
Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,13-19).
L’iconografia bizantina rappresenta Pietro e Paolo mentre si abbracciano insieme e il Prefazio della solennità proclama, rivolgendosi a Dio Padre: «Tu hai voluto unire in gioiosa fraternità i due santi apostoli: Pietro che per primo confessò la fede nel Cristo, Paolo che illuminò le profondità del mistero, il pescatore di Galilea che costituì la prima comunità dei giusti di Israele, il maestro e dottore, che annunciò il Vangelo a tutte le genti. Così, con diversi doni, hanno edificato l’unica Chiesa».
Tale presentazione se da un lato è molto bella, dall’altro nasconde che i rapporti fra i due apostoli non furono facili, soprattutto quando ad Antiochia, prima nell’assemblea di Gerusalemme, Paolo non esitò a contraddire Pietro (At 15 e Gal 2,11-14) sul problema se i pagani che volevano diventare cristiani dovessero prima aderire al popolo ebraico e circoncidersi. Tale appartenenza diventava più importante del battesimo e svalutava la salvezza di Cristo. Il problema invece era mettere in luce l’identità della Chiesa, secondo la parola del Signore: la Chiesa non doveva essere solo dei giudeo-cristiani, ma di tutti, dei giudei e dei pagani, la Chiesa «Cattolica», universale.
Ma ciò che meraviglia nella liturgia della Parola è la trasformazione della solennità dei due apostoli in una glorificazione della salvezza. Pietro, secondo il racconto della prima lettura (At 12,1-11), riconosce di essere stato liberato dalla prigione dal Signore, che ha mandato il suo angelo a strapparlo dalle mani di Erode. Il protagonista della sua salvezza è il Signore Gesù.
E anche Paolo, nella Lettera a Timoteo, pur avendo «combattuto la buona battaglia, terminato la corsa e conservato la fede», riconosce che il Signore «gli è stato vicino e gli ha dato la forza perché potesse annunciare il vangelo a tutte le genti» (cfr 1 Tm 4,7. 17). Per l’apostolo la fede non è una conquista dei propri sforzi o di un impegno personale, ma un dono dall’alto da saper accogliere e conservare, nella fedeltà e nella perseveranza. Ma è il Signore Gesù colui che lo ha salvato e lo ha sostenuto per essere apostolo del vangelo.
Anche nell’episodio delle chiavi consegnate a Pietro, sono singolari le parole della beatitudine rivolte al discepolo che riconosce in Gesù il Cristo, il Figlio del Dio vivente: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli». Per riconoscere davvero chi è il Cristo, non bisogna affidarsi a ciò che dicono «gli altri» (Mt 16,14), e nemmeno alle proprie capacità umane, ma solo al Padre che è nei cieli. Il cristiano non deve mai dimenticare che Pietro è «la pietra» che rivela il fondamento divino, la forza di chi è venuto a servire e a dare la vita per la nostra salvezza.
I protagonisti della solennità dei santi Pietro e Paolo allora non sono i due apostoli, ma il Padre che è nei cieli, il Figlio Gesù che ci ha salvati con la sua morte e risurrezione, lo Spirito santo che prega in noi e ci santifica.
La comunità dei credenti oggi prega per il Papa, perché sostenuto dalla grazia possa confermare i fratelli nella fede (cfr Lc 22,32) e nel dono della propria vita per la vita del mondo.
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Papa Leone XIV: «Fermiamo la tragedia della guerra prima che diventi una voragine irreparabile».