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Cominciamo dalla felice sottrazione dell’io – «il più lurido dei pronomi», diceva Gadda –, evidente nel sobrio commento dell’A. sul titolo della raccolta: scelta dell’editore, perché magari il poeta ne avrebbe fatto volentieri a meno, forse preferendogli una pagina intonsa. E proseguiamo con la dedica: «A chi non crede in Dio ma segretamente ama e onora il Dio vivente». Così, ancor prima di iniziare la lettura dei testi composti da Arnoldo Mosca Mondadori (Milano, 1971) tra il 2010 e il 2021, già sappiamo che ci stiamo inoltrando in una landa lirica fertile e generosa, con lo sguardo che punta al cielo e alla terra, e non all’ombelico: Io non sono più / nulla e tu non sei più nulla. Qui ti dilati. E così accade allo spirito di chi scorre queste pagine.
Le bellissime poesie sono la precipitazione di un dialogo senza tempo tra la nostra scheggia divina in corpo mortale e la terra e il cielo ricolmi di Dio; l’uomo e il Creatore di tutte le cose, a intrecciare lingua e orecchio; e il poeta a testimoniare, con cristallina limpidezza e la versificazione in prosa, il mistero ineludibile, la certissima Presenza, anche quand’essa si cala nell’eco assordante della nostra supplica solitaria, nei nostri occhi levati verso il cielo, che è poi tutto quello che ci occorre fare, secondo la lezione di Simone Weil: Che voce hai, padre inconoscibile? / Perché il tuo amore è tremendo? Ma la sinfonia, la avverto / La sinfonia potente. / È là nel fondo / Ultimo luogo. / Là dove non esiste pensiero ma magma, /magma d’amore / laggiù non c’è più nulla / e tu tremi di tenerezza per noi.
Quello dell’A. è anche un implicito atto di fede nella potenza generativa, e non soltanto illustrativa, del linguaggio poetico: nel verso c’è azione, non solo rappresentazione. L’invocazione si fa militanza, lotta con l’angelo, forse l’unica ragione poetica, l’unica preghiera che sia rilevante e rivelante a un tempo.
In «un gorgo d’amore», per citare di nuovo l’A., che ricorre spesso a vertiginose allegorizzazioni della natura e del suo specifico lessico: «mare in fiamme», «strapiombo del suo amore», e poi vulcani, foreste e rocce. Soffia un maestrale tardo-romantico in questo apparentamento del divino alla natura, i suoi idilli, le tempeste, i processi di trasformazione e di trasfigurazione: Tu fermenti sotto il respiro della morte.
Ma c’è un’altra Presenza, nei versi, che consustanzia il Cristo con il penare umano dei dannati della Terra, e che chiude il cerchio tra il poeta e l’uomo, da tempo schierato con le opere, e non solo con le parole, dalla parte degli ultimi (da un’idea dell’A. nasce, nel 2016, nel carcere di Opera, il progetto «Il senso del Pane» – oggi con laboratori in tutto il mondo –, dove «assassini pentiti talvolta condannati all’ergastolo», di ogni credo e nazione, producono ostie per centinaia di parrocchie e monasteri): Delle cattedrali dei poveri che si innalzano / invisibili nella nebbia nessuno parla. / Sono in cerca delle tue città segrete. / Il tuo regno è qui, nascosto nelle cattedrali dei poveri.
La potenza maggiore la si avverte nei frammenti più scorciati, icastici e ustori, come la verità che affiora prepotente, somministrata per incursione nel nostro essere, non come esercizio di pacata argomentazione. Se ne esce scottati e rinfrescati, come se la sferzata fosse il suo medesimo balsamo: Dio non vive. Dio muore. / Questa è la resurrezione.
Queste raccolte di una decade di vita e scrittura sono, evidentemente, anche un Credo personale, un diario dell’anima; un giornale di bordo che registra il costante trafficare con i marosi e con l’imprevedibilità, l’inconoscibilità del divino, con le sue correnti ascensionali, ma anche durante la bonaccia del silenzio, dell’attesa. E sono una testimonianza di passione e di promessa, che non distingue tra il «qui e ora» di questo mondo e la trascendenza del passaggio ultramondano: in fondo, l’una e l’altra cosa sono la stessa sostanza del Padre. E in quel permanere dell’essere e della speranza il poeta ci riconsegna davvero e sempre al Dio vivente: Cristo eternamente morto d’amore, / eternamente risorto nei fiumi di pace. / Le guerre si spengono nel profumo di Cristo.