più su un settore editoriale che negli ultimi anni si è sviluppato molto anche in Italia. Se infatti nel 2010 il settore fumettistico rappresentava lo 0,4% del mondo dell’editoria[3], oggi si parla del 17%, con circa 7 milioni e mezzo di lettori e un giro di affari di circa 260 milioni di euro[4].
In Italia, il termine manga designa un fumetto prodotto in Giappone, ma cosa significa? Molti studiosi riconducono l’uso di questo lemma a Hokusai, sebbene il termine fosse stato già usato in precedenza[5]. In generale, si adotta la definizione «immagini in movimento» o «immagini umoristiche», utilizzando i due ideogrammi che formano la parola e che troviamo rappresentata nella pubblicazione di successo dello stesso Hokusai. Con l’apertura del Giappone al mondo occidentale alla fine dell’Ottocento, si scoprì l’uso satirico delle immagini, dando un diverso significato alla definizione. L’unione di disegno e testo scritto, già utilizzata nella stampa nipponica dei secoli precedenti, ebbe così una fioritura maggiore e venne usata sia come strumento politico sia come mezzo di svago.
“Nel 2010 il fumetto rappresentava lo 0,4% del mondo dell’editoria. Oggi si parla del 17%, con 7,5 milioni di lettori.
La grande rivoluzione nella produzione e ideazione dei manga si ebbe con Osamu Tezuka. Con lui si passò a un uso «cinematografico» della vignetta, dando espressione e movimento alla storia[6]. Se prima, infatti, non c’era una descrizione del movimento, lasciando all’immaginazione del lettore il compito di riempire lo spazio tra una scena e l’altra, ora l’azione è impressa sulla pagina stampata, dando una sensazione nuova di dinamicità.
Questa evoluzione grafica e questo coinvolgimento attivo del lettore permangono tuttora, tant’è vero che nei fumetti giapponesi non si trovano «dei riquadri di testo con funzione didascalica. In altre parole, la voce narrativa di tipo sopra-diegetico scompare»; inoltre, «la vignetta è un’icona che racchiude il tempo e il suo scorrimento: muovendo l’occhio ne nascerà l’impressione di leggere eventi che si susseguono
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